L'Uomo sul Treno - The Commuter

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Il pendolare che ti stende Valutazione 3 stelle su cinque

di Eugenio


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martedì 20 febbraio 2018

Prendere un treno, lo stesso da oltre dieci anni e scoprire quel maledetto giorno che quella giornata non sarà come le altre. Perché stai per tornare a casa licenziato dalla società in cui lavori ad appena cinque anni dalla fatidica pensione, non sai come dirlo a tua moglie, non hai la minima idea di cosa farai il giorno dopo per pagare il mutuo e la scuola di tuo figlio.
Fin qui nulla di male, se così si può dire: si tratta di una storia di ordinaria disperazione che affligge sempre più famiglie al giorni d’oggi ma nel nuovo film di Jaume Collet-Serra, L’uomo sul treno, c’è dell’altro. Ecco, se non sei abbastanza disperato, sappi che quella giornata iniziata storta, per la ben nota Legge di Murphy, è destinata a peggiorare con una circostanza particolare: una donna, alquanto misteriosa e algida, su quel famoso treno ti fa una strana richiesta. Conoscendo la tua professionalità di ex poliziotto (sic) ti invita a trovare tra i passeggeri una persona che nulla ha a che fare con quei pendolari in cambio di centomila dollari (di cui venticinquemila d’anticipo) per “la tua consulenza” .
Basterà lasciare candidamente un localizzatore dentro la borsa dell’”indiziato”.
Lo scopo è evidente: la condanna a morte di quell’individuo.
Tu pensi sia uno scherzo, lasci correre.  Ben presto però capisci che quei soldi ci sono veramente e che mosso da sentimenti avidi, non solo li arraffi senza pietà (del resto erano nascosti in maniera banale dentro la grata di aereazione in bagno) ma fai il finto tonto, credendo che sia tutto uno scherzo. Epperò… Sudi freddo quando scopri che ti sei messo in un bel ginepraio. Quella è gente che non scherza e sei costretto ad agire come marionetta, pilotato da un’organizzazione che tiene in scacco la tua famiglia, che ti minaccia di ammazzarla senza pietà e che, purtroppo, non ti darà pace finchè non avrai assolto ai tuoi doveri.
Che pensi? Che forse quel treno era meglio che non lo prendevi?
Michael MacCauley invece lo fa e sotto le spoglie di Liam Neeson, da uomo ordinario, si trasforma minuto dopo minuto, in una specie di action-hero scoprendo gabole che forse era meglio rimanessero nascoste. Nessuno è innocente e anche i vecchi amici poliziotti di Michael non sono ciò che sembrano. Sono simulacri doppiogiochisti che hanno perso ideali di amicizia, in cambio di denaro, sbandati di una società che ha perso ogni speranza e che ha gettato la spugna alla sinuosa quanto marcia mano della corruzione.
La piaga sociale appena accennata nel film, in particolare nella prima parte, è claustrofobicamente contestualizzata nei vagoni di un treno.  L’alienazione umana fa il suo rapido accenno in una riuscita scena capace di condensare il “ritmo della vita” di Michael anno dopo anno, tra umori contrastanti, gioia, dolore e sempre lui come protagonista sulla scena: il treno. Il grande gigante di metallo entro cui ogni giorno trascorriamo del tempo, con persone simili a noi, diverse e chissà forse anche solidali, un macrocosmo pulsante di vita, buona e cattiva, dove vattelo a immaginare che uno di questi non è ciò che sembra. E’ buono? Cattivo? Mah. Chi lo sa.
 
Il commuter, ovvero l’uomo sul treno conferma l’abilità e la prova attoriale di Liam Neeson nel variegato panorama degli action movies americani.
Dopo Unknown, Non-Stop e Run All Night, il regista valorizza le caratteristiche dell'attore, dalla voce cavernosa al viso spigoloso, cerca le rughe sulla fronte e il sudore sulle tempie, insegue nei primi piani l'intensità dell'interpretazione, qualità certamente apprezzabili e che elevano il film dalla scontata banalità di un giocattolone rumoroso con una spruzzata di  Alfred Hitchcock (vedi Assassinio sull’Orient Express) e Agatha Chistie (vedi L’uomo che scompare) a prodotto degno di nota serrato e intrigante.
Nel mistero di fondo in cui  si nasconde un colpevole (vero o falso che sia, lo si scoprirà nel corso della pellicola), Jaume Collet-Serra  esplicita il significato della parola giustizia fatta di personaggi per fortuna ancora probi che non si piegano ai potenti di turno ma lottano contro il sistema per la fatua affermazione della verità e la salvaguardia dei valori familiari, oggi sempre più precari. E non importa se la credibilità di alcune scene va via via scemando nello sviluppo del film, pazienza se quel pendolare che vende polizze sulla vita per una grande società di assicurazioni ha il passato da poliziotto e mostra delle capacità degne di un Bruce Willis in Die Hard. Non importa.
Vive una cosa sola per tutta lora e quaranta di durata: l’angoscia.
Sul treno lo spettatore è costretto a viaggiare col protagonista, non può scendere, non ci sono fermate intermedie. Il treno non è la bestia in fuga di Runaway train. Qualcuno lo manovra ma dentro è manovrato. Lo spettatore è paralizzato, travolto dall’angoscia della paura, dei vetri infranti, delle carrozze che si sfaciano, dei sedili, del mistero. Scatta quel sadico gioco capace di tener alta la suspense, richiamando quella demogogia e quella folle paura di attentato che oggi sempre più è oggetto di falsi positivi e fake news.
Con la differenza che il film dopo due ore finisce mentre la vita, quella di tutti i giorni, quella sul treno, generalmente continua.
Fino all’ultima fermata. Che non sempre coincide con il capolinea.

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