Giulietta Masina (Giulia Anna Masina) è un'attrice italiana, è nata il 22 febbraio 1921 a Bologna (Italia) ed è morta il 23 marzo 1994 all'età di 73 anni a Roma (Italia).
Laureata in lettere, esordi giovanissima, ancora studentessa, in teatro, per passare quindi alla radio dove ottenne negli anni di guerra un notevole successo in una trasmissione, Cico e Pallina, scritta da Federico Fellini. Nel dopoguerra abbandonò gradatamente la sua attività teatrale per dedicarsi completamente al cinema, dove aveva già esordito in una particina nell'episodio fiorentino di Paisà (1947, Roberto Rossellini). Già col secondo film, Senza pietà (1948, Alberto Lattuada), aveva dimostrato ottime doti d'attrice drammatica, ma il grande successo di pubblico e di critica le venne soltanto nel 1954 con La strada (Federico Fellini), dopo le buone prove offerte soprattutto in Luci del varietà (1951, Alberto Lattuada e Federico Fellini) e in Europa '51 (1952, Roberto Rossellini), in cui diede vita al personaggio di una popolana dal temperamento caldo ed istintivo. Ne La strada impersonò la dolce e ingenua Gelsomina, con una sensibilità originalissima, una forte carica umana e una sottile vena comica e patetica al tempo stesso, così da farne uno dei personaggi più interessanti del cinema italiano di quegli anni e certamente il personaggio femminile più riuscito di Fellini. Nel successivo Le notti di Cabiria (1957, Federico Fellini), il personaggio della prostituta Cabiria approfondì i caratteri peculiari della precedente Gelsomina, ne arricchì la psicologia e i rapporti con il mondo e gli uomini; tuttavia, l'interpretazione denunciava già una certa maniera, che sarebbe stata propria della Masina negli anni seguenti. A partire infatti da Fortunella (1958, Eduardo De Filippo) e da Nella città l'inferno (1958, Renato Castellani), si fa sentire sempre più evidente nella recitazione dell'attrice il mestiere, soprattutto quando non è controllata da una regia rigorosa. In Giulietta degli spiriti (1965, Federico Fellini), certamente la sua prova più matura, il personaggio di Giulietta, questa donna di mezza età, borghese, tranquilla, che si accorge finalmente della realtà che la circonda e del tradimento del marito, superando la crisi con una saggezza riacquistata, è senza dubbio vivo e profondo, ma non esce completamente dagli schemi dei precedenti personaggi felliniani, ai quali la Masina aveva conferito una recitazione ormai cristallizzata in formule drammatiche. Fu sposata dal 1943 con il regista Federico Fellini.
«Jè scappata la mojee!!...ma di’ un po’, perché t’è scappata, je menaavi?!» - «Aah...urg...sig...are dal Papa...» - «Doveva andare dal Papaa!». È l’incontro notturno tra «Cabiria» (guizzata come un folletto dall’immaginazione felliniana e destinata a entrare nel mondo delle favole) e il povero Leopoldo Trieste, fresco sposino tradito senza tradimento da Bunella Bovo e dallo «Sceicco Bianco» Albertone nazionale.
Non è sola Cabiria, in quella magica piazzetta romana (Piazza Campitelli). C’è lo sputafuoco, una sorta di gnomo fiammeggiante del tutto improbabile, ma anche lui, con Lei, precursore della mitologia felliniana. Ma nell’attesa che Giulietta diventi Gelsomina, e rinasca Cabiria, come si esercita la fantasia del Maestro? Quel giorno di primavera a Piazza di Spagna - tanto per dirne una - a bordo del suo macchinone americano usato, lui alla guida, Giulietta a fianco, io dietro, accade che con fare professionale Lui giri lentamente sguardo, e collo, alla sua sinistra; con lo stesso ritmo, con la stessa professionalità, io giro sguardo, e collo, nella stessa direzione. Giulietta non gira il capo da nessuna parte, ma parla, sferzante: «Cosa credete che non vi conosca, voi due, sconci pappagalli romani?»- «Ma che dici Giuliettina?...non capisco»- E io bieco, di rincalzo: «guardavamo la carrozzella, che ci serve per la scena». C’era poco da capire. Avevamo girato la testa, entrambicalamitati da un gran culo primaverile di passaggio. «In primavera scoppiano i culi
come gli oleandri in fiore», era solito dire Federico: ma i suoi pensieri non sfuggivano a Giulietta mai.
Ma il cordone ombelicale che li univa lui e Giulietta, non poteva che essere eterno.
Dal primo giorno all’ultimo.
