elia
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venerdì 23 dicembre 2005
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che storia !
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Se qualcuno vuol fare un regalo di Natale a se stesso, il consiglio è di andare a vedere questo film di Cronenberg. In maniera molto precisa e senza troppi giri di parole ci mostra un ritratto della provincia americana, quella lontana dalle grandi metropoli più note a noi europei. Ci pone in modo spietato di fronte all’interrogativo, che almeno una volta tutti nella propria vita si sono posti, se veramente sappiamo chi abbiamo accanto. Conosciamo veramente fino in fondo la propria moglie, i figli o i nostri amici? Il passato che ritorna a perseguitare il personaggio interpretato da Mortensen, riporta in superficie la sua vera identità. Allo stesso tempo però scatena nella moglie e nel figlio uno sconvolgimento tale da farli sembrare ciò che non sono.
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Se qualcuno vuol fare un regalo di Natale a se stesso, il consiglio è di andare a vedere questo film di Cronenberg. In maniera molto precisa e senza troppi giri di parole ci mostra un ritratto della provincia americana, quella lontana dalle grandi metropoli più note a noi europei. Ci pone in modo spietato di fronte all’interrogativo, che almeno una volta tutti nella propria vita si sono posti, se veramente sappiamo chi abbiamo accanto. Conosciamo veramente fino in fondo la propria moglie, i figli o i nostri amici? Il passato che ritorna a perseguitare il personaggio interpretato da Mortensen, riporta in superficie la sua vera identità. Allo stesso tempo però scatena nella moglie e nel figlio uno sconvolgimento tale da farli sembrare ciò che non sono. La moglie, tenera ed innamorata, appena capisce qual è la verità, diventa violenta e sospettosa. Il figlio, mostra che anche in lui, in un angolo nascosto risiede una forza di autodifesa istintiva ereditata dal padre. Ognuno non sembra più quello che è. Allora qual è la verità? Mentre il nucleo familiare sembra sgretolarsi, il padre decide di chiudere definitivamente col passato. A questo punto Cronenberg fa la scelta più giusta. L’anima pura, la bambina, accetta il padre per come lo conosce. E così la famiglia fa lo stesso e decide che è giusto proseguire da dove la loro esistenza era stata brevemente interrotta, perché le persone possono cambiare e se decidono di farlo non bisogna confondere una scelta di vita con una menzogna.
Dopo la breve descrizione iniziale della piccola cittadina, classica in tutto, pregi e difetti, Cronenberg fa salire la tensione con un susseguirsi di azione e scene lente ma intense.
Un film dove non ci sono eroi, e dove tutti, tranne la piccola hanno una colpa, ci viene proposto il tema del riscatto sotto forma di eliminazione fisica di chi contrasta il proprio progetto. Senza però dare lezioni morali o giudizi sulle azioni. E’ il racconto di una storia.
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mason filippo/mr_pink
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venerdì 13 giugno 2008
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la violenza come pochi la sanno raccontare
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A history of violence ci rende ancora una volta la fermezza e il professionalismo del regista canadese. Forse il miglior film di una grandissima carriera di un regista che ha cambiato la storia del cinema (e non solo del genere horror). Cronenberg ci mostra la vita nel suo quotidiano di un personaggio che recita una parte che in realtà non è mai stata sua. Narra la storia di personaggi apparentemente inseriti nella società ma che in realtà sono ben distanti dalle regole morali, ricordando che la violenza è attorno a noi e che può esplodere in un attimo come quelle dannate teste in "Screamers", solo che qui si narra una storia che si può ritrovare in un semplice giornale, una storia che può riguardare anche il nostro vicino di casa.
