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Ultimo aggiornamento lunedì 29 febbraio 2016
In concorso al Festival di Cannes 2015, Son of Saul è il film d'esordio del regista ungherese László Nemes. Ha vinto un premio ai Premi Oscar, Il film è stato premiato al Festival di Cannes, ha vinto un premio ai David di Donatello, ha vinto un premio ai Golden Globes, ha vinto un premio ai BAFTA, ha ottenuto 1 candidatura a Cesar, ha ottenuto 3 candidature e vinto un premio ai London Critics, ha vinto un premio ai Critics Choice Award, In Italia al Box Office Il figlio di Saul ha incassato 489 mila euro .
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ASSOLUTAMENTE SÌ
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Ottobre 1944. Saul Ausländer è un ebreo ungherese deportato ad Auschwitz-Birkenau. Reclutato come sonderkommando, Saul è costretto ad assistere allo sterminio della sua gente che 'accompagna' nell'ultimo viaggio. Isolati dal resto del campo i sonderkommando sono assoldati per rimuovere i corpi dalle camere a gas e poi cremarli. Testimoni dell'orrore e decisi a sopravvivervi, il gruppo si prepara alla rivolta prima che una nuova lista di sonderkommando venga stilata condannandoli a morte. Perduto ai suoi pensieri e ai compagni che lo circondano, Saul riconosce nel cadavere di un ragazzino suo figlio. La sua missione adesso è quella di dare una degna sepoltura al suo ragazzo. Alla ricerca della pace e di un rabbino che reciti il Kaddish, Saul farà la sua rivoluzione.
Aveva ragione Jacques Rivette, la vocazione dei film che trattano la Shoah è quella di essere discussi, il rischio quello di essere contestati. Sulla materia esiste un corpo teorico che resiste e non smette di provocare fruttuose controversie: due articoli ("De l'abjection" di Jacques Rivette e "Le travelling de Kapo" di Serge Daney) e un film monumentale (Shoah) che hanno articolato ieri la relazione tra l'orrore e la sua rappresentazione, tra la storia dei campi e quella del cinema. La domanda oggi è sempre la stessa, come fare a raccontare un avvenimento che per la sua dimensione e il suo peso di orrore sfida il linguaggio? Come rendere conto dell'universo concentrazionario senza sottostimarne l'orrore?
László Nemes, regista ungherese al suo esordio, prova a rispondere prendendosi il rischio e la responsabilità formale e morale attraverso un film che sceglie il 4:3 come luogo di composizione e di 'ricomposizione' di un corpo. Perché al centro di Son of Saul c'è il cadavere di un ragazzino che un padre vuole sottrarre alla voracità dei forni crematori, un corpo morto tra milioni di corpi morti che Nemes lascia sullo sfondo sfocato e infuocato dalla furia nazista. Le proporzioni del formato, che limitano lo sguardo e fugano la spettacolarità delle immagini, rimarcano il punto di vista del protagonista. Ma Saul è anche il bersaglio per il fucile delle SS e per la macchina da presa. Sulla giacca che indossa è verniciata una ics rossa che lo rende immediatamente distinguibile e vulnerabile dentro l'inferno della soluzione finale. A un passo dalla rivolta armata messa in atto dai sonderkommando ad Auschwitz nel 1944, la macchina da presa converge sullo sguardo di Saul che ha scelto un'altra forma di resistenza: preservare l'integrità e la sacralità del corpo di suo figlio. L'ossessione con cui Saul persegue quella volontà lo tiene ostinatamente in vita e colma istericamente il trauma di cui è stato complice obbligato e incolpevole. Alle cremazioni sommarie, indifferenti alla liturgia e al commiato, contrappone un gesto umano che lo conduce attraverso una Babele concentrazionaria in cui uomini e donne, ridotti a sofferenza e bisogno, sopravvivono e muoiono per un sì o per un no. In un clima di isteria e assuefazione collettiva, che il regista restituisce con la sfocatura, emerge Saul che perso a se stesso non ha ancora perso tutto.
