writer58
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giovedì 27 maggio 2021
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il colosso d''argilla
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Il fascismo, nel 1936, è una macchina di potere fondata su una burocrazia oppressiva, sulla paura e sulla delazione. Dopo le elezioni farsa del 1924, il regime si è consolidato e gode di un appoggio popolare rinsaldato dalla conquista dell'Etiopia e dalla proclamazione dell'impero. La propaganda è martellante, le simbologie littorie onnipresenti, la repressiome nei confronti degli oppositori è spietata e pervasiva. In questo clima, anche le voci dissidenti, che pure avevano partecipato alla costruzione del fascismo degli esordi, vengono messe ai margini e neutralizzate.
Il caso di Gabriele D'Annunzio è esemplare: il poeta nazionale, "il vate", il comandante di Fiume, il rivoluzionario che volò sui cieli di Vienna nel 1918, durante la grande guerra, viene guardato con sospetto dai vertici del regime, che diffida della sua autonomia intellettuale e delle sue posizioni movimentiste e libertarie.
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Il fascismo, nel 1936, è una macchina di potere fondata su una burocrazia oppressiva, sulla paura e sulla delazione. Dopo le elezioni farsa del 1924, il regime si è consolidato e gode di un appoggio popolare rinsaldato dalla conquista dell'Etiopia e dalla proclamazione dell'impero. La propaganda è martellante, le simbologie littorie onnipresenti, la repressiome nei confronti degli oppositori è spietata e pervasiva. In questo clima, anche le voci dissidenti, che pure avevano partecipato alla costruzione del fascismo degli esordi, vengono messe ai margini e neutralizzate.
Il caso di Gabriele D'Annunzio è esemplare: il poeta nazionale, "il vate", il comandante di Fiume, il rivoluzionario che volò sui cieli di Vienna nel 1918, durante la grande guerra, viene guardato con sospetto dai vertici del regime, che diffida della sua autonomia intellettuale e delle sue posizioni movimentiste e libertarie. D'Annunzio, d'altra parte, non si sottrae alle polemiche: giudica Hitler un "ridicolo pagliaccio", valuta ll'alleanza tra Mussolini e la Germania come un disastro, disprezza l'evoluzione del fascismo da movimento insurrezionale a dittatura totalitaria.
Non sorprende quindi che le gerarchie fasciste decidano di controllare il poeta nominando un commissario incaricato di spiarlo, redigere rapporti scritti e limitarne le uscite pubbliche, un giovane federale promettente e devoto alla causa. Giovanni Comini deve sorvegliare il poeta e raccogliere informazioni sul suo conto, ma allo stesso tempo lo deve trattare con rispetto, deve dare l'impressione di essere dalla sua parte, diventare un intermediario di fiducia che collega la gabbia dorata del Vittoriale con il resto del paese. Un po' per volta, tuttavia, l'ossequio formale si trasforma in un legame reale e i dubbi sull'alleanza con Hitler iniziano a lambire le certezze del giovane federale.
Il film ricostruisce accuratamente gli ambienti dell'epoca. Girato in prevalenza all'interno del Vittoriale, nella magione in cui D'Annunzio, visse i suoi ultimi 15 anni di vita, ne esalta gli aspetti simmetrici e monumentali che, a dispetto dell'ampiezza del complesso, producono una sensazione di claustrofobia e ordine fittizio. Solo il protagonista si sottrae a questa dittatura, che richiama quella più generale del regime, ma la sua vitalità, il suo disordine, l'uso di cocaina, i rapporti sessuali plurimi appaiono ormai come un'estrema e malinconica resistenza, un'ultima protesta di fronte a una vita che volge al termine, a un paese ormai geneticamente mutato, a una classe politica impegnata a terrorizzare più che a convincere.
Il fascismo è ritratto come una fabbrica di icone giganti (busti del Duce, enormi fasci littori, scritte in bassorilievo che richiamano l'antico impero romano) che rendono le persone piccole e trascurabili. Anche Mussolini viene rappresentato come un grottesco burattino che muove il busto sul balcone per rispondere alle acclamazioni della folla. Un ambito chiuso, asfittico, dominato da un pensiero unico, che incoraggia spie e delatori.
L'interpretazione di Castellitto è eccellente nel tratteggiare la figura del Vate vicino alla morte: recitazione misurata e intensa giocata più sul filo dell'ironia che su quella dell'invettiva. Molto buona anche la performance di Patanè e del resto del cast in una pellicola che costuisce un ottimo esordio di Jodice tra i lungometraggi per il cinema.
