Il figlio di Saul |
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Un film di László Nemes.
Con Géza Röhrig, Levente Molnár, Urs Rechn, Todd Charmont.
continua»
Titolo originale Saul Fia.
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 107 min.
- Ungheria 2015.
- Teodora Film
uscita giovedě 21 gennaio 2016.
MYMONETRO
Il figlio di Saul
valutazione media:
4,04
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Il figlio di Sauldi catcarloFeedback: 13499 | altri commenti e recensioni di catcarlo |
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giovedě 4 febbraio 2016 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
L’Olocausto è materia vasta, ma già ampiamente sfruttata e la ricerca di una nuova via per raccontarlo diventa quasi obbligata per evitare i rischi della banalizzazione più o meno lacrimevole: affrontare l’argomento utilizzando gli stilemi del film da festival è aggiungere sfida alla sfida con una certa dose di sorvegliata incoscienza. Partendo da simili, impegnativi premesse, l’esordiente ungherese Nemes realizza un’opera dalla controllatissima struttura formale attraverso la quale ricostruisce l’orrore dei campi di concentramento e, soprattutto, il livello zero di umanità in essi raggiunto: ne scaturisce un lavoro che, unendo mirabilmente estetica ed etica, colpisce con vigoroso impatto traendo forza dalla messa al bando di qualsiasi patetismo. Grazie all’ottimo contributo della fotografia di Mátyás Erdély, il regista sceglie un inusuale formato in 4:3 con cui pedinare attraverso ossessivi e lunghissimi piani sequenza (magistrali fin dal primo e tremendo riguardante la camera a gas) il protagonista adottandone il punto di vista pressoché autistico: la poca profondità di campo fa sì che le figure restino a lungo sfocate, mentre i suoni a volte anticipano la visione accentuando un effetto straniante provocato inoltre dal loro mischiarsi ai dialoghi pronunciati in una babele di lingue diverse. L’inquadratura di testa, collo e spalle di Saul si ripete e si prolunga, ma non risulta mai stucchevole sapendo raccontare alla perfezione di come gli uomini si chiudano in se stessi nel momento in cui, in condizioni estreme, è solo la sopravvivenza a contare: è ormai questa la condizione del prigioniero (che di cognome fa Ausländer, ovvero ‘straniero’ in tedesco), membro di un Sonderkommando, le squadre che si occupavano della rimozione di cadaveri nei lager. Dopo una delle tristi ‘docce’ allo Zyklon B, un ragazzo viene trovato che ancora respira e Saul pretende di scorgere in lui il figlio (che non ha mai avuto): quando il giovane muore, si intestardisce a cercargli un rabbino per le esequie, in una sorta di fissazione – la presenza del religioso non è necessaria per gli Ebrei – che gli consenta di sentirsi di nuovo un essere umano. Perché nel mondo in cui vive pietà l’è morta, visto che vi si alternano il sadismo nazista dei beffardi annunci ai morituri e della dettagliata contabilità degli ‘Stücke’ (i corpi), i rapporti di sudditanza psicologica fra vittime e carnefici, le relazioni di potere fra i capetti prigionieri, il cortile durante l’episodio della porta che disturba quanto quello finale del pasoliniano ‘Salò’, l’angosciante e impeccabile scena da bolgia dantesca della fucilazione notturna nel bosco. Saul non si cura neppure di rischiare di mandare all’aria con le sue mosse il tentativo di ribellione dei suoi compagni di sventura (ispirato alla rivolta dell’ottobre del 1944 ad Auschwitz), ma la scossa che ricava dalla vicenda riesce infine a regalargli un pallido sorriso, unico e tenuissimo lampo di speranza nella più fitta oscurità. La minuziosa attività di cesello cinematografico non poteva prescindere dagli attori e, in un gruppo di volti difficili da dimenticare, davvero si fatica a immaginare una scelta migliore di Géza Röhrig – anche lui per la prima volta sul grande schermo – che impersona Saul regalando alla sua figura un andatura sgraziata e, in special modo, un viso dall’espressione ferita che pare uscire dritto dagli anni Trenta. Le somma delle scelte stilistiche di Nemes costringono a seguire il suo interprete assieme alla cinepresa e, al contempo, a immedesimarsi con il personaggio fino a doversi confrontare di persona con le atrocità: se è necessario meditare che questo è stato, la rappresentazione brutale e sincera voluta dal regista magiaro è tanto impossibile da scordare quanto importante per interrogarsi sulle cause e, di conseguenza, sul rischio che analoghe aberrazioni si possano ripetere.
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