Dal fondo in cui giacciono uomini ridotti a 'pezzi' dalla fabbrica della morte, Nemes separa e mette a fuoco Saul, ricostruendo con lui e attraverso i suoi spostamenti all'interno del campo un luogo al di fuori di ogni senso di affinità umana. È l'assuefazione a regnare davanti alle porte delle camere a gas, un meccanismo naturale di protezione che non fa più caso all'orrore che resta fuori campo e delegato ai suoni, ai rumori, alle parole, agli ordini urlati, alla paura muta, alle preghiere, ai canti sacri. Lo spettatore guarda soltanto l'oggetto della ricerca del protagonista, ricerca che scandisce il ritmo visuale del film, reso instabile e organico dalla pellicola. Sono i frammenti raccolti dal suo sguardo che permettono la ricostruzione della visione e di un'idea fissa che guadagna al film e alla vita di Saul un senso umano, arcaico e sacro. Dentro un formato saturo del meglio e del peggio dell'essere umano, dentro un formato che riduce il movimento e isola una personale ricerca verso una vita che si vorrebbe ancora e disperatamente ingrandita, si svolge la sfida di László Nemes.
Consapevole dell'impossibilità di dire qualcosa di definitivo sull'argomento, l'autore ha coscienza dei vuoti necessari e dei pieni superflui, s'impone dogmi etici ed estetici e prova a resistere dentro un quadro che qualche volta tracima, aprendo ai lati sui predatori, sulla visione piena di luoghi e azioni, sul realismo insopportabile. Negativo de La vita è bella, Son of Saul è un incubo a occhi aperti in cui un padre ha perso la battaglia con la vita ma vuole vincere quella con la morte, ricomponendola con l'assistenza di un rabbino. La follia nazista non può essere nascosta a quel figlio (probabilmente) mai avuto ma così necessario a riparare il senso di colpa indotto dai carnefici alle loro vittime. Un figlio che accende la sua unica intenzione e il suo ultimo sorriso.
Un volto in primo piano, tutto il resto è sfocato, non si intuisce quasi nulla. La messa a fuoco rivela un paesaggio di campagna, un complesso di edifici tetri sormontati dalla scritta "Arbeit macht frei". Reclusi con un segno rosso sulla schiena, una grande X, inquadrati da dietro mentre si recano al lavoro. La cinepresa che accompagna i movimenti disordinati di una folla di [...] Vai alla recensione »
Film da non perdere! Geniale l'idea dello sguardo all'orrore, dentro l'orrore stesso. Con la rappresentazione di una parte incredibilmente piccola e sfuocata del dramma, lo spettatore è immerso in un tutto angosciante. La metaforica ricerca di dare sepoltura al figlio proprio o al figlio di un altro, quindi di adempiere un rituale religioso, diventa un bisogno disperato, primario, scopo del vivere [...] Vai alla recensione »
E’ attonito, stolido, apparentemente indifferente il volto di Saul (Geza Rohrig) che riempie lo schermo per metà film. Saul è un ebreo del Sonderkommando di Auschwitz: deve convincere le vittime a spogliarsi per una doccia e una zuppa calda e spingerle nelle camere a gas. Poi deve ripulire gli spogliatoi, vuotare le tasche dei deportati in cerca di denaro e gioielli, caricare [...] Vai alla recensione »
C’è stata sempre una questione cruciale nelle discussioni sulla Shoah. È la questione della rappresentazione dello sterminio e dei modi di sterminio attuato dai nazisti contro ebrei, zingari, omosessuali, dissidenti, credenti in altre religioni. Com’è possibile trovare una forma di espressione in immagini, parole, musica o altro a un orrore tale da superare ogni umana [...] Vai alla recensione »
Il figlio di Saul è un film molto duro dove la violenza è palese ma non è manifestata con l’immagine, non c’è descrizione o spettacolarizzazione delle camere a gas. Siamo ad Auschwitz nel 1944: ci sono i suoni, i rumori, le urla. I corpi si possono intravedere in un voluto "fuori fuoco". Tutto è claustrofobico e visto ad altezza d’uomo. [...] Vai alla recensione »
L’Olocausto è materia vasta, ma già ampiamente sfruttata e la ricerca di una nuova via per raccontarlo diventa quasi obbligata per evitare i rischi della banalizzazione più o meno lacrimevole: affrontare l’argomento utilizzando gli stilemi del film da festival è aggiungere sfida alla sfida con una certa dose di sorvegliata incoscienza.
