Il figlio di Saul

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Un film di László Nemes. Con Géza Röhrig, Levente Molnár, Urs Rechn, Todd Charmont.
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Titolo originale Saul Fia. Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 107 min. - Ungheria 2015. - Teodora Film uscita giovedě 21 gennaio 2016. MYMONETRO Il figlio di Saul * * * * - valutazione media: 4,04 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Acquista »
   
   
   

L'iquadratura incollata sul volto sepolto di Saul Valutazione 5 stelle su cinque

di Riccardo Tavani


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venerdě 25 novembre 2016

C’è stata sempre una questione cruciale nelle discussioni sulla Shoah. È la questione della rappresentazione dello sterminio e dei modi di sterminio attuato dai nazisti contro ebrei, zingari, omosessuali, dissidenti, credenti in altre religioni. Com’è possibile trovare una forma di espressione in immagini, parole, musica o altro a un orrore tale da superare ogni umana possibilità di rappresentazione?
 
Si può essere testimoni – si domanda Primo Levi –, ossia si può dare legittimamente la propria parola, logos, forma di ragionamento umana a chi era stato ridotto a una soglia di esistenza che sprofondava sotto quella dell’umano? Solo quel non-essere più umano potrebbe essere testimone diretto della propria condizione: ma come può farlo se non è più uomo, ossia non ha più parola? Se non ci si è trovati direttamente, come si può dire, testimoniare per chi si è invece trovato denudato dei propri abiti e della propria umanità corporea-spirituale e spinto, ammassato dentro le camere a gas, asfissiato dal micidiale gas Ziklon B?
 
Proprio su questo puntarono i nazisti: talmente mostruoso era quello che facevano che nessun eventuale sopravvissuto – affermavano spavaldamente – sarebbe stato creduto nel raccontarlo al mondo. E sono andati molto vicini a che ciò si avverasse.
 
Di tale questione ha eminentemente tenuto conto László Nemes, il regista esordiente di questo film. Chi denudava e spingeva la massa dei corpi dentro le camere a gas e poi li ritirava fuori per trascinarli nei forni crematori, dove erano bruciati? Chi portava fuori le montagne di cenere della combustione e la spargeva tra le acque di un lago o di un fiume? Erano uomini di un reparto speciale, chiamato Sonderkommando. Chi erano questi uomini? Erano altri ebrei, costretti dai nazisti a rendere efficiente e spedita la loro catena di montaggio industriale della morte. Dopo un mese o poco più anche questi ebrei erano eliminati e sostituiti da nuovi deportati, appena arrivati ed eletti a becchini.
 
Ecco il testimone del film. Un addetto al Sonderkommando del campo di Auschwitz-Birkenau: l’ungherese Saul Ausländer.
 
I corpi dei detenuti gasati sono chiamati pezzi dalle guardie naziste: “Portate via i pezzi, bruciate i pezzi!”, urlano ai Sonderkommando.  Neanche la morte – scrive Primo Levi – si può chiamare più morte nei campi. Anche la morte è stata tecnicamente ridotta al sub umano. Questo l’esperimento che va oltre ogni orrore attuato dai nazisti. Misurare la soglia sotto cui si può schiacciare l’umano anche nella morte.
 
Il tentativo di Saul di assolvere all’imperativo di restituire un figlio alla sepoltura, si fa nel film fenomenale espediente narrativo per farci percepire tutto lo spietato assemblaggio tecnico della produzione e combustione di pezzi cadaverici, pupazzi di mera, consunta stoffa epidermica e ossea. Pure lo stile della ripresa e della resa cinematografica è continuamente ricondotto all’inquadratura stretta, incollata sul volto di Saul.  Sul volto, cioè, del testimone, come una soggettiva del suo sguardo e della sua coscienza. Inquadratura che non rappresenta l’irrappresentabile, ma lo fa intravedere, udire, percepire acutamente più alla sensibilità sepolta nel nostro sottosuolo, allo sguardo interiore che alla vista esteriore.  
 
La X a vernice rossa dietro la giacca di Saul, più che un segno di infamia impresso dalle guardie naziste a un pezzo, a un pupazzo del Sonderkommando, si fa segno del sacro, del divino che è già nella terra infinita da cui veniamo e che abitiamo.  

Oscar Miglior Film Straniero 2016.

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