olga
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giovedì 8 marzo 2007
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ieri, oggi, cosa cambia?
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LA GUERRA DEI FIORI ROSSI
Come in ogni film dove protagonisti sono i bambini, la storia fa simpatia e tenerezza, ma un momento dopo si coglie la sua natura di apologo problematico. Si può essere ribelli a quattro anni o addirittura si deve esserlo, quando tutto tende a livellare, rendere conforme, irreggimentare? Siamo in Cina e potremmo essere negli anni ‘50 come oggi. Credo che il periodo non sia stato precisato più di tanto volutamente, perché l’interrogativo si pone in qualsiasi tempo e realtà. Oggetto dell’analisi sono infatti i sistemi di tipo idelogoci-fideistico tendenti a imbrigliare ogni spunto di fantasia e di critica nelle menti delle persone a cominciare dalla più tenera età.
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LA GUERRA DEI FIORI ROSSI
Come in ogni film dove protagonisti sono i bambini, la storia fa simpatia e tenerezza, ma un momento dopo si coglie la sua natura di apologo problematico. Si può essere ribelli a quattro anni o addirittura si deve esserlo, quando tutto tende a livellare, rendere conforme, irreggimentare? Siamo in Cina e potremmo essere negli anni ‘50 come oggi. Credo che il periodo non sia stato precisato più di tanto volutamente, perché l’interrogativo si pone in qualsiasi tempo e realtà. Oggetto dell’analisi sono infatti i sistemi di tipo idelogoci-fideistico tendenti a imbrigliare ogni spunto di fantasia e di critica nelle menti delle persone a cominciare dalla più tenera età. Il piccolo protagonista, Fang, viene condotto dal padre in un asilo tipo collegio, dove si trova fin dall’inizio spaesato. Pur senza violenze o ottusità, ogni momento della giornata dei piccoli è pianificato; chi sa adeguarsi perfettamente alle regole è premiato con piccoli fiori di carta rossi, chi non ci riesce, come il nostro, aspira ad averli a fianco del suo nome, ma lo spazio riservato sul cartellone per ogni alunno rimane per Fang angosciosamente vuoto. Qualsiasi cosa faccia il piccolo (un simpaticissimo Dong Bowen) registra un insuccesso: non riesce a rivestirsi da solo, si fa la pipì addosso, non risponde al suono della campanella della maestra: insomma un vero disastro. Anche il suo tentativo di uscire dall’isolamento facendo amicizia con due bambine, lo lascia alla fine più solo che mai e si sa che ciascuno a quell’età ha un gran bisogno di essere accettato. D’altra parte Fang si trova ben presto davanti a un bivio: crescere secondoil suo istinto o piegarsi alla regole che altri hanno rigidamente stabilito per lui. Da che parte stia chi racconta è chiaro, perché l’opera è caratterizzata da una critica non gridata ma serrata e chiarissima al conformismo. Si tratta in questo caso di quello della rivoluzione cinese volta ad omologare ogni cittadino, spegnere gli individualismi, rendere ciascuno solidale col prossimo ma a comando. Dal piccolo ribelle ci potremmo quindi aspettare che, cresciuto, finisca in piazza Tienanmen a fermare col braccio un carrarmato. Messaggio quindi chiarissimo: individuo contro massa, libertà contro acquiescenza, autonomia contro potere. Se poi si pensa che la libertà, in modi diversi dalla Cina, spesso diventa menefreghismo e violenza, l’individualismo corsa sfrenata alla promozione di sé, l’autonomia totale mancanza di senso civico e di responsabilità collettiva, allora le cose si complicano e non basta più il godibile racconto con piccoli protagonisti dagli occhi a mandorla e grande naturalezza espressiva. L’autore del resto non è nuovo a occuparsi dei problemi difficili di chi ancora non è adulto e il suo ultimo film non a caso si intitolava Diciassette anni. Dissidente da sempre dal regime cinese, Zhang Yuan ha già collaborato con cineasti italiani. Il film infatti è prodotto da Marco Müller, montato da Jacopo Quadri e affidato per le musiche a Carlo Crivelli. Il soggetto invece è tratto da un’opera di Wang Shuo, famoso scrittore cinese, amato dagli studenti e dagli intellettuali ma non dalla stampa ufficiale.
In quanto a me, al di là di tante intenzionalità problematiche, è venuto spontaneo aderire ai momenti di giocosità del film e all’irresistibile fascino di tutti quei lettini affiancati e animati, tipo nanetti di Biancaneve, dove la notte soprattutto porta mostri fantastici e desideri di affetto.
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candy star
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sabato 27 gennaio 2007
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sicuramente da vedere
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Indubbiamente mi aspettavo qualcosa di più su un film che aveva tutti i presupposti per essere un vero capolavoro. La visione è molto piacevole, il film è delicato ed interiore, i bambini sono dolcissimi ed allo stesso tempo spietati.
vale la pena di vederlo quanto meno per vedere il genio che si nasconde dietro il piccolo protagonista che ha una mimica ed una attitudine alla recitazione veramente da lasciarti con la bocca aperta data la sua giovanissima età.