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mister q
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mercoledì 26 maggio 2021
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più fumo che arrosto e d''annunzio diventa contorno
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Sono tante le interpretazioni possibili quando si sceglie di rifarsi a fatti storici e realmente accaduti. "Il cattivo poeta" non si fa documentario e si prende così la libertà di mescolare vite e storie fittizie incastrandole con gli ultimi anni di D'Annunzio. Né biografia né completa trasfigurazione della storia, ma il protagonista non è il poeta così come non è neanche il giovane federale che si immerge nel microcosmo con toni fiabeschi del Vittoriale: è piuttosto la graduale processione, che si fa sentire anche nella lentezza dei tempi, dell'intera nazione verso il dramma della guerra verso cui è condotta dal fascismo crepuscolare e forzatamente raccontato tra bui sotterranei degni di un horror e gerarchi, o cittadini imbevuti dalla propaganda, abbozzati e superficiali, veri e propri stereotipi in scena, un po' fuori luogo così come alcune scene fin troppo caricaturali di Castellitto/D'Annunzio che comunque si difende.
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Sono tante le interpretazioni possibili quando si sceglie di rifarsi a fatti storici e realmente accaduti. "Il cattivo poeta" non si fa documentario e si prende così la libertà di mescolare vite e storie fittizie incastrandole con gli ultimi anni di D'Annunzio. Né biografia né completa trasfigurazione della storia, ma il protagonista non è il poeta così come non è neanche il giovane federale che si immerge nel microcosmo con toni fiabeschi del Vittoriale: è piuttosto la graduale processione, che si fa sentire anche nella lentezza dei tempi, dell'intera nazione verso il dramma della guerra verso cui è condotta dal fascismo crepuscolare e forzatamente raccontato tra bui sotterranei degni di un horror e gerarchi, o cittadini imbevuti dalla propaganda, abbozzati e superficiali, veri e propri stereotipi in scena, un po' fuori luogo così come alcune scene fin troppo caricaturali di Castellitto/D'Annunzio che comunque si difende. Approccio complessivo lontano da, per fare un esempio, "Una giornata particolare" .
L'architettura viene giustamente valorizzata e si prende la scena, così come il grande lavoro nei costumi: il palcoscenico del vittoriale, la finestra sul lago isolata dal mondo, sono quasi un altro mondo, distante dal pericolo che pure il Poeta (almeno nel film) percepisce con crescente tensione diventando quasi veggente dedlla disgrazia, così come distante dalla realtà è il fascismo che copre il suo vuoto con la maestosità e imponenza delle coreografie, dei palazzi, del controllo sulla società. Il messaggio che si intende dare è chiaro. E del resto anche se il film vuole parlare di un'intera nazione, la società nel film è distante, non esiste. Così le scenografie, gli sfondi, si prendono la scena e almeno in parte riescono a coprire i vari limiti della sceneggiatura, con un D'Annunzio che in più occasioni risulta fin troppo caricaturale così come alcuni dialoghi e tempi lenti che vogliono essere carichi di pathos ma più che seri risultano seriosi. Non mancano lampi che con delicatezza registica esaltano i drammi umani che colpiscono il giovane e ne mettono alla prova i convincimenti, almeno se si fa lo sforzo di accettarne l'ingenuità, forzatura che come già detto risulta anche nella banalizzazione di altri personaggi. Ed è questo che stona, un racconto e un'interpretazione che spesso risultano forzati così come la cura quasi morbosa dell'estetica che ricorda Sorrentino senza averne il tocco (penso alle accennate scene di nudo così come alla scena della corte sulla scalinata intenta ad ascoltare il discorso ai reduci): con la storia e il realismo dei personaggi che vengono almeno in parte, per me troppo, sacrificati sull'altare della volontà eccessiva di fare didattica, di esprimere la più piena condanna politica, la superficialità volgare del fascismo, chiave su cui si svolge tutto il film. Scelta che si può capire ma che mi pare che alla fine pesi eccessivamente diventando rinondante e coprendo la storia, divisa in atti che scandiscono l'avvicinarsi della crisi inevitabile. D'Annunzio dunque: non sfugge il racconto del poeta, i momenti più importanti della sua vita, l'attore fa emergere la sua eccentricità con sceneggiatura anche qui che a tratti calca troppo la mano, ma nel film anche lui viene coperto dalla scelta di fare del film una condanna politica che è legittima ma che nell'esito complessivo mi sembra abbia soffocato il resto. Il film ha comunque dei bei momenti, delle scene ottime e nel complesso si fa vedere, anche se il ritmo lento a dispetto dell'ora e quaranta "dichiarata" fa arrivare alla conclusione più trascinati che coinvolti.
