Che il regista canadese non ami la convenzione era già assodato da tempo e d'altronde genio e creatività artistica raramente vanno a braccetto con la convenzione, ma Cronenberg nel 1996 ha osata di più, sfidando tutti i taboo di genere e di stile e proponendo un film che pur essendo considerato un cult, rimane uno dei più controversi, disturbanti, perversi e inquietanti ancora oggi.
Adattamento di un altrettanto controverso romanzo di J. Ballard, il film sembra seguire un unico filo conduttore che si crea e si disfa per immagini anziché seguire il classico schema narrativo che si basa sulla sceneggiatura robusta e solida. E le immagini trascinano lo spettatore in questo mondo parallelo, cupo e malsano, opprimente e deviante alla continua ricerca del piacere, dell'eccitazione e del desiderio che richiede di abbattere nuove frontiere e conquistare nuovi orizzonti pur di (ri)attivare quella risposta libidinosa di cui i protagonisti del film sono ormai schiavi. E la nuova frontiera, la nuova porta verso il piacere sessuale, viene data appunto dallo scontro violento tra automobili, dagli incidenti quasi mortali che segnano e deformano in modo permanente il corpo, come le auto. La violenza dell'impatto genera e rinnova la pulsione sessuale, ne ampia la dimensione, proprio grazie alla sua diretta comunicazione con la morte. Lo scontro, metaforico e simbolico ma anche concreto, tra corpi e macchine, è uno scontro diretto e frontale tra eros e thanatos che sprigiona tutti quei primordiali istinti collegandoli ad una disturbante, malsana e morbosa attrazione verso la morte stessa, che all’interno di questo macabro racconto assume il ruolo dell'unico, ineguagliabile propulsore del desiderio.
La macchina diventa il mezzo per raggiungere ambedue, sia l'apice del piacere che la morte, due nozioni le quali in Crash si fondono, s'intrecciano, s'intercambiano costantemente risultando indistinguibili.
Gli scontri automobilistici però non producono soltanto piacere e morte ma corpi con lividi, tagli, cicatrici. Corpi deformati e segnati ma che all'interno del film assumono una dimensione erotica ed elettrizzante che alimenta e rinnova la passione dei tre protagonisti principali; James Ballard, sua moglie Kathryn e l'ombroso Vaughn. Il sangue, i tagli, addirittura le protesi metalliche, tutto contribuisce a veicolare, a lambire nuove emozioni, ma puramente e soltanto sessuali, primitive.
In Crash infatti mancano del tutto i sentimenti, manca l'empatia, la ragione. I protagonisti restano impassibili davanti agli incidenti automobilistici, davanti alle vittime che essi producono. Le loro reazioni di fronte a tali avvenimenti non sono affatto verosimili, tantomeno comprensibili e si ha sempre la sensazione di assistere ad un microcosmo di una società perversa e autodistruttiva, una società in declino, moralmente sterile che corre ad una velocità iperbolica verso la propria autodistruzione senza alcun pentimento o presa di coscienza.
Il binomio eros/thanatos è qui talmente indissolubile e potente da generare un forte impatto sulla psiche dello spettatore il quale viene immerso in questa realtà straniante quanto perversa ma impossibile da dimenticare, che striscia sotto la pelle e penetra nella mente e nell'inconscio senza mai andarsene. Il metallo si scontra e si fonde col corpo umano, la macchina diventa un'estensione del corpo in questa continua, estenuante ricerca del piacere che diventa sempre più cupa e ossessiva-compulsiva, dove i tagli e le cicatrici, come le ammaccature e i graffi delle auto diventano nuove simmetrie erotiche in una cornice di decadenza e sessualità. Una tipologia di sessualità deviante e malata all'insegna del ineluttabile incontro/ scontro tra vita e morte, tra deformità e armonia corporea che genera un nuovo tipo di piacere ed estasi.
Folgorante in tal senso la scena finale del film con i due coniugi che ancora una volta, nonostante la violenza dell'impatto, e sotto shock, appagano i loro istinti primordiali, li nutrono, li assecondano meccanicamente.
La regia anche in questo caso è impeccabile, e nonostante la disarmante debolezza dello script, l'implausibilità delle reazioni dei protagonisti e la scarsità di dialoghi, Crash resta un film visivamente potente, notevolmente disturbante e violento il quale senza rientrare o sfiorare minimamente la categoria horror, produce un effetto simile nella mente dello spettatore. Mette a disagio, sconvolge, inquieta dando l'impressione di assistere ad un incubo che si materializza sotto i nostri occhi, una società anestetizzata, strappata da qualsivoglia umanità e dove l'unico elemento dominante è la sessualità, nella sua accezione e dimensione più morbosa e perversa che trova il suo sfogo nella morte, nel dolore, nella violenza dello scontro e dell'impatto; ultima barriera da sfondare in questa catastrofica ricerca del piacere fine a se stesso che culmina, inevitabilmente, nella morte. Thanatos è il fine, Eros il mezzo.
Volenti o meno, Crash resta un prodotto indimenticabile ma sicuramente non per tutti. 3/5.
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