Paolo D'Agostini
La Repubblica
Nonostante il pullulare di omaggi e citazioni disseminati lungo tutto il film, Il pranzo della domenica è probabilmente il capolavoro di Carlo Vanzina. E di suo fratello Enrico che da un quarto di secolo gli sta accanto come sceneggiatore e co-produttore. Che vuol dire "nonostante"? Enrico e Carlo (rispettivamente classe 1949 e 1951) sono figli in senso lato e in senso stretto - il padre era Stefano Vanzina in arte Steno - del cinema popolare comico e di commedia degli anni Cinquanta-Sessanta.
Molto orgogliosi di esserlo, anche se questa fedeltà è costata loro un'etichetta di conservatori e restauratori. Che del tutto priva di fondamento non è stata: perché in effetti la loro devozione al "cinema di papà" l'hanno sempre praticata all'insegna di un artigianato tanto accurato e anche umile, quanto però decisamente parassitario, di seconda mano: hanno fatto del - consapevole, onesto - riciclaggio a partire dal primo loro exploit Sapore di mare. Qui no.
Il pranzo della domenica si abbandona alla suggestione evocatrice di pezzi di storia della commedia all'italiana, da Una vita difficile a C'eravamo tanto amati, da Speriamo che sia femmina a La famiglia, ma secondo un'idea, un "impasto", di oggi e originali.
L'idea-forza della famiglia e del suo riunirsi nel momento più simbolico (un pranzo della domenica apre, un altro pranzo della domenica chiude la storia), non certo inedita, rivive anch'essa di vita propria. E si snoda seguendo le personalità e l'intreccio tra le personalità che compongono il gruppo. Mamma Giovanna Ralli vedova borghese. Tre figlie: Elena Sofia Ricci sposata con molta prole, Barbara De Rossi sposata senza prole e malata immaginaria, Galatea Ranzi (che ha sostituito la prima candidata Lucrezia Lante della Rovere) sposa infelice. I tre rispettivi generi: Rocco Papaleo giornalista integerrimo o se preferite integralista che sbatte molte porte per fedeltà ai propri principi facendo languire nell'indigenza la numerosa famiglia; Maurizio Mattioli core romano semplice e generoso; Massimo Ghini avvocato rampante e instancabile inseguitore di sottane salvo rifugiarsi sordianamente sotto quelle coniugali quando è troppo.
Il massimo della "riconoscibilità rivisitata" nel personaggio di Papaleo: è un vecchio ragazzo della sinistra velleitaria, si chiama Nicola ed è una sintesi tra il Satta Flores di C'eravamo tanto amati e il Magnozzi di Una vita difficile. Ma per lui non c'è un odioso commendatore da prendere a schiaffi per celebrare il riscatto finale, c'è un lavoretto da ghost writer per un tracotante deputato fascista cui chinerebbe la testa se non fosse la moglie a impennarsi di dignità. Tutto a meraviglia, allora? No. Vanzina ha paura di prendersi tutti interi responsabilità e meriti. Sfiora la pienezza del risultato ma, per timidezza o per autocensura, non lo afferra stretto. Il bicchiere insomma è mezzo pieno (non mezzo vuoto).
Da La Repubblica, 03 maggio 2003
di Paolo D'Agostini, 03 maggio 2003