[+] non il solito stupido film di natale.
(di felicia)
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kaipy
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mercoledì 26 gennaio 2011
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divertente e triste insieme
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scelta coraggiosa. in un mondo malato come il nostro tanti bambini nudi, nonchè un sottile erotismo fanno un po' impressione.
all'inizio il film è davvero divertente, i bambini sono meravigliosi e il regime dell'asilo pazzesco.
dopo un po' la personalità del bambino comincia a delinearsi e appare chiaro il suo istintivo anelito di indipendenza.
io lo adoro quando verso la fine uscito dall'isolamento si autoelimina dalla fila e grida ai suoi compagni:
sono uscito dalla fila ditelo, ditelo alla maestra! e poi scappa via e non vuole farsi prendere più.
bello. anche se a tratti è un po' lento.
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luca scialò
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lunedì 17 ottobre 2011
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ribellarsi all'omologazione
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La Repubblica comunista cinese è stata da poco fondata e già punta all'omologazione del suo popolo. In uno dei tanti convitti che punta alla formazione totalitarista dei bambini, c'è Qiang, di soli 4 anni. Il bimbo sfugge alle regole impostegli dalle maestre, non ci sta a rispettare ordine e disciplina estenuanti, che impongono perfino i ritmi dei bisogni fisiologici. Questa sua ribellione all'ordine ha però un prezzo: la solitudine e l'emarginazione da parte degli altri bambni.
Dopo Diciassette anni, Zhang Yuan ci offre ancora una volta una prospettiva diversa della Cina comunista.
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La Repubblica comunista cinese è stata da poco fondata e già punta all'omologazione del suo popolo. In uno dei tanti convitti che punta alla formazione totalitarista dei bambini, c'è Qiang, di soli 4 anni. Il bimbo sfugge alle regole impostegli dalle maestre, non ci sta a rispettare ordine e disciplina estenuanti, che impongono perfino i ritmi dei bisogni fisiologici. Questa sua ribellione all'ordine ha però un prezzo: la solitudine e l'emarginazione da parte degli altri bambni.
Dopo Diciassette anni, Zhang Yuan ci offre ancora una volta una prospettiva diversa della Cina comunista. Una prospettiva critica e costruttivamente polemica. In questo lungometraggio, Yuan lo fa puntando tutto sui bambini, su cui la neonata dittatura comunista cinese gettava le basi per il futuro. Nel piccolo ribelle Qiang, si incarnano i desideri di ribellione di un popolo contro una dittatura ormai anacronistica e che nasconde dietro una stanca bandiera rossa, un capitalismo selvaggio. L'idea è apprezzabile, sebbene il film dopo una mezz'ora di sorrisi strappati da quei simpatici e paffuti bambini, cominci un pò a stancare ed apparire ripetitivo. Forse qualche cambio di ambientazione di tanto in tanto e qualche nuovo evento di rottura, avrebbe reso il film un capolavoro. Il finale ha comunque un alto potenziale simbolico.
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joemango
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lunedì 6 agosto 2007
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la guerra dei fiori rossi
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Ultimamente la fucina cinematografica cinese sta producendo titoli di buon livello e la Guerra dei fiori rossi di Zhang Yuang non fa che aggiungersi alla lista dei suddetti film, con qualche difettuccio in più.
In breve, si narrano le piccole ribellioni al conformismo di un piccolo bambino cinese nel suo asilo, tutti pargoli intorno ai quattro anni. E' quindi indubbiamente da lodare la bravura del regista nel gestire una simile orda di attori (quasi) ancora in fasce. D'altro canto bisogna riconoscere al film la mancanza di una certa profondità intellettuale, forse ingenuamente sperata ad inizio pellicola. Restano scene colorate, vivaci, alle volte comiche ma mai da prendersi troppo sul serio accompagnate da immagini belle e fresche, talune leggermente artificiosamente poetiche (orina in neve su tutte) ma sempre e comunque gradevoli.
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Ultimamente la fucina cinematografica cinese sta producendo titoli di buon livello e la Guerra dei fiori rossi di Zhang Yuang non fa che aggiungersi alla lista dei suddetti film, con qualche difettuccio in più.
In breve, si narrano le piccole ribellioni al conformismo di un piccolo bambino cinese nel suo asilo, tutti pargoli intorno ai quattro anni. E' quindi indubbiamente da lodare la bravura del regista nel gestire una simile orda di attori (quasi) ancora in fasce. D'altro canto bisogna riconoscere al film la mancanza di una certa profondità intellettuale, forse ingenuamente sperata ad inizio pellicola. Restano scene colorate, vivaci, alle volte comiche ma mai da prendersi troppo sul serio accompagnate da immagini belle e fresche, talune leggermente artificiosamente poetiche (orina in neve su tutte) ma sempre e comunque gradevoli.
Qua e là si intravede un'abbozzata metafora sul potere.
Consigliato, seppur con qualche riserva.
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