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A history of violence ci rende ancora una volta la fermezza e il professionalismo del regista canadese. Forse il miglior film di una grandissima carriera di un regista che ha cambiato la storia del cinema (e non solo del genere horror). Cronenberg ci mostra la vita nel suo quotidiano di un personaggio che recita una parte che in realtà non è mai stata sua. Narra la storia di personaggi apparentemente inseriti nella società ma che in realtà sono ben distanti dalle regole morali, ricordando che la violenza è attorno a noi e che può esplodere in un attimo come quelle dannate teste in "Screamers", solo che qui si narra una storia che si può ritrovare in un semplice giornale, una storia che può riguardare anche il nostro vicino di casa. La violenza, citata prepotentemente nel titolo affiora in un attimo e ci mostra un marito modello (Tom Stall) trasformarsi (e qui Cronenberg non è nuovo) in un assassino facendoci intuire senza l'uso di flashback il passato oscuro di Tom, il passato che ha cercato di nascondere e che ha ripudiato per amore di una donna e dei suoi figli. Ma il passato ritorna e con lui i suoi fantasmi. Croneberg gira un film in una maniera forse ancora più secca dei precedenti lavori e lo fa attraverso dei grandi attori, in particolare Viggo Mortensen, perfetto nel dare vita ad uomo che per molti hanno ha vissuto un'identita non sua. John Olson dà a Cronenberg un copione lucido, senza sbavature, perfettamente in tono con le paure e le angoscie del regista canadese. Il resto, come sempre, dalla fotografia alle musiche, rende la pellicola semplicemente un capolavoro. E il "lieto fine", con Ton accanto ai suoi famigliari seduti ad un tavolo è uno dei finali più aggiaccianti che il cinema abbia mai regalato al pubblico.
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[+] ehm
(di fra)
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osteriacinematografo
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lunedì 6 febbraio 2012
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il passato torna a galla
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Tranquilla cittadina di provincia americana.
Dove tutti conoscono tutti e le colazioni nelle tavole calde non finiscono mai.
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Tranquilla cittadina di provincia americana.
Dove tutti conoscono tutti e le colazioni nelle tavole calde non finiscono mai.
Cronenberg s’insinua strisciando nella vita di una famiglia qualsiasi, scopre il nervo d’un passato che inizia a ticchettare come il senso strano e disarmonico di una stonatura.
Tom Stall subisce l’aggressione di due malviventi, nel difendersi reagisce, cede il passo all’istinto, li uccide entrambi, fino a divenire eroe cittadino; il suo viso è ovunque, il suo passato d’ombra e delinquenza lo riconosce e lo va a cercare.
Tom Stall in quanto tale non può far nulla, che sia difendere se stesso o la sua famiglia o soltanto la sua reputazione. E si tramuta gradualmente in Joy Cusack, quel Joy che riaffiorerà gradualmente fino ad esplodere in ogni direzione. In questo passaggio di consegne fra maschere emerge forse più chiaramente il legame fra il film e il fumetto da cui l’effetto scaturisce, così come nella vendetta totale che si sviluppa in seguito.
La maschera, l’identità che oscilla, le certezze di una famiglia che traballano fino a sgretolarsi, tutto si muove, tutto è teso in un film che s’infila infido sotto la superficie come un sommergibile nemico (quale che sia il nemico).
La violenza genera violenza e diviene incontenibile, il sangue scorre fuori e scorre dentro, come il fiume in piena di “Shining”, il passato di Tom è più presente che mai e si diffonde tutto intorno, come un virus senza cura, che ha come antidoto se stesso e la propria estenuante propagazione.
Indimenticabili prove di Ed Harris e William Hurt.
Le ferite non si rimarginano mai del tutto, le scelte passate non terminano mai di produrre effetti, a maggior ragione se sono scelte macchiate di sangue e violenza.
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laurence316
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lunedì 19 maggio 2014
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il gran ritorno di cronenberg
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A 3 anni da Spider, ecco tornare uno dei più grandi registi contemporanei, David Cronenberg, autore di veri e propri capolavori nel genere horror. Questo film, come del resto il successivo La promessa dell'assassino, rappresente l'apoteosi di una carriera trentennale. Seppur apparentemente semplice e lineare, è un film profondamente ambiguo, in cui non vi è distinzione netta fra bene e male, che nasconde una ricchezza di temi insolita in quello che è pur sempre, almeno sulla carta, un cine-comics. Realistico, violento e non privo di ironia. E' basato sulle contraddizioni nella forma e forse anche nella sostanza. Può essere visto come una spietata scansione di quel che sono gli Stati Uniti, una nazione fondata sul sangue.
