La maman et la putain

Film 1973 | Drammatico, V.M. 14 210 min.

Anno1973
GenereDrammatico,
ProduzioneFrancia
Durata210 minuti
Regia diJean Eustache
AttoriBernadette Lafont, Jean-Pierre Léaud, Françoise Lebrun, Isabelle Weingarten .
Uscitalunedì 13 marzo 2023
TagDa vedere 1973
DistribuzioneI Wonder Pictures
RatingConsigli per la visione di bambini e ragazzi: V.M. 14
MYmonetro 4,26 su 8 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

Regia di Jean Eustache. Un film Da vedere 1973 con Bernadette Lafont, Jean-Pierre Léaud, Françoise Lebrun, Isabelle Weingarten. Genere Drammatico, - Francia, 1973, durata 210 minuti. Uscita cinema lunedì 13 marzo 2023 distribuito da I Wonder Pictures. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: V.M. 14 - MYmonetro 4,26 su 8 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento giovedì 16 marzo 2023

Amori, tradimenti, libertà sessuale e soprattutto esistenziale. Tra sogno ed uso del tempo reale, uno dei film più sperimentali e letterari di Jean Eustache. Il film è stato premiato al Festival di Cannes, In Italia al Box Office La maman et la putain ha incassato 16,9 mila euro .

2023
Consigliato assolutamente sì!
4,26/5
MYMOVIES 5,00
CRITICA 4,79
PUBBLICO 3,00
ASSOLUTAMENTE SÌ
Il film più bello del mondo: un racconto incredibile dove tutto è terribilmente e meravigliosamente umano.
Recensione di Marzia Gandolfi
lunedì 6 marzo 2023
Recensione di Marzia Gandolfi
lunedì 6 marzo 2023

Alexandre, giovane dandy col foulard, vive la maggior parte del tempo affondato nel letto. Senza lavoro e senza soldi, dorme da Marie ma prova a riconquistare Gilberte, la donna che ama e che lo respinge. Impegnato a non fare nulla, Alexandre flâne a Saint-Germain-de-Prés e cena a Le Train Bleu con un prestito. Tra un café e una chambre de bonne seduce Veronika, una giovane infermiera disponibile al sesso e all'amore. La frequenta senza impegno e la presenta a Marie. Due incontri dopo, finiscono nello stesso letto.

Tutto sembra naturale: Marie mette un disco, Veronika si serve un Pernod, Alexandre parla e parla, ubriaco delle sue stesse parole e incapace di evolvere tra una 'mamma' che lo cova e una 'puttana' che lo intriga. Sul fondo dell'ebrezza e di lunghe notti di confessioni liquide, le dissertazioni amorose prendono un accento greve. Qualcuno tiene il muso, qualcuna ascolta, qualcuna vomita il diritto di contraddirsi e di andarsene. Poi tutto ricomincia su una vecchia canzone, perché a Parigi "les amants s'aiment à leur façon...".

Si dica senza indugio, La maman et la putain è il film più bello del mondo. Quello che ci ha insegnato a fare e a disfare il letto, ad ascoltare le donne, a vomitare con classe, a fischiettare Fréhel prima del caffè, a camminare in città e a sedurre al primo appuntamento, parlando troppo o stando in silenzio.

Uscito per la prima volta nel 1973, il diamante nero di Jean Eustache torna in sala cinquant'anni dopo, come nuovo, in una superba versione restaurata e dentro un abito tagliato su misura per le immagini che lo abitano. Le notti parigine ritrovano la loro profondità e gli appartamenti i loro 'falsi giorni', il loro calore e la loro penombra.

Le nuove generazioni avranno finalmente accesso a un film incredibile, un fantasma le cui incursioni nel nostro mondo erano così rare (la registrazione di un passaggio notturno su un vecchio VHS o la trasmissione su Arte in occasione della morte di Bernadette Lafont), che bisognava essere davvero appassionati o attenti per non mancarlo. E nel tentativo di ricordare dove lo abbiamo visto la prima volta, La maman et la putain ci appare come un altro pianeta in cui abbiamo voglia di abitare. Un mondo che era già straniero ai suoi contemporanei, nel film ascoltiamo Édith Piaf, non gli Stones. Girato ad altezza del suolo, come un film di Ozu, ci inchioda alla poltrona, emotivamente intatto dopo decenni passati nell'ombra, seppellito sotto le macerie dello scandalo, della censura, della mistificazione, della scomparsa di Catherine Garnier e del suicidio di Jean Eustache.

