ashtray_bliss
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martedì 12 luglio 2016
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il difficile percorso di riconciliazione.
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La famiglia Reed è una famiglia disgregata e completamente disfunzionale, costituita da un padre premuroso ma poco presente nella vita dei suoi due figli maschi, e dagli stessi figli: l'adolescente Conrad e il figlio maggiore Jonah. Il padre vive da solo col figlio più piccolo ed è completamente incapace di comunicare con lui, instaurare un dialogo o comprendere il perchè delle sue azioni mentre il figlio più grande si è costruito una vita con la sua compagna e il figlioletto appena nato. Ma tutti e tre gli uomini sono destinati a ritrovarsi, e confrontarsi, a causa di un articolo in procinto di pubblicazione che riguarda la loro mamma (e moglie) Isabelle, nota e apprezzata fotografa di guerra, morta pochi anni prima in un incidente stradale.
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La famiglia Reed è una famiglia disgregata e completamente disfunzionale, costituita da un padre premuroso ma poco presente nella vita dei suoi due figli maschi, e dagli stessi figli: l'adolescente Conrad e il figlio maggiore Jonah. Il padre vive da solo col figlio più piccolo ed è completamente incapace di comunicare con lui, instaurare un dialogo o comprendere il perchè delle sue azioni mentre il figlio più grande si è costruito una vita con la sua compagna e il figlioletto appena nato. Ma tutti e tre gli uomini sono destinati a ritrovarsi, e confrontarsi, a causa di un articolo in procinto di pubblicazione che riguarda la loro mamma (e moglie) Isabelle, nota e apprezzata fotografa di guerra, morta pochi anni prima in un incidente stradale. L'evento risveglia i più disparati sentimenti e ricordi e riporta in superficie ferite mai emarginate che ne determinano l'esistenza. Attraverso numerosi flashback di ognuno dei protagonisti emergono i tasselli di un puzzle famigliare tuttaltro che roseo e si comprende come quella famiglia fosse in realtà profondamente disunita già da molto tempo prima che la donna morisse. Della donna si delinea una personalità tosta e determinata ma immensamente fragile e depressa, forse dovuta ad una crisi di mezz'età, animata da una irrefrenabile necessità di evadere, di scappare dalla routine abitudinaria nella quale saltuariamente si trova ancorata. A questa prospettiva, Isabelle sceglie sempre di salire sugli aerei e mettere a rischio la propria vita in un teatro di guerra, testimoniando attraverso l'obiettivo della sua macchina le barbarie che si consumano nel mondo, ignorando però il vuoto crescente che lascia nelle vite dei suoi fiigli e del marito. Isabelle ama profondamente la sua famiglia, ma è incapace di mettere le radici, sacrificare il suo lavoro, e godersi i piccoli momenti di routinaria felicità tra lei e i suoi. Questa frattura nel modo di gestire gli impegni famigliari da parte della donna, a sua volta, determina una serie di scelte e cambiamenti nel resto dei protagonisti. Conrad, ragazzo schivo e silenzioso, apparentemente scostante e freddo ma dalla grande sensibilità è quello che più di ogni altro manifesta i segni dello stress dovuto all'assenza della figura materna, chiudendosi progressivamente in se stesso e creando un muro invisibile tra lui e il mondo. Questo muro riuscirà a superarlo soltanto grazie all'aiuto del fratello Jonah. Incompleta ed insoddisfacente è anche la vita che cerca di ricrearsi il padre, Gene, con una collega, e anche quella di Jonah che mette su famiglia con la donna sbagliata dalla quale è sempre pronto a tornare ma non ha alcun coraggio ne voglia per farlo, avvinghiato in un loop di errori senza via d'uscita. Inframezzati ai problemi attuali dei tre protagonisti, emergono frammentariamente i legami e i problemi che la famiglia affrontava quando ancora Isabelle era in vita.
Louder than bombs è un dramma famigliare di stile e raffinato, che sceglie un particolare schema narrativo incastrando il passato nel presente e viceversa facendo comprendere come le scelte di un momento possano determinare e sconvolgere le vite di chi sta attorno. Un prodotto onesto e profondo privo di moralismi o didascalie che fotografa in maniera plausibile e coerente il difficile percorso che si affronta nella elaborazione di un lutto che investe e ferisce coloro che restano come e più forte delle bombe. Il ritmo narrativo è certamente lento e forse in questo caso la narrazione lenta penalizza a tratti la pellicola facendola altresì inciampare su alcuni passaggi ridonandanti o evitabili. Il film a tratti appare ripetitivo, e questo fatto va confermato, ma solo perchè volutamente si concentra nel ricreare un ricordo colletivo (di ognuno dei protagonisti) di Isabelle attravverso l'impatto che la donna ha avuto nella vita di ognuno di loro separatamente.