Esordio potentissimo, stilisticamente originale, pesante come un macigno, dell’ungherese Nemes (allievo di Bela Tarr), Il figlio di Saul è un’opera assolutamente imperdibile e memorabile. Girata in formato 4:3, camera a spalla, per mezzo di ininterrotti primi e primissimi piani del protagonista e sfondi sempre sfocati, colori desaturati e totale, completa, assoluta assenza di [...] Vai alla recensione »
1944. Un ebreo ungherese svolge un lavoro terribile nei campi di concentramento; scorta gli Ebrei alle camere a gas e ne ripulisce i resti. Un giorno l'uomo si imbatte nel cadavere del figlio e farà di tutto per dargli degna sepoltura. Stupendo e terrificante questo film. Basterebbe la prima sequenza iniziale con la camera stretta sul viso del protagonista che ascolta inerme le laceranti [...] Vai alla recensione »
Al di là del tema, molto importante del film e di quanto sia giusto, per la memoria di tutti, portare a conoscenza di un periodo storico, dominato dalla follia, nutro però molte riserve, per quanto riguarda la sceneggiatura, che presenta, a mio avviso, molti buchi, provo ad analizzare i punti che mi sembrano ben poco credibili: i prigionieri che arrivano al campo non sembrano affatto [...] Vai alla recensione »
Non sono molti i film sull'olocausto che brillano per originalità. "il figlio di Saul" è tra questi. La scelta di concentrare le riprese sul protagonista e mantenere il resto sullo sfondo, spesso sfocato, è una trovata che ti fa vivere molto più da vicino l'assurdità e l'oppressione della prigionia e del clima militare.
Si poteva dire ancora qualcosa sulla Shoah? Sì, se tralasciata ogni consequenzialità propria di un racconto storico, la si rende l’archetipo di ogni idea di Male, un immenso Mare Nero dove far galleggiare il flebile e purtroppo effimero lume di una Speranza. Sì, se la dipinge come Caos sommo, negazione di ogni Ordine che è alla base del concetto di umanità. [...] Vai alla recensione »
IL FIGLIO DI SAUL (UNG, 2015) diretto da LàSZLò NEMES. Interpretato da GéZA RöHRIG, LEVENTE MOLNAR, URS RECHN, SANDòR ZSòTER, TODD CHARMONT Premiato con l’Oscar al migliore film straniero, eguale riconoscimento pareggiato col Golden Globe e il David di Donatello nella medesima categoria, insieme al Grand Prix de la Giurie a Cannes, è uno dei [...] Vai alla recensione »
Vera Perla per cinefili, il film di Nemes ti colpisce dritto allo stomaco, lasciandoti senza fiato per tutta la visione. Originale e straordinariamente angosciante , non lascia spazio a compromessi di sorta. Ciò che la macchina da presa ti fa vedere, va di pari passo con quello che ti fa immaginare ci sia e con quello che vorresti non ci fosse ma c'è.
