Il figlio di Saul

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Un film di László Nemes. Con Géza Röhrig, Levente Molnár, Urs Rechn, Todd Charmont.
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Titolo originale Saul Fia. Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 107 min. - Ungheria 2015. - Teodora Film uscita giovedě 21 gennaio 2016. MYMONETRO Il figlio di Saul * * * * - valutazione media: 4,04 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Acquista »
   
   
   

Anche noi non saremmo diversi. Valutazione 4 stelle su cinque

di ninoraffa


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lunedě 29 maggio 2017

 La fabbrica di Auschwitz vista dall’interno. Inquadrata dall’obiettivo sfuocato dei sonderkommandos, gli ebrei prigionieri, che nella speranza di sopravvivere qualche mese in più, scelgono di farsi smaltitori della morte tra le docce fatali e i forni crematori. Uno di questi, Saul Ausländer,durante il lavoro recupera un ragazzo ancora agonizzante che il medico nazista provvede a terminare; Saul allora decide, senza neppure calcolare i rischi del folle piano, che quel corpo non diventerà cenere e fumo ma avrà degna sepoltura con tanto di rabbino e preghiera dei morti. Questa da ora in poi sarà la sua ragione, perché Saul ha scoperto che il ragazzo è suo figlio. E di certo lo è nel senso assoluto in cui tutti siamo reciprocamente padri e figli nel comune destino di sofferenza e corrispettiva pietà; nella condivisa vulnerabilità della natura umana che nei lager toccò uno dei suoi abissi storici.
 Vicenda antichissima quella di voler seppellire qualcuno ad ogni costo, fino all’ossessione: Antigone ne è l’esempio classico. Ma Auschwitz carica qualunque racconto di significati diversi. Macbeth, verso la fine dice: “vorrei che la struttura del mondo rovinasse”. In un modo che il buon Macbeth neppure poteva immaginare, Auschwitz fu anche questo: un luogo in cui la struttura morale del mondo, all’interno della quale valgono le coordinate del bene e male, collassa. E fu un non-luogo morale con particolare riferimento a quegli internati che furono costretti a servire lo sterminio prima di esserne a loro volta inghiottiti. Primo Levi suggeriva cautela di giudizio verso i sonderkommandos, indicandoli come le più sfortunate vittime dell’Olocausto, private dai nazisti persino dell’innocenza – almeno quella – che accompagnò tutti gli altri nell’indicibile soluzione finale. In genere il sacrificio è connesso all’innocenza, o direttamente, oppure di ritorno come lavacro: riacquisto dell’innocenza dopo una colpa. Invece nell’anti-mondo di Auschwitz accadde pure che l’inaudito sacrificio di molti – l’essere vittime oltre ogni limite – fosse insieme segnato dall’altrettanto inaudita colpa di aver collaborato. All’interno di questo non-senso, può – deve – essere ragionevole qualunque contraddizione, come rischiare l’esistenza propria e di molti compagni per onorare la morte – e quindi la vita – di un figlio che (probabilmente) non è un figlio. Rischiare tutto (la speranza di salvezza nella fuga che si prepara) per un insignificante cadavere tra migliaia trattati ogni giorno dalla disumana macchina umana del campo.
Originale e audace anche sul piano formale (4:3, inquadrature strettissime e lunghi piano-sequenza), Il figlio di Saul è immune dalle furbizie strappalacrime di molti film sull’Olocausto, materia che assolutamente non ne bisognerebbe. L’opera prima di László Nemes sconvolge invece in un senso molto diverso dalla normale commozione; come se l’autore, anche attraverso certa tecnica di messa a fuoco e inquadratura, abbia proprio voluto immergerci nell’indifferenza frastornata dei servi della morte. Forse Il figlio di Saul nel suo straniamento è l’impossibile tentativo, in qualche modo risuscito, di farci vedere l’ammasso dei vestiti, le docce, la carne trascinata e ammonticchiata, i forni e la cenere da spalare, con gli occhi miopi e la sfinita ottenebrazione dei sonderkommandos. Un modo sottile e incontrovertibile per ricordarci che nelle stesse circostanze non saremmo diversi.
 

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