Un prodotto sorretto da ottime interpretazioni che risulta pesante e triste, probabilmente non adatto a tutti, e con alcune carenze e mancanze (non stilistiche ma legate alla sua trasposizione visiva del progetto) ma che merita di essere visto se si cerca un film intimista e raffinato che narra in maniera lucida e verosimile il lento e doloroso percorso verso la riconciliazione famigliare. Pessimista nel suo complesso ma apre uno spiraglio di ottimismo e speranza proprio nel finale. Da vedere e riflettere. 3/5.
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filippo catani
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mercoledì 29 giugno 2016
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un'opera incompiuta
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L'imminente uscita di un articolo in ricordo di una fotografa di guerra rimasta uccisa in un incidente stradale, crea sconvolgimento nella vita del marito e dei due figli già alle prese con i loro problemi.
Il soggetto di questo film non sarebbe malvagio e si inserisce alla voce drammi di famiglia. Un uomo con i suoi figli che cercano di rimarginare le ferite causate dalla perdita della moglie e madre. Il fatto è che il film finisce per avvitarsi inesorabilmente su se stesso senza riuscire ad emergere. Questo è dovuto al fatto che la pellicola si carica di troppe situazioni anche solo appena abbozzate che paiono messe un po' casualmente quasi allo scopo di appesantire ancora di più il dramma.
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L'imminente uscita di un articolo in ricordo di una fotografa di guerra rimasta uccisa in un incidente stradale, crea sconvolgimento nella vita del marito e dei due figli già alle prese con i loro problemi.
Il soggetto di questo film non sarebbe malvagio e si inserisce alla voce drammi di famiglia. Un uomo con i suoi figli che cercano di rimarginare le ferite causate dalla perdita della moglie e madre. Il fatto è che il film finisce per avvitarsi inesorabilmente su se stesso senza riuscire ad emergere. Questo è dovuto al fatto che la pellicola si carica di troppe situazioni anche solo appena abbozzate che paiono messe un po' casualmente quasi allo scopo di appesantire ancora di più il dramma. Il risultato porta a dialoghi banali o quasi irreali come determinate situazioni. Peccato dissipare così un ottimo cast su cui svetta il dolente Byrne che pare essere appena uscito da una delle sedute del bellissimo In Treatment. Alla fine ci si alza dalla sedia copn un gran magone e un bel cerchio alla testa.
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flyanto
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martedì 28 giugno 2016
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la lenta rinascita di una famiglia
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L'opera prima in inglese del regista danese Joachim Trier porta sullo schermo la situazione familiare di una famiglia media americana dopo la morte della moglie/madre. La donna, nota fotografa di reportages di guerra, deceduta qualche anno prima in seguito ad un incidente avvenuto mentre era alla guida in macchina, ritorna a "rivivere" presso i propri familiari in occasione di una mostra fotografica che la città intende allestire al fine di commemorarla. Mentre il marito ed il figlio maggiore sono riusciti più o meno a superare il grande dolore per la scomparsa della suddetta donna, il figlio minore di circa 17 anni non è riuscito ancora a metabolizzare la mancanza affettiva della genitrice e vive le sue giornate di giovane isolandosi dal resto dei suoi compagni di scuola, avendo un rapporto conflittuale con il padre e dedicandosi esclusivamente ai video giochi ed alla scrittura delle proprie sensazioni personali.
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L'opera prima in inglese del regista danese Joachim Trier porta sullo schermo la situazione familiare di una famiglia media americana dopo la morte della moglie/madre. La donna, nota fotografa di reportages di guerra, deceduta qualche anno prima in seguito ad un incidente avvenuto mentre era alla guida in macchina, ritorna a "rivivere" presso i propri familiari in occasione di una mostra fotografica che la città intende allestire al fine di commemorarla. Mentre il marito ed il figlio maggiore sono riusciti più o meno a superare il grande dolore per la scomparsa della suddetta donna, il figlio minore di circa 17 anni non è riuscito ancora a metabolizzare la mancanza affettiva della genitrice e vive le sue giornate di giovane isolandosi dal resto dei suoi compagni di scuola, avendo un rapporto conflittuale con il padre e dedicandosi esclusivamente ai video giochi ed alla scrittura delle proprie sensazioni personali. L'occasione della suddetta mostra fotografica determinerà l'occasione per portare alla luce svariati "segreti" familiari e per creare il terreno "fertile" per una futura e sincera comunicazione tra i vari componenti.