-«È proprio uno stronzo, ma proprio stronzo stronzo!» Commentava Fellini verso il maestro Rossellini, che si allontanava dalla casa di Via Lutezia dopo aver detto al discepolo esordiente che Lo Sceicco Bianco, appena visto in privato, andava rimontato tutto: tutto da rifare. - «Gli brucia! Gli brucia!» fa eco dalla finestra Giulietta, dimenticando di fare il cri-cri del grillo parlante, lei che troppo tenera con Rossellini, donnaiolo e spendaccione, non era mai stata. E poi verso Pasolini, ancora coppia solidale. «Come fa quello...» - mi diceva il cattolico Federico quella sera a Piazza del Popolo (1956), mentre P.P.P. si allontanava dopo averci passionalmente confessato che la cosa più bella al mondo era fare l’amore, «...come fa quello a parlare così, lui che è un pigliànculo! » (era appena avvenuta la nostra conoscenza con P.P.P.). E Giulietta di rimando, qualche tempo dopo: «Moraldo, come fate tu e Federico a mantenere un rapporto con quel corruttore di minorenni...quello va condannato »- Non mi esprimo. Riferisco soltanto.
Ma il suo ruolo di donna e di moglie Giulietta lo esercitava secondo le regole (sue). Infatti al marito lo mandava in giro con poche migliaia di lire in tasca, per le sigarette; manco per la benzina alla quale, finché lavoravo e potevo ricorrere al mio stipendio, provvedevo io; oppure a mia sorella Cosetta che ci buttava «la diecimila dalla finestra»: «Cosettina, sai Giulietta è dal parrucchiere e se puoi...poi me li faccio dare...sai, se Giulietta sa che faccio debiti!...» Ma cos’era Giulietta per Fellini? Solo la moglie paziente, tollerante, amministratrice, e magari ispiratrice? Niente l’una, niente l’altra né l’altra ancora, e nemmeno l’ispiratrice. Giulietta era parte di sé, la sua colonna vertebrale, il suo insostituibile sostegno, sia nella vita che nella creatività. Giulietta era lui stesso. Non c’era bisogno di ispirazione perché lei «era» i suoi personaggi. Ed era la sua compagna insostituibile, anche se mille volte sostituita. Lei lasciava correre, e anche lui lasciava correre (oggi non più) se l’una o l’altra dichiaravano, o scrivevano, con assolute certezze confermavano, che le prossime nozze erano imminenti. Commiserevolezze.
Cabiria de Lo Sceicco è stato un lampo, un guizzo, una sonatina. Fellini ripartorisce la sua Giulietta e fa nascere Gelsomina. Che nuova forma le dà? E come, e quanto, lei accetta questo nuovo parto, ancora inconsapevole del suo destino? Fellini la sveste, la ricopre di stracci, le scolora i capelli impiastricciandoli di colla farina terra e chiara d’uovo, la mette nelle mani di Zampanò, un bruto che la tratta come un animale. Le toglie ogni traccia di femminilità. Eh no! Tu mi trasformi in Gelsomina ma io sono anche «donna»! In qualche misura Giulietta chiedeva il mio aiuto, e io chiudevo un occhio quando scendendo dal misero camioncino sporgeva il petto in fuori a mostrare almeno la protuberanza di una tetta. «Beccatevi ‘sta tetta, voi che siete scettici! », pareva dicesse.- «Ah Mora’!, ah Morà!», prontissimo Federico. Figuriamoci se gli sfuggiva una cosa del genere, e mi riportava all’ordine. E poi le rimostranze in privato. «Se volevano dare la mia parte alla Mangano vuol dire che qualcosa della donna ci doveva pur essere!». Lamentava Giulietta. «Ma quale Mangano!...De Laurentiis ci aveva provato, De Laurentiis, non io»... «E poi non credo che tu rappresenti proprio la femminilità». Con Fellini ci raccontavamo quotidianamente i nostri sogni, e forse ilmio subconscio si produsse in aiuto a Giulietta. «Federico, scusami ma stanotte ho sognato Giulietta...te lo confesso, un sogno erotico...ma non lo dire mai a Giulietta, prometti» - Promesso. La sera dopo, a cena a casa sua in via Lutezia, la terribile cameriera sardami serve guardandomi in cagnesco; Giulietta mi guarda languida. Io mi blocco lo stomaco e smetto di mangiare.
«Se mi ha tradito lo strozzo». «Ma perché? È una cosa carina, che c’è di male!» Fu la sua risposta. E rinunciai allo strozzamento.