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luca scialo
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venerdì 10 dicembre 2021
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il crepuscolo del fautore del fascismo
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Da fautore e ideologo del Fascismo a personaggio ingombrante da tenere ai margini. E' questo il destino che segna gli ultimi anni di vita del "poeta vate" Gabriele D'Annunzio. Uno dei più importanti poeti italiani, che ha segnato pagine importanti della nostra Letteratura a cavallo tra l'800 e il '900. D'Annunzio vive nel Vittoriale dal 1924, quando il Fascismo inizia a passare da rivoluzione popolare a feroce dittatura. Con leggi sempre più restrittive della libertà. D'Annunzio, ormai 74enne, è molto critico nei suoi confronti e per questo Mussolini lo tiene quasi al confino. Per evitare che le sue idee, ancora argute e sublimi, infiammino quelle degli italiani. Eppure, proprio quel poeta che ha come convive con tre donne e qualche assistente, ma soprattutto col rancore e coi ricordi dei bei tempi andati, quel Fascismo lo ha ideato nell'esperienza breve ma intensa di Fiume.
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Da fautore e ideologo del Fascismo a personaggio ingombrante da tenere ai margini. E' questo il destino che segna gli ultimi anni di vita del "poeta vate" Gabriele D'Annunzio. Uno dei più importanti poeti italiani, che ha segnato pagine importanti della nostra Letteratura a cavallo tra l'800 e il '900. D'Annunzio vive nel Vittoriale dal 1924, quando il Fascismo inizia a passare da rivoluzione popolare a feroce dittatura. Con leggi sempre più restrittive della libertà. D'Annunzio, ormai 74enne, è molto critico nei suoi confronti e per questo Mussolini lo tiene quasi al confino. Per evitare che le sue idee, ancora argute e sublimi, infiammino quelle degli italiani. Eppure, proprio quel poeta che ha come convive con tre donne e qualche assistente, ma soprattutto col rancore e coi ricordi dei bei tempi andati, quel Fascismo lo ha ideato nell'esperienza breve ma intensa di Fiume. La goccia che fa traboccare il suo risentimento e la sua disapprovazione verso il regime cade quando Mussolini decide di allearsi con Hitler, contro il quale ha pochi lusinghieri epiteti. Paragonandolo perfino a Charlie Chaplin. Vorrà manifestare tutto il suo disappunto verso questa alleanza al Duce durante una sosta a Verona. Sarà l'ultimo atto della sua vita da libero pensatore. A raccontarci tutto questo ed altro, è questa pellicola poetica di Gianluca Jodice, documentarista e regista tv alla sua prima prova per il grande schermo. Straordinaria l'interpretazione di Sergio Castellitto nei panni del D'Annunzio, del quale, oltre alla evidente somiglianza fisica, riesce anche a riprendere tutte le mimiche. Ad interpretare il giovane federale Giovanni Comini, piazzato alle calcagna di quel "pericoloso" poeta, è Francesco Patanè. Il quale passerà da spia a grande estimatore del vate. Comprendendo che il suo atteggiamento, apparentemente solo ascrivibile ad un vecchio rancoroso, in realtà era più lucido della fosca mente cui aveva costretto il Fascismo. I colori caldi e sbiaditi ci portano indietro nel tempo, mentre il Vittoriale offre naturali ambientazioni da teatro. Molto significativa la scena del D'Annunzio che esce a salutare i pochi superstiti di Fiume. Con un discorso che andrebbe bene anche oggi. Nel finale, il lungometraggio getta anche un'ombra sulla sua morte.
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zim
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domenica 23 maggio 2021
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il poeta e lo spione
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L'inizio, le consegne al giovane federale spione poi pentito potrebbe ricordare un altro film con tanto di registratore. Ma intanto il giovanotto ci fa da occhio privilegiato sui tempi neri. La disgraziata storia sentimentale, il conflitto ideologico letterario del Vate con la Germania di Hitler che non trova soluzione nel personale antagonismo con Mussolini. In fondo si tratta di due fascismi che non si accordano a partire dal "questo l'ho fatto prima io" e a finire "meglio la Francia che la Germania"
Sobria l'interpretazione di Castellitto, pochi sbaffi d'erotismo e cocaina, dialoghi a tratti didascalici a riprova di recenti interpretazioni storiografiche.