La pellicola è un'opera intimistica, un'opera che parla di sentimenti e di rapporti interpersonali, più o meno irrisolti, tra i vari componenti di una stessa famiglia, i quali presentano caratteristiche proprie naturali e conseguenti reazioni ai vari accadimenti nel corso della vita, ma per quanto tutto ciò sia da Trier esposto in una maniera precisa e quanto mai lucida, il film rimane nel banale, senza in definitiva raccontare nulla di nuovo od, almeno, particolare, da quanto è stato già rappresentato in numerose e precedenti pellicole dello stesso genere, scivolando così un poco nella noia e nello, appunto, scontato. Gabriel Byrne e Isabelle Huppert , nel ruolo dei genitori, sono bravi ma , soprattutto per ciò che concerne la di solito ottima Huppert, non hanno avuto l'occasione di esprimersi al massimo rimanendo pertanto confinati in una recitazione senza grosse dimostrazioni. Peccato!
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vanessa zarastro
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venerdì 29 luglio 2016
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una famiglia in crisi
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Louder than bombs, in orignale è un film intrigante che tratta di varie tematiche all’interno della stessa famiglia. La madre Isabelle Reed, la sempre intensa Isabelle Hupert, è una nota e apprezzata fotografa di guerra che si divide tra il senso della sua missione in cui una foto dice più di mille parole a sostegno dei deboli che siano del Kosovo, dell’Afganistan o del Libano. La storia della morte di Isabelle a tre anni di distanza ritorna centrale all’interno della sua famiglia nel momento che una Galleria di New York organizza una retrospettiva e il “New York Times” pubblica un articolo su di lei mettendo in evidenza le ragioni della sua morte presumibilmente non accidentali.
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Louder than bombs, in orignale è un film intrigante che tratta di varie tematiche all’interno della stessa famiglia. La madre Isabelle Reed, la sempre intensa Isabelle Hupert, è una nota e apprezzata fotografa di guerra che si divide tra il senso della sua missione in cui una foto dice più di mille parole a sostegno dei deboli che siano del Kosovo, dell’Afganistan o del Libano. La storia della morte di Isabelle a tre anni di distanza ritorna centrale all’interno della sua famiglia nel momento che una Galleria di New York organizza una retrospettiva e il “New York Times” pubblica un articolo su di lei mettendo in evidenza le ragioni della sua morte presumibilmente non accidentali. Il figlio Jhonah (Jesse Eisenbergh), è docente di sociologia all’Università di Providence nel Rhode Island, è appena diventato padre di una bella bambina ma sembra esserne più spaventato che felice.
L’altro figlio più piccolo Conrad (Devid Druid) nella sua difficile adolescenza non parla mai, scappa dai rapporti con il padre, si rifugia nelle videogames, play-station e realtà virtuali, e cerca disperatamente di stabilire timidamente un rapporto con una compagna di scuola. La stranezza dei suoi comportamenti fa dire al fratello Jhonah “mica farai una strage a scuola?”
In un’elegante casa Shingle style si assiste a un processo di crisi dei valori familiari. Tutto ruota attorno alla figura del padre Gene (un bravo Gabriel Byrne) ex attore che ha rinunciato al suo lavoro per occuparsi dei figli date le numerose assenze materne, sempre in prima linea. Sembrerebbe non azzeccarne una, come marito è pigro e noioso, con il figlio adolescente non riesce a parlare e finisce per pedinarlo dopo avergli sentito pronunciare l’ennesima bugia. Non solo ma da un paio di anni ha una relazione (nascosta) con la Professoressa di Conrad (Amy Ryan) e, quando lui lo scopre casualmente, i loro rapporti diventano ancora più tesi.
Con la scusa di dover mettere ordine nelle ultime foto della madre, Jhonah torna nella casa di famiglia nello stato di New York da solo, lasciando moglie e bimba appena nata da sole. Qui viene preso dai ricordi anche quelli affettivi, con una compagna di college. Traccheggia nel rientro non riesce a decidere. Finalmente il padre riuscirà a prendere in mano la situazione di abbracciare il figlio adolescente e di riportare a casa l’adultero.