Il titolo, crudezza a parte, potrebbe essere quello di un mélo ma le cose sono più complicate di così, perché la maman (Marie) non ha figli, giusto un amante che nutre e mantiene, e la putain (Veronika) "scopa tutti gli uomini che può" per piacere, non per profitto. Dal titolo restano esclusi l'uomo che crea il legame, Alexandre, e Gilberte, la vecchia fiamma sfumata per sempre. Non si tratta quindi della storia più vecchia del mondo, vecchia quanto il cinema almeno e quanto l'Aurora di Murnau, quella di un uomo indeciso tra due donne e tentato dall'illecito. La questione per Eustache non è sostituire una coppia con un'altra ma fuggire l'idea stessa della coppia per un'utopia sentimentale infinitamente estensibile. Il risultato non cambia, l'impossibilità dell'amore è dietro l'angolo, l'inestricabilità della relazione uomo-donna in un letto posato a terra.

Alla vertigine dell'infedeltà, succede l'ossessione dell'impegno, il film comincia e si chiude con due domande di matrimonio, e il disco (ri)suona un vecchio refrain. Come in Le due inglesi, dove Jean-Pierre Léaud interpretava già il terzo lato del triangolo, i vecchi demoni, i sentimenti vivi e le gelosie sopravvivono e "fanno male". Soprattutto nella Parigi di Eustache, dove uno più uno non si sommano mai. Né per una coppia, né per l'altra. Ci sono solo solitudini nel film che dimorano separate dal montaggio, come se uomo e donna non potessero convivere nella stessa immagine. Quando succede, la camera da letto diventa un campo di battaglia, un teatro di operazioni belliche. Se i café di Saint-Germain sono luoghi di incontro, lo spazio domestico è un luogo di scontro dove la parola, più che altrove regna sovrana. Bisogna ascoltare, ascoltare tutto, bere ogni dialogo con whisky e Pernod.

In La maman et la putain la parola è la forma, la trama, il colpo di scena, lo straripamento che nasconde il vuoto riempito sovente da una canzone suonata per intero da un giradischi. Alexandre, che ha le carte in regola per essere una canaglia, parla come un libro, ogni opinione è una citazione, ogni confessione una negazione per sottrarsi, perché è meno osceno mascherare il cuore che metterlo a nudo. Gli aforismi del dandy, che contrastano il silenzio, rimbalzano sulle parole vere e crude di Veronika, che grida la sua esistenza. In un lungo piano fisso che non lascia scampo e va dritto al cuore, confessa il suo amore o forse chiede aiuto. Françoise Lebrun si abbandona completamente alla camera e a un monologo travolgente sulla mancanza di consistenza della vita, in cui tutto si mescola, sesso e amore, desiderio di maternità e morte, mascara e lacrime.

In questa epopea (deliberatamente autobiografica) del sentimento amoroso, Eustache filma relazioni che non smettono di ramificare, si interroga sulla coppia, la sua necessaria evoluzione, l'amore libero, la parità uomo-donna, il desiderio femminile, il dolore di stare al mondo. Guardiani del fuoco e di quel testo mostruoso, la sceneggiatura conta 300 pagine, i suoi attori aggiungono un accento singolare: la folgoranza Nouvelle Vague di Jean-Pierre Léaud (Alexandre), l'aura bressoniana di Isabelle Weingarten (Gilberte), l'opacità renoiriano di Bernadette Lafont (Marie) e la ieraticità di Françoise Lebrun (Veronika), metà Falconetti, metà Demazis. Praticamente una carta geografica del cinema francese.

