A History of Violence |
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Un film di David Cronenberg.
Con Viggo Mortensen, Maria Bello, Ed Harris, William Hurt, Heidi Hayes.
continua»
Drammatico,
durata 96 min.
- USA 2005.
- 01 Distribution
uscita venerdì 16 dicembre 2005.
MYMONETRO
A History of Violence
valutazione media:
3,35
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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TELE DI RAGNOdi a.l.Feedback: 0 |
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mercoledì 28 dicembre 2005 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
In una memorabile sequenza di “Spider” la madre racconta al protagonista bambino la stravagante favola dei ragni che fanno bellissime tele, fino a quando non esauriscono la loro energia e muoiono: nel suo penultimo film, ambientato negli squallidi quartieri del disagio proletario dell’Inghilterra degli anni Sessanta e Ottanta, Cronenberg illustrava un capitolo del suo saggio di storiografia antropologica, individuando nella psiche umana e nelle tele di ragno, create ossessivamente dal suo fondo oscuro ed inquietante, la forza corrosiva che intrappola senza via di scampo, individui e società, qualunque sia la forma apparente che essi assumano per sfuggirvi. La macchina da presa inquadra le ragnatele appese a muri e soffitti, diventa prigioniera del loro tortuoso, inestricabile aggrovigliarsi: allucinazioni, fantasmi, personalità ed ambienti inafferrabili e mai circoscrivibili in caratteristiche definite, lucidità e razionalità asservite a follia e ferocia mai sopite. Le mostruose aracnidi umane hanno un modo privilegiato per manifestare la loro tentacolare natura: la violenza. “A history of violence”, l’ultimo film dell’autore canadese, ispirato molto liberamente a una graphic novel di John Wagner e Vince Locke, eleva alla milionesima potenza la mistificazione ovattante del vivere protetti in società ordinate e benestanti, contaminando l’aria pulita della pacifica provincia americana con la presenza di un sanguinario killer travestito da buon padre e dei suoi ex-complici sfregiati, grottescamente deturpati a un occhio, che si aggirano per il villaggio con una panciuta auto nera da gangster: una moglie e un marito innamorati, tenerezza e masochismo, figli esemplari e aggressività rimossa ed esplosiva, partite di football e bulli, centri commerciali e lunghe strade, il bar saloon, lo sceriffo amabile e amico di famiglia e rapinatori carnefici, pistole e belle parole, mafiosi e giustizieri, la tavola imbandita e il silenzio complice fra i componenti del microcosmo, rimandano alla tipizzazione di un’America costruita perversamente sulle orme di un Paese reale da un immaginario collettivo disturbato e distorto. La classicità della pellicola, il riferimento alla tradizione illustre del western e del noir, la reminiscenza di situazioni “pantagrueliche” alla Tarantino, in Cronemberg non attestano il tributo devoto del cinefilo innamorato ai propri modelli quanto invece la convinzione che anche l’arte sia secrezione di ragno: film e libri sono uno specchio deformante di un esistente metamorfico, sfuggente alla presa come il mitico multiforme Proteo; ogni storia ne echeggia altre, in un ciclo la cui sola regola è l’eterno ritorno, la linearità/evoluzione di trame e personaggi non può che essere menzognera, precariamente e ingannevolmente decodificabile dai mille travestimenti della ragione. In “Spider” o in “Crash” si respira l’aria ammorbata di un ospedale psichiatrico: il bisturi/sguardo squarcia e incide, ma non sana il cervello. In “A history of violence” il barocchismo sottopelle stride con il gioco scoperto di richiami e rimandi a opere celebri dello schermo, da “Il promontorio della paura” a tutto il filone sul “passato che torna”, e persino, forse, a “Bowling a Colombine”, e con la voluta schematicità degli eventi, ma l’epopea è sempre quella, uguale a stessa all’ infinito, del ragno e delle sue tele e Cronemberg continua ad esserne il cantore.
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