Storie di vita intense, non del tutto banali, peccato che il tutto ci venga raccontato con un montaggio di vari flash-back di anni diversi che ho l’impressione abbiano il ruolo di complicare ulteriormente la storia. Il critico Roberto Manassero in cineforumweb rileva cheJohachim Trier,mentre non riesce a essere convincente nel suo dispiego di media come comunicazione contemporanea, riesce a fare grande cinema nel mettere in scena frammenti poetici di intimità come ad esempio la timidezza di Conrad che lascia un suo manoscritto sulla veranda della compagna di scuola o i due fratelli che parlano di emozioni dopo anni, sulle gradinate del campo di allenamento, come si usava nei film fino agli inizi degli anni ’90.
Il regista norvegese realizza il suo primo film in lingua inglese, quattro anni dopo che il suo Oslo. 31 August aveva ottenuto una nomination agli Oscar come Migliore Film Straniero.
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carloalberto
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venerdì 12 novembre 2021
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una donna restituita a sè stessa
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Diverse storie, una per ogni membro della stessa famiglia, si intrecciano in un presente amplificato dalla memoria e dalla dimensione dell’inconscio, che trasporta la narrazione su piani temporali distanti, in cui i ricordi di ognuno, anche quelli rimossi, riemergono dal passato e si sovrappongono alla realtà, per rievocare la figura ectoplasmatica della protagonista, Isabelle Huppert, di volta in volta, madre, moglie, amante, reporter di guerra di successo in Afghanistan.
I ricordi, che, creando diverse immagini della stessa persona, deformate dalle aspettative di ognuno, sono all’origine dei conflitti interpersonali, confluiscono, infine, pacificati, nella reciproca comprensione, convergendo in un unico ideale ritratto condiviso della donna scomparsa.
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Diverse storie, una per ogni membro della stessa famiglia, si intrecciano in un presente amplificato dalla memoria e dalla dimensione dell’inconscio, che trasporta la narrazione su piani temporali distanti, in cui i ricordi di ognuno, anche quelli rimossi, riemergono dal passato e si sovrappongono alla realtà, per rievocare la figura ectoplasmatica della protagonista, Isabelle Huppert, di volta in volta, madre, moglie, amante, reporter di guerra di successo in Afghanistan.
I ricordi, che, creando diverse immagini della stessa persona, deformate dalle aspettative di ognuno, sono all’origine dei conflitti interpersonali, confluiscono, infine, pacificati, nella reciproca comprensione, convergendo in un unico ideale ritratto condiviso della donna scomparsa.
Il personaggio della Huppert, smitizzato nei ruoli di madre e di moglie, è restituito a sé stessa, al lavoro che lei aveva scelto come missione. Una scelta sofferta, che la isolava nella sua stessa famiglia, facendola sentire più lontana proprio nel ritorno a casa, dopo i suoi viaggi di lavoro nelle terre martoriate dalla guerra. L’anima oppressa dal raffronto insostenibile tra la banale quotidianità della agiata vita borghese dei suoi familiari e la tragedia della gente costretta a seppellire i propri bambini e che lei deve fotografare la conduce al suicidio, come estremo disperato tentativo di sottrarsi a quell’orrore, che non può condividere con nessuno, eccetto l’amico che fa il suo stesso mestiere. Lo sguardo distratto che uno sconosciuto all’aeroporto dà a una sua foto mentre legge il giornale, le conferma la distanza incolmabile tra il mezzo e la realtà che lo stesso tenta di comunicare. La visione di una foto non equivale a vivere in prima persona l’esperienza terribile di osservatore sul campo delle tragedie di un popolo.
Nella sequenza finale, suggestivamente, nella mente del ragazzo, appare la visione di un vecchio profugo, condotto sotto braccio dalla madre, che diventa, che è, il bambino appena nato del fratello. Entrambi sono creature indifese e bisognose di cure. Il vecchio rappresenta l’umanità sofferente, schiacciata dalla guerra, senza parola e senza volto, a cui la protagonista ha dato visibilità con le sue foto e quindi, metaforicamente, ha partorito nella società moderna, in cui se non appari sui mass media non esisti.
