La guerra dei fiori rossi |
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Un film di Zhang Yuan.
Con Dong Bowen, Ning Yuanyuan, Chen Manyuan, Zhao Rui, Li Xiaofeng
Titolo originale Kanshangqu Henmei.
Commedia drammatica,
durata 92 min.
- Cina, Italia 2006.
- Cinecittà Luce
uscita venerdì 12 gennaio 2007.
MYMONETRO
La guerra dei fiori rossi
valutazione media:
3,13
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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ieri, oggi, cosa cambia?di olgaFeedback: 0 |
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giovedì 8 marzo 2007 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
LA GUERRA DEI FIORI ROSSI Come in ogni film dove protagonisti sono i bambini, la storia fa simpatia e tenerezza, ma un momento dopo si coglie la sua natura di apologo problematico. Si può essere ribelli a quattro anni o addirittura si deve esserlo, quando tutto tende a livellare, rendere conforme, irreggimentare? Siamo in Cina e potremmo essere negli anni ‘50 come oggi. Credo che il periodo non sia stato precisato più di tanto volutamente, perché l’interrogativo si pone in qualsiasi tempo e realtà. Oggetto dell’analisi sono infatti i sistemi di tipo idelogoci-fideistico tendenti a imbrigliare ogni spunto di fantasia e di critica nelle menti delle persone a cominciare dalla più tenera età. Il piccolo protagonista, Fang, viene condotto dal padre in un asilo tipo collegio, dove si trova fin dall’inizio spaesato. Pur senza violenze o ottusità, ogni momento della giornata dei piccoli è pianificato; chi sa adeguarsi perfettamente alle regole è premiato con piccoli fiori di carta rossi, chi non ci riesce, come il nostro, aspira ad averli a fianco del suo nome, ma lo spazio riservato sul cartellone per ogni alunno rimane per Fang angosciosamente vuoto. Qualsiasi cosa faccia il piccolo (un simpaticissimo Dong Bowen) registra un insuccesso: non riesce a rivestirsi da solo, si fa la pipì addosso, non risponde al suono della campanella della maestra: insomma un vero disastro. Anche il suo tentativo di uscire dall’isolamento facendo amicizia con due bambine, lo lascia alla fine più solo che mai e si sa che ciascuno a quell’età ha un gran bisogno di essere accettato. D’altra parte Fang si trova ben presto davanti a un bivio: crescere secondoil suo istinto o piegarsi alla regole che altri hanno rigidamente stabilito per lui. Da che parte stia chi racconta è chiaro, perché l’opera è caratterizzata da una critica non gridata ma serrata e chiarissima al conformismo. Si tratta in questo caso di quello della rivoluzione cinese volta ad omologare ogni cittadino, spegnere gli individualismi, rendere ciascuno solidale col prossimo ma a comando. Dal piccolo ribelle ci potremmo quindi aspettare che, cresciuto, finisca in piazza Tienanmen a fermare col braccio un carrarmato. Messaggio quindi chiarissimo: individuo contro massa, libertà contro acquiescenza, autonomia contro potere. Se poi si pensa che la libertà, in modi diversi dalla Cina, spesso diventa menefreghismo e violenza, l’individualismo corsa sfrenata alla promozione di sé, l’autonomia totale mancanza di senso civico e di responsabilità collettiva, allora le cose si complicano e non basta più il godibile racconto con piccoli protagonisti dagli occhi a mandorla e grande naturalezza espressiva. L’autore del resto non è nuovo a occuparsi dei problemi difficili di chi ancora non è adulto e il suo ultimo film non a caso si intitolava Diciassette anni. Dissidente da sempre dal regime cinese, Zhang Yuan ha già collaborato con cineasti italiani. Il film infatti è prodotto da Marco Müller, montato da Jacopo Quadri e affidato per le musiche a Carlo Crivelli. Il soggetto invece è tratto da un’opera di Wang Shuo, famoso scrittore cinese, amato dagli studenti e dagli intellettuali ma non dalla stampa ufficiale. In quanto a me, al di là di tante intenzionalità problematiche, è venuto spontaneo aderire ai momenti di giocosità del film e all’irresistibile fascino di tutti quei lettini affiancati e animati, tipo nanetti di Biancaneve, dove la notte soprattutto porta mostri fantastici e desideri di affetto.
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