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A 3 anni da Spider, ecco tornare uno dei più grandi registi contemporanei, David Cronenberg, autore di veri e propri capolavori nel genere horror. Questo film, come del resto il successivo La promessa dell'assassino, rappresente l'apoteosi di una carriera trentennale. Seppur apparentemente semplice e lineare, è un film profondamente ambiguo, in cui non vi è distinzione netta fra bene e male, che nasconde una ricchezza di temi insolita in quello che è pur sempre, almeno sulla carta, un cine-comics. Realistico, violento e non privo di ironia. E' basato sulle contraddizioni nella forma e forse anche nella sostanza. Può essere visto come una spietata scansione di quel che sono gli Stati Uniti, una nazione fondata sul sangue. Una parabola sulla normalità, forse addirittura sulla tolleranza della violenza. E' pessimista perché pessimista è il regista che l'ha concepito. Ma in tutto s'inserisce ancora un barlume di luce, forse, di cui è rappresentativo l'ambiguo, quieto finale. Tratto da una graphic-novel di J.Wagner e V.Locke, ambientato nella cittadina immaginaria di Millbrook, Indiana, è stato girato a Millbrooke, nell'Ontario.
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andrea s.
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lunedì 9 novembre 2009
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l'irrevocabilità del male
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A history of violence è senza dubbio uno dei miglior film degli ultimi anni. Il maestro canadese David Cronenberg ci offre un lavoro che colpisce “violentemente” sia il nostro stomaco che la nostra mente. Fin da subito rimaniamo storditi. Siamo in un area di servizio, nella provincia americana, e due balordi, per niente frenetici o preoccupati, hanno appena ucciso a sangue freddo chi là dentro lavorava, non facendosi scrupoli nemmeno davanti ad una bambina. La gratuità del male squarcia in questo modo lo spazio ed entra nel tempo lasciandoci con un peso insostenibile e con un vuoto di senso. I due poi si spostano in un paesino e decidono di mangiare in una tavola calda il cui proprietario è il calmo e pacifico Tom.
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A history of violence è senza dubbio uno dei miglior film degli ultimi anni. Il maestro canadese David Cronenberg ci offre un lavoro che colpisce “violentemente” sia il nostro stomaco che la nostra mente. Fin da subito rimaniamo storditi. Siamo in un area di servizio, nella provincia americana, e due balordi, per niente frenetici o preoccupati, hanno appena ucciso a sangue freddo chi là dentro lavorava, non facendosi scrupoli nemmeno davanti ad una bambina. La gratuità del male squarcia in questo modo lo spazio ed entra nel tempo lasciandoci con un peso insostenibile e con un vuoto di senso. I due poi si spostano in un paesino e decidono di mangiare in una tavola calda il cui proprietario è il calmo e pacifico Tom. Le cose si mettono male, i due killer infastidiscono una ragazza e tirano fuori le pistole, in quell’istante abbiamo la reazione di Tom che, in una scena straordinaria, li fa fuori entrambi. Tom diventa un eroe ed accorrono anche le televisioni. Ma il clamore e la visibilità è così alta che di lui si accorge una vecchia e poco rassicurante conoscenza che va a fargli visita ricordandogli i suoi oscuri trascorsi . Chi è Tom? È il tranquillo lavoratore che ha realizzato il sogno americano vivendo felicemente e senza scossoni con la sua famiglia, o è un uomo misterioso che nasconde un passato di indicibile violenza? Il dubbio inizia a serpeggiare anche all’interno del microcosmo familiare per poi farsi sconcerto ed incredulità nel momento in cui, per difendersi ancora, Tom uccide davanti ai suoi cari il gangster venuto a portarlo via. A questo punto tutto si rompe, e la violenza latente e repressa si sprigiona creando il caos, innescando un inarrestabile reazione a catena: il figlio che fino ad ora ha avuto un comportamento giudizioso contro i bulli che a scuola lo tormentano (dando ascolto ai consigli paterni), dà sfogo alla sua rabbia picchiando quei ragazzi; la moglie, che non sa più chi dorme accanto sè, cerca dal marito una risposta sulla sua vera o presunta identità (sempre che di una sola identità si debba parlare), e la cerca con un’aggressività comprensibile dando vita ad un incontro-scontro, il rapporto sessuale sulle scale, che ci fa capire come anche nel sesso vi sia una dose di violenza non trascurabile. Alla fine Tom sarà costretto a fare i conti con il suo passato tornato a presentargli il conto delle sue colpe; sarà costretto a ricorrere di nuovo alla violenza per espiarle o forse più semplicemente per nasconderle di nuovo e recuperare così quella parvenza di normalità che si è faticosamente conquistato con il tempo. Quando nel finale Tom torna a casa è costretto ad affrontare lo sguardo dei suoi familiari : cosa c’è nei loro occhi? Paura per l’uomo che Tom è stato e forse ancora è, o semplicemente il desiderio di riscoprire un padre ed un marito? Solo la bambina, nella sua innocenza, è in grado di accoglierlo come il papà di sempre. Una cosa è certa al termine del film, Cronenberg , senza velleità pedagogiche, denuncia pessimisticamente l’ineluttabilità del male, una male che ritorna in continuazione alla sua origine, senza possibilità di soluzione e molto spesso di “comprensione”.