Sul tema dell’orrore dei campi di concentramento sono stati girati tanti film, eppure l’abisso non è ancora stato scandagliato fino in fondo ed è ancora capace di generare nuovi punti di vista, riflessioni che aggiugono qualche cosa al già detto. Ci vuole un po’ a capire cosa sta facendo Saul perché l’orrore delle camere a gas sta sullo sfondo, sfocato, [...] Vai alla recensione »
Una rappresentazione dell'universo concentrazionario che ha pochi, pochissimi eguali sotto il profilo del rigore stilistico. La macchina da presa costantemente incollata al volto del protagonista rende con la massima forza la mostruosità claustrofobica, fisica ed etica, al pari dello sfocato di tutto ciò che lo circonda, dell'accumulo indistinguibile dei corpi destinati al [...] Vai alla recensione »
Qualcuno ha scritto che dopo un film come questo di László Nemes nessuno più ne girerà altri sulla Shoah. E’ un’esagerazione, altri film escono sull’argomento, la testimonianza non cesserà, anche perché “Fin quando la tragedia non incontra qualcuno che la sappia raccontare essa scivola sugli abiti come acqua nel diluvio”: [...] Vai alla recensione »
Laslo Nemes esordisce alla regia con un film destinato ad entrare nella storia del cinema. Attenzione, non è un capolavoro; qualche indugio di troppo lo lascia nel limbo dei tanti bei film destinati a perdere nella comparazione dei grandi film. Ma alla durezza della storia che racconta, o alla sua infinita dolcezza, il regista ungherese affianca una tecnica [...] Vai alla recensione »
L'angoscia delle scene inziali spingono a lasciare la sala ma poi il rispetto e la condivisione verso le vittime della Shoah hanno il sopravvento e si trova la forza per continuare la visione. Il film non lascia respiro e per gli assurdi della legge del contrappasso diventa un inno alla vita. La tenacia e l'apparente insesatezza del padre che [...] Vai alla recensione »
l film è incentrato su Saul membro (temporaneo) del sonderkommando di Auschwitz. Senso di precarietà claustrofobico dove il ritmo del lavoro e della vita è sempre sospeso tra la vita e la morte in un universo di violenza privo di umanità, dove il solo obiettivo è sopravvivere. Un film praticamente senza colonna sonora che rende in modo efficace la realtà [...] Vai alla recensione »
Che cosa rende un uomo un uomo? Il linguaggio, la ragione, l'immaginazione.. ma prima di tutto la necessità di cercare e trovare un senso alle cose, una prospettiva, all'interno di relazioni. Su questo, i campi di sterminio sono stati forse la massima espressione di disumanizzazione della Storia, arrivando al punto di creare "unità speciali" costituite dalle stesse vittime [...] Vai alla recensione »
Commento a Zulu51 - Io trovo il film molto aderente a quello che gli storici e i testimoni riferiscono. Ora cercherò di dare una risposta ai tuoi dubbi: 1) i prigionieri non sembrano denutriti perché non arrivano da altri campi, ma dal loro paese; sicuramente il viaggio sarà stato orribile e le condizioni di vita difficili, ma diventavano scheletri nei campi; lo stesso vale per [...] Vai alla recensione »
E’ scontato, molto più che scontato sottolineare come OGNI film sull’Olocausto ci metta di fronte adeterminati interrogativi. Se si POSSANO rappresentare quegli anni, in termini di diritti etici ma anchedi fattibilità, e quale eventuale chiave di (ri?)lettura bisogna scegliere? Limitarsi (Sic?)°ai risvolti documentaristici, o scegliere una chiave lettura più ampia? O, ancora, battere il percorso farsesco-d [...] Vai alla recensione »
Il figlio di Saul, dell'ungherese Laszlo Nemes, è un terribile ininterrotto incubo del vissuto nei campi di sterminio nazisti che il giovane regista ha deciso di rappresentare nella maniera, forse, più potente possibile, vale a dire tramite una ossessiva "sequenza" di piani-sequenza (!?!) consistenti di primissimi (piani) e dettagli (successivi a un sapiente gioco di focale iniziale e uso massimamente [...] Vai alla recensione »
Molto difficile è fare un film sull’olocausto: incombe il rischio del già visto o della retorica da tragedia. Il regista ungherese Laszlo Nemes, con questo “Il figlio di Saul”, centra con grande perizia un’angolatura che sfugga a questi rischi. Ambientandolo ad Auschwitz-Birkenau il regista focalizza il suo obiettivo su uno degli aspetti più ripugnanti della vita dei campi: quello dei sonderkommando. [...] Vai alla recensione »
László Nemes ha avuto coraggio e il suo primo lungometraggio è ben riuscito, anche se è difficile dare dare un giudizio su un film che parla della Shoah. Saul è un componente del Sonderkommando di Auschwitz, cioè uno dei prigionieri -periodicamente uccisi e sostituiti- che aiutavano gli aguzzini nazisti nella gestione dello sterminio.
