La sottile linea rossa

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Un film di Terrence Malick. Con Sean Penn, Jim Caviezel, Nick Nolte, Elias Koteas, Ben Chaplin.
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Titolo originale The Thin Red Line. Guerra, Ratings: Kids+16, durata 170 min. - USA 1998. MYMONETRO La sottile linea rossa * * * - - valutazione media: 3,27 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

una sottile e lucida interrogazione sull'uomo Valutazione 0 stelle su cinque

di chiron


Feedback: 65 | altri commenti e recensioni di chiron
domenica 31 maggio 2009

solo se affetti da grave strabismo, si potrebbe intendere la Sottile linea rossa come un film di guerra, sulla guerra, contro la guerra. altrettanto strabiche, risulta la duplice collocazione drammatico/sulla seconda guerra mondiale che il film di Malick riceve nelle locandine cinematografiche e persino nei dizionario, fino a wikipedia. Strano. ma significativo. come scorgere un albero e non vedere la foresta. e la foresta di Malick è la condizione umana, colta in quell'attimo di resipiscenza, quando il dolore, lo stupore, il non senso avvolgono l'uomo costringendolo all'esperienza dello spaesamento, dello straniamento - che lo porta ad oscillare tra orrore, cinismo, illusione, interrogazione. banale e la (s)qualificazione del film in termini di panteismo, semi/parabuddistico. come sembra fare anche morandini. il film è, a mio parere, appunto più "sottile". non come una lama che "taglia" tra opzioni filosofiche nette o verità assolute. sottile come, per riprendere il Kiplig da cui il titolo stesso è tratto, come il filo logico-concettuale ed interpretativo che permette di distinguere tra lucidità e follia. filo appuno tenue perchè di può benissimo dare una follia lucida. Anzi, è probabile che la lucidità - come pretesa di una chiarezza assoluta, come negazione dell'ombra, come rifiuto dello sconcerto e bisogno di "luce assoluta" - si più sintomo di follia che di ragionevolezza. e allora, dove, nel film si coloca questa linea sottile? cosa separa? credo che separi proprio l'uomo dalla natura. proprio perchè l'uomo è uomo, ente biologico che si interroga, proprio perchè problematizza il suo essere ente di natura, l'uomo fa l'esperienza del non senso, di cui Malick ci offre una metafora classica: quella del male sommo che è la violenza omicida. Vi è, sullo sfondo, un senso di pietà e compassione (più vicono a Leopardi che al Budda): siamo tutti impegnati a raggiungere una collina. il sentiero è pieno di ostacoli di attese. di incertezze. sarebbe bello non pensare alla collina come avamposto nemico. anche perchè quel nemico, come i giapponesi del film - avrebbe il nostro stesso umanissimo volto, contratto in smorfie di dolore, disperazione, terrore. la natura, magnificamente rappresentata (e tale da rendere il film eccellente sul piano del godimento estetico) non è peranto da intendersi come metafora di una ingenua pacificazione. come memento dell'Eden. essa è specchio della stessa condizione umana, possedendo le stesse virtualità e effettualità della bellezza e dell'orrore. l'uomo non può prenderla a modello. deve staccarsene e riprendere il cammino della sua domanda folle: che ci faccio qui? e perchè l'altro mi è simile ed estraneo al tempo stesso, sì da averne bisogno e temerlo? malick non dà risposte. i suoi personaggi sono voci di un coro che non può suscitare sconcerto, ammirazione, dolore, spavento e tenerezza. tanta tenerezza. la stessa che si può provare ascoltando il primo incerto e sottile balbettare di nostro figlio. ignaro della guerra che lo sta attendendo. ecco, forse, verso questo bambino/figlio che tutti siamo e anche abbiamo dovremmo riuscire ad espicitare le buone ragioni del fare bene: il fondamento di scelte tragiche e doverose e però giuste:come appunto quella di Witt, che letteralmente e "insensatamente" offre la vita per il suo plotone. così da costrinegere il sergente Welsh ad uscire , dichiarando l'acutezza del suo sentire la mancanza dell'amico. sentire che qualcuno ci manca, ecco l'inizio dell'umanità.

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tommy martedì 16 marzo 2010
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