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a.l.
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mercoledì 28 dicembre 2005
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tele di ragno
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In una memorabile sequenza di “Spider” la madre racconta al protagonista bambino la stravagante favola dei ragni che fanno bellissime tele, fino a quando non esauriscono la loro energia e muoiono: nel suo penultimo film, ambientato negli squallidi quartieri del disagio proletario dell’Inghilterra degli anni Sessanta e Ottanta, Cronenberg illustrava un capitolo del suo saggio di storiografia antropologica, individuando nella psiche umana e nelle tele di ragno, create ossessivamente dal suo fondo oscuro ed inquietante, la forza corrosiva che intrappola senza via di scampo, individui e società, qualunque sia la forma apparente che essi assumano per sfuggirvi. La macchina da presa inquadra le ragnatele appese a muri e soffitti, diventa prigioniera del loro tortuoso, inestricabile aggrovigliarsi: allucinazioni, fantasmi, personalità ed ambienti inafferrabili e mai circoscrivibili in caratteristiche definite, lucidità e razionalità asservite a follia e ferocia mai sopite.
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In una memorabile sequenza di “Spider” la madre racconta al protagonista bambino la stravagante favola dei ragni che fanno bellissime tele, fino a quando non esauriscono la loro energia e muoiono: nel suo penultimo film, ambientato negli squallidi quartieri del disagio proletario dell’Inghilterra degli anni Sessanta e Ottanta, Cronenberg illustrava un capitolo del suo saggio di storiografia antropologica, individuando nella psiche umana e nelle tele di ragno, create ossessivamente dal suo fondo oscuro ed inquietante, la forza corrosiva che intrappola senza via di scampo, individui e società, qualunque sia la forma apparente che essi assumano per sfuggirvi. La macchina da presa inquadra le ragnatele appese a muri e soffitti, diventa prigioniera del loro tortuoso, inestricabile aggrovigliarsi: allucinazioni, fantasmi, personalità ed ambienti inafferrabili e mai circoscrivibili in caratteristiche definite, lucidità e razionalità asservite a follia e ferocia mai sopite. Le mostruose aracnidi umane hanno un modo privilegiato per manifestare la loro tentacolare natura: la violenza. “A history of violence”, l’ultimo film dell’autore canadese, ispirato molto liberamente a una graphic novel di John Wagner e Vince Locke, eleva alla milionesima potenza la mistificazione ovattante del vivere protetti in società ordinate e benestanti, contaminando l’aria pulita della pacifica provincia americana con la presenza di un sanguinario killer travestito da buon padre e dei suoi ex-complici sfregiati, grottescamente deturpati a un occhio, che si aggirano per il villaggio con una panciuta auto nera da gangster: una moglie e un marito innamorati, tenerezza e masochismo, figli esemplari e aggressività rimossa ed esplosiva, partite di football e bulli, centri commerciali e lunghe strade, il bar saloon, lo sceriffo amabile e amico di famiglia e rapinatori carnefici, pistole e belle parole, mafiosi e giustizieri, la tavola imbandita e il silenzio complice fra i componenti del microcosmo, rimandano alla tipizzazione di un’America costruita perversamente sulle orme di un Paese reale da un immaginario collettivo disturbato e distorto. La classicità della pellicola, il riferimento alla tradizione illustre del western e del noir, la reminiscenza di situazioni “pantagrueliche” alla Tarantino, in Cronemberg non attestano il tributo devoto del cinefilo innamorato ai propri modelli quanto invece la convinzione che anche l’arte sia secrezione di ragno: film e libri sono uno specchio deformante di un esistente metamorfico, sfuggente alla presa come il mitico multiforme Proteo; ogni storia ne echeggia altre, in un ciclo la cui sola regola è l’eterno ritorno, la linearità/evoluzione di trame e personaggi non può che essere menzognera, precariamente e ingannevolmente decodificabile dai mille travestimenti della ragione. In “Spider” o in “Crash” si respira l’aria ammorbata di un ospedale psichiatrico: il bisturi/sguardo squarcia e incide, ma non sana il cervello. In “A history of violence” il barocchismo sottopelle stride con il gioco scoperto di richiami e rimandi a opere celebri dello schermo, da “Il promontorio della paura” a tutto il filone sul “passato che torna”, e persino, forse, a “Bowling a Colombine”, e con la voluta schematicità degli eventi, ma l’epopea è sempre quella, uguale a stessa all’ infinito, del ragno e delle sue tele e Cronemberg continua ad esserne il cantore.