Risoluto esordio alla regia per l'ungherese Laszlo Nemes che racconta l'orrore dei lager nazisti attraverso le disperate gesta di un deportato tra le mura di Auschwitz. Saul, ebreo ungherese addetto allo smistamento ed alla cremazione dei corpi farà di tutto per offrire degna sepoltura al cadavere di un bambino (suo figlio?). Una nervosa telecamera ne segue le gesta mentre attorno, l'abominio viene [...] Vai alla recensione »
La fabbrica di Auschwitz vista dall’interno. Inquadrata dall’obiettivo sfuocato dei sonderkommandos, gli ebrei prigionieri, che nella speranza di sopravvivere qualche mese in più, scelgono di farsi smaltitori della morte tra le docce fatali e i forni crematori. Uno di questi, Saul Ausländer,durante il lavoro recupera un ragazzo ancora agonizzante che il medico nazista [...] Vai alla recensione »
Esordio cinematografico del giovane regista ungherese Laszlo Nemes, "Il Figlio di Saul" si inserisce nel filone dei films che ricordano la Shoah e lo sterminio in generale di tutti gli individui nei campi di concentramento durante il secondo conflitto mondiale. Il protagonista (Géza Rohrig) di nome, appunto, Saul è un prigioniero ungherese di religione ebraica rinchiuso [...] Vai alla recensione »
conosco la storia del sonderkommando di auschwitz che in prossimità sella loro eliminazione si ribellò ai nazisti e vado a vedere il film, ma già dopo pochi secondi capisco cosa mi aspetto, l'inquadratura non è la solita da cinema la cosidetta 4:3 ma un misero quadrato evabbè, finisse qui ma il regista non contento ci propina un'inquadratura fissa sul personaggio [...] Vai alla recensione »
trovo questo film pieno di contraddizioni,al'inizio ingarbugliato non ho capito che si cercava,inoltre il formato è disturbante,un quadrato col primo piano che ti entra in faccia direttamente,forse si voleva stupire ma ci sono buchi nella storia e concordo con ciò che ha scritto zulu51,sappiamo quasi tutto su quell'orrore,forse bastava attenersi ai fatti senza movimentare al parossismo la storia
Ineccepibile... Ricostruzione storica perfetta. Un viaggio nelle tenebre e negli orrori dell'olocausto.. Ombre sulla storia del protagonista, non è molto chiaro il legame con "Ella".. Tuttavia a queste scenografie preferisco le trame dei romanzi di Bassani.. Non capisco come non si possa partire da una storia semplice per narrare l'orrore dei quel [...] Vai alla recensione »
Va bene il messaggio, il realismo delle scene, i colori che accompagnano le scene, le riprese sempre in soggettiva, ma il cinema secondo me è un' altra cosa. Io non ho resistito e per la prima volta da moltissimi anni ho abbandonato la sala prima della fine. Puro estetismo rovesciato.
Ebreo deportato ad Auschwitz, Saul fa parte della Sonderkommando, squadra di reclusi addetta ad accompagnare le persone nelle camere a gas, per poi pulirle e cremare i corpi. Il volto ormai rassegnato di Saul trova un barlume di speranza nel corpo defunto di un ragazzino nel quale egli vede il proprio figlio, facendone così una missione nel cercare di dare degna sepoltura al ragazzo.