Come nessuno, il film fiume di Eustache mette in scena il disincanto degli orfani del '68, spettri che si sfiorano senza scaldarsi, cercando rifugio in un'erranza parigina piena di insolenza o in certe ore pallide della notte, tra le lenzuola sgualcite di Jean-Pierre Léaud o nella fibra letteraria dei loro monologhi. Spalancato sull'amore e sul diritto della donna a condurre la propria vita come desidera, questo triangolo equilatero che "beve, fuma, scopa" e parla, seguendo il desiderio di geometria di Serge Gainsbourg, dispiega la parola femminile e deflagra il nostro piccolo mondo confuso, coi suoi punti di riferimento ancestrali perduti e nessun sentimento per la memoria. In quel flusso infinito di gesti e di parole, anche la crudeltà e il bisogno di ferire hanno il loro posto, perché tutto in Eustache è terribilmente e meravigliosamente umano. A (ri)guardarlo oggi, il suo modello incandescente, che non si comportava bene con le donne e praticava il 'nullismo', non avrebbe potuto insegnare il savoir-vivre alle nuove generazioni, ma che invidia il suo gusto arrogante del caos...

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STAMPA
RECENSIONI DELLA CRITICA
lunedì 14 agosto 2023
Alessandro Ronchi
Gli Spietati

Oggetto leggendario, di culto, maledetto come pochi altri, La maman et la putain è nella sua torrenzialità free from uno dei film più importanti della storia del cinema fino a rendere la trattazione esaustiva impresa non solo impossibile, soprattutto insensata. Quelli che seguono sono appunti attorno al primo - di due - lungometraggio di fiction firmato Jean Eustache.

giovedì 16 marzo 2023
Fabrizio Croce
Close-up

È sorprendente quanto sappiano essere ancora devastanti ed intense nella loro crudezza e verità le parole pronunciate dai personaggi de La maman et la putain, disincantata e incarnata elegia di un menage a trois fino a un respiro che sembra non farsi mai ultimo, esondante gli argini di qualsiasi durata e formato cinematografici: opera torrenziale e dilatata nel cercare risonanze con i tempi e gli [...] Vai alla recensione »

martedì 14 marzo 2023
Roy Menarini
Roymenarini.it

L'istante in cui la Nouvelle Vague si volse al nero. Un'epopea di parole e sesso, dentro poche stanze e un paio di bistrot, che comincia come una ronde amorosa con la gioia di inizio anni Sessanta e finisce con le schegge della disperazione dei primi anni Settanta. Impastato di vita, corpi e infelicità (Eustache si suicidò otto anni dopo, e il film stesso nasce da event luttuosi), il capolavoro si [...] Vai alla recensione »

domenica 12 marzo 2023
Grazia Paganelli
Duels.it

Quando La maman et la putain uscì nelle sale cinematografiche francesi nel 1973 non fu accolto positivamente dalla maggior parte della critica di allora. Nonostante il Gran Premio al Festival di Cannes, è noto il disprezzo che Ingrid Bergman, allora presidente di giuria, espresse nei confronti del film che, oggi, a cinquant'anni di distanza, è diventato, però, un vero e proprio punto di riferimento [...] Vai alla recensione »

sabato 11 marzo 2023
Fabio Fulfaro
Sentieri Selvaggi

Il fallimento della rivoluzione sessuale come metafora del fallimento del movimento del '68. Siamo già nel periodo post Nouvelle Vague e i vari Truffaut, Godard, Rohmer sono macinati e polverizzati dalla poesia anarchica di Jean Eustache. La maman et la putain, vincitrice nel 1973 del Grand Prix della giuria a Cannes, è opera fluviale che travolge tutti i dettami e le fondamenta di una "certa tendenza [...] Vai alla recensione »

venerdì 10 marzo 2023
Silvio Danese
Quotidiano Nazionale

Torna in sala dopo 50 anni un cult cinefilo (1973), un rientro morale e politico (borghese?) post '68 e passaggio importante oltre la lezione Nouvelle Vague. Tre ore e mezzo in lunghi piani-sequenza per sorprendere una relazione a tre, scandalosa (e premiata a Cannes) più per l'intimità spregiudicata (ai tempi) dei monologhi su esistenza, costumi, sesso, desideri, illusioni, che per la promiscuità [...] Vai alla recensione »

NEWS
TRAILER
giovedì 2 marzo 2023
 

Dopo 50 anni arriva in versione restaurata in 4k, una pietra miliare del cinema classico. Dal 13 marzo in sala. Guarda il trailer »

winner
premio speciale della giuria
Festival di Cannes
1973
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