È quasi impossibile parlare di Gravity senza rivelare troppo delle principali svolte che avvengono nel film. Perché l’esperienza di cui esso ti rende partecipe in ogni senso, va di pari passo con la vita della protagonista che è un continuo viaggio di esplorazione e nuove consapevolezze.
Il viaggio spaziale di cui veniamo resi partecipi, è parallelo alla vita della dottoressa Ryan Stone( Sandra Bullock), un’ astronauta che sta lavorando insieme ad una squadra per riparare una stazione orbitante nello spazio. Nel bel mezzo dell’operazione vengono colpiti da una tempesta di detriti, che distruggono la loro stazione e lasciano la Stone e il suo collega Matt Kowalsky (George Clooney) da soli a vagare nello spazio.
E’ qui che comincia la sopravvivenza dei due astronauti. Kowalsky, che è il più esperto e alla sua ultima missione, cerca di tranquillizzare e guidare Ryan, la quale sembra essere caduta in uno stato di trans. La sua voce è sommessa e il suo respiro è affannoso non solo perché la sua muta sta finendo la riserva d’aria, ma è lei stessa ad essere a corto di vita. Viene letteralmente trascinata dalla gravità, si fa trasportare dal suo collega attraverso un filo che li tiene insieme nell’immensità dello spazio. In un momento di calma apparente e di confessione, scopriamo di più della vita di Ryan. Ha subito una grande perdita, un trauma che le impedisce di andare avanti. Così continua ad essere trascinata, sia nello spazio che nella sua vita, che è diventata una sorta di limbo prevalso dalle abitudini quotidiane e dalla solitudine.
Ma avviene qualcosa durante questo viaggio, dopo una serie di eventi che la lasciano dispersa, assistiamo ad una scena di rinascita. Ryan è incubata come un feto in una navicella che è riuscita a raggiungere dopo essersi persa completamente. Quindi smarrimento e rinascita. La vediamo letteralmente tornare alla vita, durante una scena estremamente toccante che ci fa immergere completamente. Ma non è una vita facile, gli imprevisti e le coincidenze sono sempre in agguato. Da qui lo spettatore comincia inevitabilmente a immedesimarsi e a fare il tifo per lei. Perché questo viaggio nello spazio è un parallelismo della nuova vita dell’astronauta ma anche di quella di tutti noi.
La vediamo quindi rinascere dopo un grande trauma, combattere per sopravvivere, portandosi sempre con se un grande dolore, che inevitabilmente cambia dentro, ma riuscendo a trasformarlo in forza per andare avanti. Sentiamo il suo dolore quando lei lo mostra, viaggiamo con lei e ci aggrappiamo alla vita come Ryan si aggrappa ai pezzi di navicella per sopravvivere. Per quanto la gravità ci possa trasportare via come gli eventi della vita fanno ogni giorno, noi resistiamo. E quando arriviamo ad un momento di sconforto totale, sono i ricordi, le esperienze forti e gli affetti che incontriamo nella via, a darci la forza per andare avanti. Quando infatti Ryan pensa che è più facile morire che vivere, il suo subconscio si aggrappa all’ultimo momento alla vita grazie ad un “incontro” speciale, che è uno dei momenti più toccanti del film. Ritrovare così la forza per provarle tutte, perché ne vale la pena, perché chi abbiamo lasciato dietro sia fiero di noi. Combattere per chi non ha avuto la possibilità di andare avanti con la propria vita per diversi motivi.
Ma durante il nostro percorso, come sappiamo, veniamo sempre messi di fronte ad ostacoli. E quando ci si trova al momento della prova finale, quando la vera morte appare davanti a noi, l’importante è avere la consapevolezza che abbiamo davvero vissuto, che ce l’abbiamo messa tutta. Perché come Ryan esclama con tutta la consapevolezza e le ultime forze rimaste: "La colpa non sarà di nessuno! Comunque vada, è stato un grande viaggio!".
Ed è proprio questo Gravity, un viaggio totalitario condensato in un’ora e mezza di intrattenimento ed emozione allo stato puro. Un’odissea commovente e struggente vissuto in parallelo con una Sandra Bullock toccante che tiene le redini di una storia coinvolgente e rappresentativa dell'essenza della vita.
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