Joachim Trier riesce a fornire un ritratto verosimile e psicologicamente complesso della personalità dei quattro componenti della famiglia, cambiando continuamente prospettiva, in modo che possiamo osservare il mondo da quattro punti di vista diversi. Un risultato raramente raggiunto in un drammatico introspettivo, spesso incentrato su di un solo personaggio, ed ottenuto anche grazie ad un cast eccezionale. Oltre la Huppert,Gabriel Byrne, il padre, Jesse Eisenberg, il figlio maggiore, ed in un ruolo minore, ma decisivo nello sviluppo del plot, David Strathairn, che interpreta il collega e compagno di viaggi della fotoreporter, che, scrivendo un articolo commemorativo su di lei, come deus ex machina, innescherà inconsapevolmente la serie di eventi che modificheranno i rapporti tra il padre e i due figli, svelando ad ognuno di loro un lato nascosto della personalità della Huppert, rendendola viva ed umana per quello che era e non per quello che avrebbe dovuto essere per ciascuno. Una donna coraggiosa, al punto di rischiare la vita, ma così fragile da non riuscire a sostenere da sola il dolore degli altri.
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dhany coraucci
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domenica 3 luglio 2016
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l’autunno cupo di un magnifico disagio
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Ci sono certi film che si avvicinano così tanto a te che viene spontaneo parlarne con un po’ di pudore, quasi con timidezza. Ecco, è il caso di questo. Il film utilizza un linguaggio letterario che a me è molto familiare ma che mi rendo conto possa non piacere, una narrazione discontinua nella quale il tempo non segue la sua prevedibile linearità e temi anch’essi poco “popolari” perché vi è una cupezza di fondo da cui, spesso, ci si vuole allontanare. E poi lo fa prendendo come punto di vista la psiche piuttosto che la materia, dunque i ritmi sono rallentati perché si scende lentamente in un fondale oscuro, si sa bene che un simile viaggio non può essere fatto a gran velocità.
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Ci sono certi film che si avvicinano così tanto a te che viene spontaneo parlarne con un po’ di pudore, quasi con timidezza. Ecco, è il caso di questo. Il film utilizza un linguaggio letterario che a me è molto familiare ma che mi rendo conto possa non piacere, una narrazione discontinua nella quale il tempo non segue la sua prevedibile linearità e temi anch’essi poco “popolari” perché vi è una cupezza di fondo da cui, spesso, ci si vuole allontanare. E poi lo fa prendendo come punto di vista la psiche piuttosto che la materia, dunque i ritmi sono rallentati perché si scende lentamente in un fondale oscuro, si sa bene che un simile viaggio non può essere fatto a gran velocità. Infine, su tutto, incombe un autunno freddo, sprofondato sotto a un manto di foglie morte, di giardini spogli e trascurati, di luci ingrigite che a me è congeniale, eppure lo so che è triste. L’autore, del resto, è danese, è del Nord, e porta sullo schermo ciò che conosce, ciò che è nato con lui. Non è un film adatto all’estate e alla spensieratezza perché qui tutti i personaggi sono profondamente in difficoltà e faticano a muoversi e a vivere ed ognuno, poi, deve fare i conti con una morte controversa e misteriosa e questo provoca disagio e incertezza, sbagli e rimpianti. Una serie di fotografie tremende e bellissime, scattate nei luoghi della guerra e della povertà, si insinua tra una caduta e l’altra e visto così il mondo, non può che generare un eterno autunno. Ammetto che non sia un film completamente riuscito e che, avviandosi verso il finale, si stempera l’intensità con la quale ha inteso raccontare stati d’animo più che vicende, è anche vero che buona responsabilità, per me, ce l’ha il titolo con il quale è stato distribuito in Italia perché se si fossero attenuti all’originale, splendido, LOUDER THAN BOMBS cioè “più forte delle bombe” che è anche uno dei più struggenti e malinconici album degli Smiths (ricordate Asleep? Riascoltatela, è in questo disco) non si avrebbe avuto l’aspettativa di una rivelazione che alla fine non c’è, di segreti che alla fine non sono rivelati e di una famiglia che forse non è come le altre, ma nemmeno tanto diversa. Io sono andata subito a vederlo perché recitava Gabriel Byrne attore profondo e fuori dal coro, indipendente a modo suo, che qui interpreta con grande intensità e credibilità la parte un po’ scomoda di un uomo debole e indeciso, ma devo dire che ho trovato, poi, attori tutti bravissimi, anche l’odioso adolescente a cui è affidata, in forma di racconto, una riflessione bellissima del suo (e del nostro) presente.
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