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[+] a history of violence
(di patricia)
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patricia
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mercoledì 4 gennaio 2006
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eroe dell'anima. che emozione.
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Mi ha emozionato molto. Il vero eroe non è quello che salva la comunità dai cattivi che entrano nel bar per disturbare e massacrare la gente perbene, cosa che in america accade un minuto sì e uno no. La caratura di quest'eroe è autentica. Con le telecamere spente, l'eroismo ha preso corpo dopo la fuga di Joy da Filadelfia, durante la trasformazione, la scelta di non vivere passioni violente e il potere, che porta a molto denaro e alla soddisfazione di ogni tipo, come dimostrano la dimora principesca del fratello, vero e proprio doppio di Joy.
Non è un film buonista come pensavo. Joy sceglie il bene autentico proprio perchè può farlo: è ancora capace di uccidere, semplicemente non vuole proseguire.
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Mi ha emozionato molto. Il vero eroe non è quello che salva la comunità dai cattivi che entrano nel bar per disturbare e massacrare la gente perbene, cosa che in america accade un minuto sì e uno no. La caratura di quest'eroe è autentica. Con le telecamere spente, l'eroismo ha preso corpo dopo la fuga di Joy da Filadelfia, durante la trasformazione, la scelta di non vivere passioni violente e il potere, che porta a molto denaro e alla soddisfazione di ogni tipo, come dimostrano la dimora principesca del fratello, vero e proprio doppio di Joy.
Non è un film buonista come pensavo. Joy sceglie il bene autentico proprio perchè può farlo: è ancora capace di uccidere, semplicemente non vuole proseguire. Solo un uomo come Joy può amare veramente la famiglia del Sogno americano, mentre i suoi figli e la moglie lo ameranno veramente solo a partire dalla fine del film, conoscendolo e accogliendolo nella sua totalità.
Film per questo dalla carica etica forte, e le scene alla Tarantino, le ferite alla Rambo, la macchina demoniaca alla Stephen King, il poliziotto sempre alla Stephen King da paesino del Maine non sottraggono vitalità al percorso iniziatico di un eroe dell'anima.
Il coraggio di Joy è immenso, mentre il doppio-fratello-Hurt non si sporca le mani per ucciderlo, soccombendo infatti; mentre il piccolo doppio-figlio di Joy è una sintesi felice degli straordinari genitori, con la dialettica della madre, la forza quasi sciamanica del padre, la capacità di perdono, e la bambina è un angelo. Recensione troppo new age? sorry.
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nicolò
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giovedì 3 maggio 2007
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viggo mortensen alle prese con il passato
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Ha solo un anno di vita, "A History of Violence". E allora perché è già entrata, la bellissima storia di Tom Stall (Mortensen) e della sua famiglia, nella memoria degli spettatori? Forse perché dietro c'è la mano, geniale e bizzarra, di quel mostro cinematografico che è David Cronenberg. Da anni Cronenberg affascina, sconvolge, stupisce il pubblico con i suoi capolavori: si pensi a "La mosca", a "Inseparabili", "La zona morta", "Crash", solo per citarne alcuni. Con "A History of Violence" ha superato se stesso, ispirandosi ad un fumetto di Vince Locke e John Wagner - adattato per lo schermo da Josh Olson -, e narrando le avventure di un criminale che ha cambiato identità e fa il barista in una piccola cittadina dell'Indiana.