In Le notti di Cabiria, in qualche misura si ripresentò la loro differenza di vedute. Nelle scene drammatiche, dove esplode tutta l’umanità del personaggio, e di Giulietta, la figura di Cabiria, che Fellini aveva continuato a considerare un po’ come una propaggine di Gelsomina, si distacca troppo dalla sua progenitrice. Perde i toni clowneschi che F.F. avrebbe desiderato mantenere, Giulietta recita come un’attrice drammatica, e una bella notte, nella scenamadre, nel finale sul lago di Castel Gandolfo, quando l’infido François Perier tenta di ammazzarla, viene accusata di voler fare la Magnani, di recitare coi sensi e con la passione. Quella notte il dramma lo visse lei, povera grande Giulietta, assieme a tutti noi. Ma i fatti le diedero ragione. Ragione piena. Oscar al Film, nastro d’argento a lei. Successo mondiale. Non lo confessò (credo) mai a nessuno, Fellini, esalato dai successi; ma la favola di Gelsomina, Zampanò e il Matto, gli lasciò aperto nell’animo uno squarcio come una ferita mai rimarginata, che lui non voleva rimarginare, che ha continuato a farlo vibrare di commozione per tutto il resto della sua esistenza. Qualcuno si ricorderà quella nota, la prima nota di emessa dalla tromba di Gelsomina quando, perduto il senno dopo la morte del Matto, cerca forse un contatto sovrannaturale, forse con Dio, e rivolge il suono straziante al cielo, scombussolando profondamente l’anima animalesca di Zampanò. La stessa nota che Zampanò ode nel canto di una ragazza che distende candide lenzuola (candide come la purezza di Gelsomina) in riva al mare.
Da L'Unità, 23 marzo 2004
Giulietta è un tipico esemplare del suo segno astrologico. Tutti i Pesci hanno questa totale doppiezza, quest'ambiguità che in un batter d'occhio te li fa trovare da un'altra parte. Sono come uno specchio che ruota su se stesso. Nelle rare volte in cui mi capita di rivedere qualche immagine di quei vecchi film, Gelsomina e Cabiria continuano a sorprendere anche me. Sono personaggi nati da lei, trasmessi da lei e realizzati nonostante lei. Così Federico Fellini in un'intervista del 1991 parlava di Giulietta Masina, la grande attrice, non solo felliniana, la cui arte è oggetto del convegno che si tiene a Rimini in questi giorni. Sono trascorsi dieci anni dalla morte della Masina e cinquanta dalla Strada, il film che la rivelò in campo internazionale. E’giusto non solo ricordarla, ma soprattutto studiarla, sia in rapporto a Fellini, ai suoi personaggi, alle sue storie fra realtà e fantasia, allo stile della recitazione, sia nei confronti di film diretti da altri registi, con storie e personaggi differenti. Sebbene, a ben guardare, c'è sempre in lei, nei diversi ruoli, una sorta di impronta felliniana, indelebile, quasi un marchio di fabbrica, come se Fellini l'avesse plasmata una volta per sempre, anche contro la sua volontà. D'altronde non v'è dubbio che i grandi personaggi da lei interpretati sono Gelsomina Di Costanzo (La strada, 1954), Cabiria (Le notti di Cabiria, 1957), Giulietta Boldrini (Giulietta degli spiriti, 1965), Amelia Borghetti detta Ginger (Ginger e Fred, 1985). Quattro figure di donna che non si dimenticano facilmente, simili e diverse, semplici e complesse, a cui la Masina conferisce uno spessore filmico sorprendente. Sono personaggi che, forse perché realizzati nonostante lei, acquistano una dimensione strana, sfuggente, come fossero a un tempo dentro e fuori del film, partecipassero alla storia e ne osservassero da lontano l'evolversi. Quella doppiezza che Fellini ricordava e fanno della recitazione della Masina un caso abbastanza unico. Sicché, osservandone la carriera d'attrice dal punto di vista del cinema di Fellini, riesce poi difficile cogliere l'autenticità e l'autonomia di altri personaggi da lei tratteggiati in altri contesti . Come l'innocente domestica Lina, ingiustamente incarcerata, in Nella città l'inferno (1958) di Renato Castellani, o la servetta d'osteria Erdme in La donna dell'altro (1959) di Victor Vicas, o la dattilografa Doris in La gran via (1960) di Julien Duvivier, o la maga Frau Holle in La signora della neve (1985) di Jurai Jakubisko. Certamente più della Fortunella immaginata da Fellini nel film omonimo (1958) di Eduardo De Filippo, pallida copia di Gelsomina. Sono tappe importanti d'una carriera di attrice sensibile e dotata, fuori degli schemi abituali del cinema italiano, che andrebbero analizzate con maggiore attenzione, film per film, personaggio per personaggio, come cerca di fare finalmente il Convegno di Rimini.
Da La Stampa, 31 ottobre 2004