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L'inizio, le consegne al giovane federale spione poi pentito potrebbe ricordare un altro film con tanto di registratore. Ma intanto il giovanotto ci fa da occhio privilegiato sui tempi neri. La disgraziata storia sentimentale, il conflitto ideologico letterario del Vate con la Germania di Hitler che non trova soluzione nel personale antagonismo con Mussolini. In fondo si tratta di due fascismi che non si accordano a partire dal "questo l'ho fatto prima io" e a finire "meglio la Francia che la Germania"
Sobria l'interpretazione di Castellitto, pochi sbaffi d'erotismo e cocaina, dialoghi a tratti didascalici a riprova di recenti interpretazioni storiografiche. Poche citazioni poetiche, location autentica del Vittoriale nella bella fotografia di Cipri senza concessioni al bric à brac memorialistico d'arredamento, piuttosto uffici, auto e scompartimenti ferroviari d'epoca. Tutto misuratissimo discreto come forse non fu il poeta della pioggia del Pineto, ma come si addice ad un film che vuole fare decantare memoria del vero e semmai, nel limite di qualche primo piano arcigno, insinuare sospetti sulla morte a fagiolo del Poeta. Più che la previsione di un futuro maligno, (e dobbiamo considerare che senza la guerra forse ci saremmo tenuti Mussolini sino ai '60/'70 come Franco) Il film riesce a ricreare celebrare nel riverbero del Garda la malinconia della fine.
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maramaldo
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giovedì 27 maggio 2021
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l''arcangelo non volò alto...
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... ma "vide chiaro". Gabriele "vede" pure l'interrompersi di quella damnatio memoriae che durava dal giorno dopo le sue esequie. Eppure, regalò al cinema una sfilza di titoli. Egli stesso, da fiction: l'impresa di Fiume, un golpe da Sudamerica; in piena guerra sorvolò Vienna facendo piovere volantini; s'incaponì a far arrivare natanti militari dall'Adriatico alle colline del Benaco, roba da... Fitzcarraldo. Curiosa coincidenza, a pochi metri dalla sua si trova la casa natale di Ennio Flaiano, un altro pescarese che influenzò un riottoso visionario romagnolo.
Castellitto lo immedesima con sorprendente somiglianza.
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... ma "vide chiaro". Gabriele "vede" pure l'interrompersi di quella damnatio memoriae che durava dal giorno dopo le sue esequie. Eppure, regalò al cinema una sfilza di titoli. Egli stesso, da fiction: l'impresa di Fiume, un golpe da Sudamerica; in piena guerra sorvolò Vienna facendo piovere volantini; s'incaponì a far arrivare natanti militari dall'Adriatico alle colline del Benaco, roba da... Fitzcarraldo. Curiosa coincidenza, a pochi metri dalla sua si trova la casa natale di Ennio Flaiano, un altro pescarese che influenzò un riottoso visionario romagnolo.
Castellitto lo immedesima con sorprendente somiglianza. Gianluca Jodice ha avuto la luminosa idea di ambientare nell'autentico Vittoriale, ciò che gli ha concesso l'efficacia di atmosfere suggestive. In quel famoso bric à brac funereo il vate finisce i suoi giorni decadendo, depravando, fuggendo nell'irreale, dispensando moniti e profezie.
Il racconto ha le sue rievocazioni di maniera ma anche freschezza e attendibilità. Nelle abituali forzature grottesche risulta comunque puntuale ed intrigante. Nitido, essenziale, il Comini federale di Francesco Patanè. Esemplare, semplicità e ingenuità della giovinezza, di quella "giovinezza". Anche il tocco umano. A Verona, il Comandante, voltate le spalle al duce immerso nel suo ultimo delirio, posa il capo su di un impettito milite d'onore compiangendolo per il destino di sacrificio che lo attende. Palpabile, questo sì, il presagio di sciagura che accompagna i passi di quella "marcia della follia".
Ma all'uomo, rendono giustizia le manfrine di Castellitto? Non importa a nessuno. Il personaggio resta remoto, quasi immaginario. Reale o meno, appare opinabile quella persecuzione perchè "pensava". Nessuna concretezza in un lavoro pur eccellente che deve appiattirsi sulla vulgata per quieto vivere di autori e interpreti, per rimanere in sala a lungo.
Siamo lontani dal "Memento Audere Semper", lo slogan preferito dal Poeta Soldato che il film non fa capire se per caso sia stato veramente l'uno e l'altro. Nessun ardimento.
Per un invito alla rivolta, per uno sprone al riscatto, devono ancora attendere i Comini di oggi e di domani.
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