Il ritorno della fotografia.
di Roy Menarini
Che cosa è Il cinema in movimento? Una rubrica dedicata alle trasformazioni del cinema nell'epoca dei new media e alle riflessioni che si possono trarre dalle novità in atto.
Andando su Youtube e digitando sul cursore di ricerca il titolo Small Stories di David Lynch, si assiste a un divertente filmato che il regista americano ha concepito come trailer per l'omonima mostra fotografica aperta da poco a Parigi, presso la Maison Européenne de la Photographie. Si tratta di una quarantina di scatti, sospesi tra surrealismo e ironia lunare (insomma, tipicamente lynchiani), che confermano come - in assenza di lungometraggi - la creatività di Lynch continui a estendersi tra vari media, pittura, scultura, audiovisivo, musica e appunto fotografia. Lynch non è l'unico cineasta che si diletti nella fotografia tra un film e l'altro, né questo mezzo espressivo va considerato un parente ormai lontano delle immagini in movimento.
Anzi proprio questo mezzo espressivo - uno dei tanti che secondo gli apocalittici avrebbe dovuto scomparire nell'epoca del digitale - è al centro di un dibattito molto ricco tra gli esperti e si sta rivelando strategico (secondo l'opinione degli storici) nell'epoca dei social media. Mai come oggi, su Facebook e altri network, lo scatto fotografico appare centrale per lo scambio di suggestioni ed esperienze. Pubblicare una fotografia celebre, o curiosa, o nostalgica, o storica significa aprire un tavolo di valutazione simbolica del reale con i propri interlocutori virtuali. Offrire al prossimo scatti fotografici (o interi diari di immagini) della propria vita, equivale a "narrativizzare" il privato e scambiarlo con quello degli altri - da cui tutta le delicata discussione sul pubblicare o meno le foto dei proprio bambini.
Ma se escludiamo l'attenzione al privato o l'esibizione dell'autoritratto (il famigerato "selfie") sui social media specifici (Instagram, per esempio), scopriamo che il rapporto tra fotografia e cinema sta assumendo nuovi contorni. La foto tratta da un vecchio film, sui media collettivi, enfatizza per esempio un atteggiamento di nobilitazione nostalgica del cinema come archivio del passato, e rende monumentale un infinito serbatoio di immagini evocative che, a volte, valgono più di un film rivisto per l'ennesima volta.
Ancora, in un mercato editoriale molto affaticato, dove le pubblicazioni di critica e saggistica del cinema appaiono residuali, ad avere ancora vitalità e acquirenti sono i libri illustrati, i grandi volumi fotografici di cinema dove l'esperienza del film viene evocata, arricchita, se non superata da quella delle immagini fisse.
Esiste persino un grande artista contemporaneo, il fotografo Gregory Crewdson, che concepisce le sue opere come scatti di film mai girati, imitando l'iconografia del cinema americano anni Cinquanta/Sessanta e costruendo veri e propri set con attori professionisti (Julianne Moore, per esempio), al solo scopo di ottenere un'immagine che sappia evocare al solo sguardo tutta l'esperienza simbolica del cinema.
Sia che parliamo di ritratti fotografici, sia di scatti ottenuti sul set, oppure ancora di icone d'autore, insomma il valore aggiunto della riproduzione senza movimento è sempre più evidente.
Una vera sorpresa, molto lieta, nell'epoca degli ecosistemi mediali.