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Oggi più che mai c'è bisogno di Philip Roth

Nel panorama dell'offerta di questa epoca una proposta 'alla Roth' andrebbe sempre e comunque tenuta in considerazione.
di Pino Farinotti

mercoledì 23 maggio 2018 - Focus

Qualche mese fa ho visto su Rai 5 un servizio su Philip Roth, sincero, approfondito, personale. Scrittore grande, grandissimo, e uomo di qualità. Ebreo, dunque inserito ab origine in quella cultura, ma attento a coglierne gli aspetti impropri. Ha parlato a lungo di quello che lui considerava - e non solo lui - il titolo che più lo identifica, "American Pastoral". E poi del rapporto dei suoi libri col cinema, ma non ne parlava volentieri. Una delle ragioni è "strutturale", nel senso che uno scrittore non ha mai un rapporto felice col cinema, concetto che si perfeziona se il protagonista è Roth.

Ci sono scrittori "filmabili" e altri ostici. Shakespeare, Tolstoj, Dickens, Kipling, Hemingway e Fitzgerald, Tolkien, Dumas e Hugo - parlo, a campione, di giganti - erano adattabili, altri, come, Kafka, Joyce e Proust, Salinger e Kafka, si scrollavano il cinema di dosso. Troppa letteratura a comandare, troppa introspezione, rara l'azione. Roth fa parte del gruppo puristi, chiamiamoli così. Tanto che nessuno dei film tratti da suoi libri è un classico.
Pino Farinotti

Troppe omissioni, troppi compromessi e aggiustamenti. Un titolo che appartiene al cartello nobile della letteratura americana, "Il lamento di Portnoy" del 1972, è diventato un film - compromesso peraltro dal raccapricciante titolo Se non faccio quello non mi diverto - piatto e incompleto, per le ragioni dette sopra, al punto da costare la carriera al regista Ernest Lehman.

"American Pastoral" è un altro titolo di eccellenza, caposaldo della cultura ebraico-americana, premio Pulitzer 1998. Il film relativo è un modello esemplare del rapporto detto sopra: è del 2016, diretto da Ewan McGregor, attore, alla sua prima esperienza di regista, la cui intenzione è stata lodevole, cimentarsi, per la prima volta dall'altra parte della cinepresa, su un testo che porta la firma di Philip Roth, dunque molto complesso. Si racconta la vicenda di Seymour Levov, tipico modello dell'american dream: ricco, affascinante, affermato, moglie bellissima, figlia amatissima. Vita perfetta dunque, fino a quando la ragazza diventa una terrorista. A quel punto il romanzo affronta il tragico imprevisto estendendolo all'anima generale della nazione. Mentre il regista, e con lui John Romano, sceneggiatore, ahimè, di serie televisive, contiene il dramma nell'ambito individuale e dispensa dosi di sentimento "da film" a fronte dell'analisi dolorosa e profonda che appartiene alla carta. Sul film mi fermo qui. Perché, comunque, è bene vederlo.


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