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Ha solo un anno di vita, "A History of Violence". E allora perché è già entrata, la bellissima storia di Tom Stall (Mortensen) e della sua famiglia, nella memoria degli spettatori? Forse perché dietro c'è la mano, geniale e bizzarra, di quel mostro cinematografico che è David Cronenberg. Da anni Cronenberg affascina, sconvolge, stupisce il pubblico con i suoi capolavori: si pensi a "La mosca", a "Inseparabili", "La zona morta", "Crash", solo per citarne alcuni. Con "A History of Violence" ha superato se stesso, ispirandosi ad un fumetto di Vince Locke e John Wagner - adattato per lo schermo da Josh Olson -, e narrando le avventure di un criminale che ha cambiato identità e fa il barista in una piccola cittadina dell'Indiana. Con la popolarità, ottenuta dopo aver sventato una rapina nel suo locale, Stall riceve anche la visita di un gangster (Harris) che è socio di quello che si proclama fratello del protagonista, Richie Cusack (Hurt). Stall nega, e mentre la moglie (Bello) è insospettita, decide di fare i conti con i propri fantasmi... Un capolavoro del noir girato con maestria e superbamente interpretato da un cast in cui la vera sorpresa è Mortensen, già Aragorn ne "Il signore degli anelli" - ma anche il sadico sergente di "Soldato Jane".
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stefano
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lunedì 9 gennaio 2006
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classico cronenberg
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Di sicuro un buon film. La cosa che lascia un pò perplessi è forse l'estrema semplicità della sceneggiatura (prababilmente voluta) che rende il film un pò troppo prevedibile. Per il resto non si discutono le capacità di un maestro come Cronenberg, in quanto a tempi di esposizione, alla luce di scena e alle angolazioni delle inquadrature, con virtusismi cinematografici nella cura del dettaglio (le inquadrature delle deturpazioni da arma da fuoco su tutte). Validissimo e realistico Viggo Mortensen ma addiruttura sopraffino William Hurt nella caratterizzazione del suo personaggio, che anche se resta poco sulla scena lo fa in maniera incisiva lasciando sicuramente il segno. Nel complesso un film che si può vedere ma probabilmente non rivedere.
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jill
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sabato 12 gennaio 2008
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la vendetta della violenza
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Questo film di David Croneberg è un saggio sulla viscerale violenza dell'uomo, radicata nei suoi aspetti più subdoli, frutto di una natura animale completamente irrazzionale. Tutto nel film è lucido e spietato. A cominciare dalla prima memorabile scena, dove un uomo all'apparenza normale, entra in un negozio e uccide brutalmente una bambina con in mano un orsacchiotto. Lo spettatore è svegliato dalla violenza, se ne sente partecipe, nauseato e atterrito. Vorrebbe morti gli assassini della piccola. La scena si sposta, ora vediamo un uomo normale, con una vita normale, con dei figli normali, con una moglie normale, con un lavoro normale in una caffetteria. Tutto è talmente normale che diventa nauseabondo, quasi quanto la scena iniziale.
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Questo film di David Croneberg è un saggio sulla viscerale violenza dell'uomo, radicata nei suoi aspetti più subdoli, frutto di una natura animale completamente irrazzionale. Tutto nel film è lucido e spietato. A cominciare dalla prima memorabile scena, dove un uomo all'apparenza normale, entra in un negozio e uccide brutalmente una bambina con in mano un orsacchiotto. Lo spettatore è svegliato dalla violenza, se ne sente partecipe, nauseato e atterrito. Vorrebbe morti gli assassini della piccola. La scena si sposta, ora vediamo un uomo normale, con una vita normale, con dei figli normali, con una moglie normale, con un lavoro normale in una caffetteria. Tutto è talmente normale che diventa nauseabondo, quasi quanto la scena iniziale. Ma poi... Poi qualcosa cambia, la violenza entra brutalmente e nuovamente in ballo sconvolgendo praticamente tutto. Tom Stall si trova a dover uccidere per difendersi. Questo evento cambierà non solo la sua vita, ma anche quella della sua famiglia. Il figlio, da ragazzo modello, si trasforma in picchiatore di bulli, la mogliettina dopo lo spavento, finisce per soddisfare con il suo maritino l'istinto animale radicato in lei, e, se il primo amplesso tra i due è all'insegna della timidezza e quasi della vergogna, il secondo è a dir poco furibondo, avviene sulle scale, con una voracità che lascia sconcertati. Tutto è opera della violenza? Croneberg pare proprio che con questo film, voglia risponderci di sì.
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