francesca meneghetti
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domenica 7 novembre 2010
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perfettamente imperfetti: uomini
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“Uomini di Dio” è la versione italiana di un titolo che includeva nella pluralità anche il divino “Des hommes et de Dieu”). Il film, Gran premio della giuria di Cannes ,ha avuto un sorprendente successo di pubblico nonostante il titolo, l’argomento, la lunghezza, i ritmi narrativi che non sono certo agili. Si può forse partire da qui: dal fatto che il film ha risposto ad una serie di bisogni profondi (di silenzio, di riflessione, spiritualità e, soprattutto, di umanità , tolleranza, coerenza morale) che caratterizzano buona parte del pubblico, forse perché tali bisogni sono sistematicamente calpestati dal Potere. Il messaggio del fim è forte: ricorda per certi versi il percorso descritto da Platone nel Fedone, il dialogo che racconta la morte di Socrate.
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“Uomini di Dio” è la versione italiana di un titolo che includeva nella pluralità anche il divino “Des hommes et de Dieu”). Il film, Gran premio della giuria di Cannes ,ha avuto un sorprendente successo di pubblico nonostante il titolo, l’argomento, la lunghezza, i ritmi narrativi che non sono certo agili. Si può forse partire da qui: dal fatto che il film ha risposto ad una serie di bisogni profondi (di silenzio, di riflessione, spiritualità e, soprattutto, di umanità , tolleranza, coerenza morale) che caratterizzano buona parte del pubblico, forse perché tali bisogni sono sistematicamente calpestati dal Potere. Il messaggio del fim è forte: ricorda per certi versi il percorso descritto da Platone nel Fedone, il dialogo che racconta la morte di Socrate. E merita perciò il massimo rispetto, tanto più per il fatto che il regista lavora molto sulla psicologia dei personaggi, su tutto ciò che li rende umani, benché “uomini di Dio”: cioè perfettamente imperfetti (i dubbi, le paure, le fragilità, la tentazione del tradimento). Notevoli, a questo riguardo, certe riprese dei volti, soprattutto degli sguardi, a scrutarne i pensieri, che ricordano l’intimismo di Bergman. Ugualmente è interessante aver trattato il tema del terrorismo islamico rifiutando la tentazione delle tinte forti: anzi, i colori si smorzano del tutto nella bellissima scena finale che non racconta la fine, ma vi allude con la tecnica dello sfumato portata all’estremo. E’ forse l’unica scena – assieme all’ultima cena, accompagnata dalla musica del Lago dei cigni (presagio di morte) e da vino rosso - che si sottrae alla scelta del realismo nel racconto della vita quotidiana perseguita dal regista.
Grande l’interpretazione di Wilson Lambert, il leader dei monaci, con il fisico e il viso ascetici e adatti al ruolo, ma anche di Michael Lonsdale, il medico, un bellissimo mix di positivismo e spiritualità, e di Jacques Herlin, il più fragile e vecchio dei monaci, che grazie ad un potente istinto di vita, a volte più forte proprio nei vegliardi, riesce a sottrarsi al destino comune.
E tuttavia mi permetto di sottolineare alcuni nei. Il primo riguarda i rituali religiosi. Comprensibili naturalmente come elemento caratterizzante la vita quotidiana di un convento. Necessari, per certi aspetti (vedi i cori), per individuare le radici della forza e dell’unione dei monaci. Ma nell’economia generale del film un po’ troppo invasivi e causa di ritmi a volte lenti. Anche Rossellini, in Paisà, ricreava la calma e la serenità di un monastero sull’Appennino, ma era una pausa all’interno di una cornice più ampia. Il secondo, i colori e le luci degli spazi chiusi. Il realismo ci sta nell’oscurità rischiarata da una candela, ma i toni freddi sembrano in contrasto con il calore umano. Infine un paio di considerazioni da agnostica. La prima: è possibile che un messaggio eticamente forte debba venire ancora oggi solo da una proposta religiosa? La seconda: poiché i monaci sono consapevoli che molte forme di fanatismo vengono da aberranti interpretazioni di una religione è possibile che, tra le motivazioni meno consapevoli della loro scelta, ci sia anche quella di espiare con un sacrificio le violenze prodotte in passato dal cristianesimo?
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[+] gli uomini e gli dei
(di custos)
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light one
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sabato 6 novembre 2010
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dietro l,angolo , ma cosi distante
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PER OGGI POSSO SOLO DIRE ,BEATI QUELLI CHE POSSONO VEDERE FILM COSI - A ORISTANO E PROVINCIA DIFFICILMENTE ARRIVERANNO - RIMANE LA RASSEGNA ALL,ARISTON DI ORISTANO IN PRIMAVERA - CHIAMATA " RACCONTI DI PRIMAVERA " RASSEGNA DI FILM ( 12 ) D,AUTORE - CIAO A TUTTI
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salvatore scaglia
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sabato 6 novembre 2010
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una pellicola terribilmente splendida
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Ispirato a fatti reali, il film narra la vicenda di alcuni monaci, rapiti ed uccisi a Tibhirine, sulle montagne dell’Atlante, in Algeria nel 1996. Mentre nello Stato africano imperversa il fondamentalismo islamico, non contenuto da un governo corrotto, un pugno di religiosi cattolici francesi sceglie di vivere accanto ad un villaggio musulmano, tra preghiera ed impegno concreto a favore degli ultimi. Alcuni dei monaci si occupano delle relazioni con le autorità civili, altri studiano - persino il Corano - e coltivano l’orto, un altro cura, da medico, chiunque abbia bisogno di assistenza:senza distinzioni di fede.