Senza dubbio un film che passerà alla storia del cinema. Pochi hanno puntato così in alto. Farlo ad un'opera prima è incredibile, quasi fantascienza. Una discesa all'inferno che avrebbe fatto impazzire Dante. Un linguaggio innovativo, mai un vezzo d'autore e sempre uno strumento di indagine per la storia. Un film davvero potente, inquietante, coraggioso come pochi negli [...] Vai alla recensione »
Un esperimento interessante quello di inquadrare quasi sempre in primo piano il protagonista. Si isola cosĺ Saul da ciò che succede intorno. Saul è talmente immerso nella sua cieca volontà da isolare tutto e raggiungere il suo scopo: preservare l integrità del figlio morto e seppellirlo come prevede la sua religione.
bellissima la scelta narrativa, la soggettiva allucinata del protagonista sull'orrore oggettivo, sfumato da una psicche alterata. Però la scelta stilistica della camera che segue il protagonista inseguendo solo il suo punto di vista per tutto il film mi ha, dopo le prime terribili ed efficaci immagini, fatto allontanare dal contesto e mi ha fatto sentire in un videogioco militare, dove il [...] Vai alla recensione »
AVEVO MOLTE ASPETTATIVE RIGUARDO A QUESTO FILM ANCORA DI PU' QUANDO HO SAPUTI CHE HA VINTO IL PREMIO DELLA GIURIA A CANNES. FORSE E' PER QUESTO CHE NON GLI HO DATO CINQUE STELLE, PERCHE' MI ASPETTAVO UN CAPOLAVORO CHE EFFETIVAMENTE C'E' MA HO FATTO UN PO' FATICA A CAPIRE IL FILO LOGICO DI QUEATO FILM . COMUNQUE IL FILM EFFETTIVAMENTE E' MOLTO UMAN ITARIO INFATTI LA SALA [...] Vai alla recensione »
Film veramente efficace. Chi non avesse ancora un'idea precisa di cosa fosse un campo di concentramento, con questo film se la fa completamente. Il percepito, attraverso le voci fuori campo, il fumo dei forni, i cadaveri sfuocati, le urla dietro le porte, portano lo spettatore ad una immaginazione terrifica della realtà della situazione. I primi piani, penetranti oltre che bellissimi, catturano l'attenzion [...] Vai alla recensione »
Un capolavoro assoluto. Non ci sarebbe altro da aggiungere. Precedenti stupendi film sull'olocausto (Schindler, train de vie, il pianista, tanto per citarne alcuni) , al cospetto di Saul e come scomparissero. Qui si entra direttamente, in quell'inferno degli umani sulla terra, quali furono i lager nazisti. senza se e senza ma. Non si può uscire non segnati dalla sala dopo la visione [...] Vai alla recensione »
Film a dir poco mediocre ed IRREALISTICO in molte scene. Due ore perse a guardare un protagonista a mio parere insignificante, passivo e privo di emozioni persino quando gli uccidono il figlio davanti agli occhi... Poco credibile... Per di più i suoi "compagni" ed i nazisti stessi avrebbero dovuto ammazzarlo in tutte quelle occasioni dove è stato un perfetto buono a nulla e [...] Vai alla recensione »
Annientare una vita umana è annientarne il corpo. Il mostruoso problema tecnico di Birkenau era costituito dal disfarsi dei corpi umani. Prima ucciderli (con camere a gas, ma anche per fucilazione o con un colpo alla testa facendoli poi cadere in una fossa comune), quindi - se il corpo era ancora integro - ridurlo in cenere attraverso un forno crematorio, poi trasportare le ceneri sulla spiaggia e infine, faticosamente, gettare queste ultime nelle acque del fiume Vistola.
