Titolo originale | Itar el-layl |
Anno | 2014 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Marocco, Francia, Gran Bretagna |
Durata | 90 minuti |
Regia di | Tala Hadid |
Attori | Fadwa Boujouane, Khalid Abdalla, Marie-Josée Croze, Hocine Choutri, Majdouline Idrissi Hindi Zahra, Samir El Hakim, Nabil Maleh. |
MYmonetro | 2,75 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 7 maggio 2015
Quattro persone, insieme per caso, si imbarcano in un viaggio che li porterà attraverso il Marocco, Istanbul e le pianure del Kurdistan.
CONSIGLIATO SÌ
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Zacaria ha lasciato partire suo fratello Yousef dal Marocco per l'Iraq e per la guerra "santa" alla quale si è voluto immolare. Poteva poco o niente contro una decisione del genere, ma si sente in colpa. Yousef ha lasciato una moglie e due figli e Zacaria, che sa cosa vuol dire perdere qualcuno, decide ad un certo punto di mettersi sulle tracce e di ritrovarlo, nonostante i rischi del viaggio. Intanto Aicha, sette anni, orfana, è stata comprata da un algerino intenzionato a rivenderla a caro prezzo ad un cliente pedofilo. Zacaria dà loro un passaggio nottetempo fino a Casablanca e, una volta compresa la situazione, cerca di portare in salvo la piccola e di affidarla alla persona giusta.
L'opera prima della regista irakeno-marocchina Tala Hadid mira alto: a combinare la testimonianza attuale sull'orrore in Medio Oriente con la riflessione poetica e cerebrale, a trovare la poesia nei luoghi della morte e il cuore tragico nel contesto della bellezza. Non è un'impresa da poco, soprattutto se intersecata con le tappe di un road movie (anzi due) e con la tensione che accompagna la traccia della piccola Aicha, inseguita dal mostro. Il risultato potrebbe apparire pretenzioso, non fosse che chi muove la macchina da presa conosce il pudore e il senso della misura.
Splendidamente fotografato da Alexander Burov, che ha lavorato con Sokurov nella sua produzione documentaristica in particolar modo, The narrow frame of midnight contrasta con l'immagine, sempre esatta e spesso poetica, gli inciampi della narrazione, le sue lungaggini, le ridondanze, e il montaggio talvolta meccanico che viene di conseguenza.
Il titolo, che cita Walter Benjamin e le sue considerazioni sul destino, ha il sapore intellettuale delle tavole del Beato Angelico studiate dal personaggio di Judith (Marie-Josée Croze), senza questo suoni per forza come un difetto: l'intento artistico dietro quest'opera di finzione è evidente ed esplicitato e pesa certamente di più rispetto all'urgenza di denunciare l'orrore dell'Iraq contemporaneo. Eppure, è nelle poche sequenze che riducono ad unum i due differenti intenti che il film raggiunge i risultati più alti, senza bisogno di parole. Così è per la scena del macello umano, in cui Zacaria è scortato alla ricerca del fratello, o del gioco nel campo, nel finale.