Il problema morale, ben più innocuo per fortuna, del cinema dedicato alla Shoah è sempre stato quello di rappresentare l'orrore. Non è il caso di ripercorrerne il dibattito, che ha travolto anche il nostro Benigni per la sua scelta di applicare formule di commedia drammatica al suo La vita è bella o Steven Spielberg, da taluni accusato di spettacolarizzare la tragedia ebraica in Schindler's List. Lo storico dell'arte e filosofo Georges Didi-Huberman, nel suo capitale saggio "Le immagini malgrado tutto", si è chiesto in termini analitici fino a che punto si può giungere nel mostrare e studiare le immagini più orribili. Tra di esse, egli cita e studia un gruppo di fotografie scattate ad Auschwitz, sopravvissute grazie ad alcuni membri dei Sonderkommando che riuscirono, nel luglio del 1944, a salvare pochi fotogrammi.
Il problema morale del cinema dedicato alla Shoah è sempre stato quello di rappresentare l'orrore.
Ebbene il regista ungherese László Nemes non solo ha realizzato un film che propone una risposta sul "come rappresentare l'orrore" (attraverso la scelta di racchiuderlo negli angoli sfocati del campo o nel fuoricampo) ma ha citato direttamente il volume di Didi-Huberman e i famigerati scatti, mostrandoci in che momento probabilmente furono realizzati.Tutto ciò può apparire particolarmente accademico e cerebrale, eppure Il figlio di Saul opera una prassi totalmente opposta, scaraventandoci fin nelle viscere della fucina degli orrori del complesso di sterminio collocato a pochi chilometri da Cracovia, nella Polonia occupata dai nazisti - quella stessa Polonia che oggi vede riaffacciarsi i fantasmi del fascismo. Il ricorso alla camera a mano e ai piani-sequenza, l'evocazione attraverso una "parte per il tutto" dei delitti indicibili che vi si perpetravano (quasi insopportabile il saliscendi dei lamenti e delle grida emesse dalle vittime nelle camere a gas), la determinazione a rimanere per gran parte del tempo attaccato al volto robotico e inespressivo del protagonista sopraffatto, sono altrettante scelte che dimostrano un partito preso della messa in scena - per dirla con una categoria da vecchia cinefilia.
Si può raccontare ancora qualcosa che ha riempito migliaia di pagine, fotogrammi, tele e teche? Forse, ma serve radicalità, coraggio e talento. Non si può ergersi come nani sulle spalle dei giganti, ma quei giganti bisogna abbatterli, senza cincischiamenti, senza clemenza alcuna. Per raccontare la Shoah come nessuno prima, Lészlò Nemes è la persona giusta.
L'inferno di Auschwitz visto, con gli occhi dell'unico testimone che consenta di rappresentare la Shoah sfuggendo allo spettacolo. Un ebreo ungherese internato a Auschwitz e arruolato nei Sonderkommando. Squadre speciali di deportati costretti a fare il lavoro sporco al posto dei tedeschi: portare i morituri nelle docce-camere a gas, raccogliere i corpi, bruciarli, ripulire, gettare le ceneri.
Nell'inferno di Auschwitz, estate del '44, il prigioniero Saul Auslander (Géza Rohrig) lavora nel Sonderkommando, il gruppo di ebrei obbligati dai nazisti a occuparsi dei forni crematori accompagnando le vittime nelle camere gas, estraendone i corpi senza vita e infine dandoli alle fiamme. Un giorno la routine dell'orrore si arena sul corpo di un ragazzo.
Gran premio della giuria all'ultimo Festival di Cannes. Golden Globe per il miglior film straniero. Aspettando l'Oscar, per il quale ha già ottenuto la nomination. Eccolo, il piccolo gioiello di Nemes Lészlò, che fa rinascere la leggenda di quel cinema ungherese che illuminò la scena negli anni Sessanta e Ottanta, con i suoi laboratori di idee e di estetiche nuove.
Erano vittime costrette ad accompagnare altre vittime, il cosiddetto Sonderkommando dei campi di sterminio. Potente, di quella rara esposizione di ferocia delle tragedie clustrofobiche quando anche visivamente non lasciano scampo (cinepresa al collo del protagonista, colori virati, i corpi gasati e infilati sullo scivolo dei forni, le ceneri sparse a palate nel fiume), ci porta, per la prima volta, [...] Vai alla recensione »