Insieme all’atteggiamento pacifico dei religiosi, ciò dà fastidio, espresso da un crescendo di visite notturne degli integralisti al monastero; di tentativi di protezione dell’esercito, vera o di facciata; di consigli a lasciare il posto; fino all’irruzione definitiva dei sequestratori ed assassini.
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Ispirato a fatti reali, il film narra la vicenda di alcuni monaci, rapiti ed uccisi a Tibhirine, sulle montagne dell’Atlante, in Algeria nel 1996. Mentre nello Stato africano imperversa il fondamentalismo islamico, non contenuto da un governo corrotto, un pugno di religiosi cattolici francesi sceglie di vivere accanto ad un villaggio musulmano, tra preghiera ed impegno concreto a favore degli ultimi. Alcuni dei monaci si occupano delle relazioni con le autorità civili, altri studiano - persino il Corano - e coltivano l’orto, un altro cura, da medico, chiunque abbia bisogno di assistenza:senza distinzioni di fede.
Insieme all’atteggiamento pacifico dei religiosi, ciò dà fastidio, espresso da un crescendo di visite notturne degli integralisti al monastero; di tentativi di protezione dell’esercito, vera o di facciata; di consigli a lasciare il posto; fino all’irruzione definitiva dei sequestratori ed assassini.
La pellicola di Beauvois si presenta terribilmente splendida. Dopo i primi minuti di gioia e di festa, funzionali a descrivere il clima di cordialità tra i monaci e gli abitanti del luogo, è tutto un alternarsi di silenzi (le laboriose meditazioni dei religiosi) e di rumori (le urla degli estremisti, l’arrivo di automezzi militari, il minaccioso sorvolo di un elicottero sul convento); di chiari (l’abito monacale, il sole del giorno) e di scuri (le vesti dei combattenti islamici, le tenebre notturne), a significare icasticamente i beni in gioco: la giustizia, la libertà, la pace, la vita umana stessa.
Se le ripetute orazioni e Sante Messe contribuiscono a dare serenità, anche allo spettatore, in contrapposizione a quanto accade all’esterno del monastero, non sono tuttavia infrequenti i momenti di paura, di pianto, di ricerca della fuga verso la salvezza fisica da parte dei religiosi. Anche le diverse deliberazioni della comunità riunita esprimono tale stato di incertezza, che il regista indaga, con introspezione psicologica, pure mediante l’inquadratura ravvicinata dei volti di questi uomini. Nel turbamento, ben consapevoli, come insegnano non solo i vari Salmi da loro cantati, che “chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia”, dice il Signore, “e del vangelo, la salverà” (Marco 8, 35).
Così risulta davvero efficace l’associazione cinematografica del martirio dei monaci al sacrificio di Cristo: l’indugiare della camera sul pane e sul vino della Messa è, ad un tempo, presagio e spiegazione degli ultimi istanti terreni dei religiosi. Così, nell’ennesimo consolarsi vicendevole, un monaco chiede ad un confratello: << ce la fai ? >>. << Sì >>, gli risponde l’altro. Proprio mentre il gruppo, dai colori cupi, dei monaci sequestrati e dei boia integralisti si dissolve, lentamente, nel bianco candido della nebbia e della neve. In faticosa ascesa, come nel Calvario di Cristo: che li trasforma finalmente in veri “Uomini di Dio”.
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aesse
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venerdì 5 novembre 2010
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il destino maiuscolo
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Ben meritata davvero la Palma d’Oro per questo film del francese Beauvois: riuscire a mantenere un alto tasso di partecipazione emotiva, direi di fiato sospeso sino dalla prima scena del film “ Uomini di Dio”, libera interpretazione dell’originale “ Des hommes et des Dieux” ben più pertinente, non è affatto un’operazione scontata . Nonostante infatti la minaccia bucolica con tanto di pace agreste che il verde solatio della vegetazione antica del pascolo nei pressi del quale sorge il monastero Atlante dei monaci trappisti della nostra storia, nel film c’è una costante tensione drammatica: ogni atto anche il più quotidiano e semplice ci appare come ultimo e quindi testamentario. Tale risultato, come detto non certo scontato, non si appoggia sul fatto che la storia narrata è ispirata da fatti realmente accaduti, recenti e anche se la storia di oggi è caratterizzata da fretta archiviatoria indimenticabili, tanto da pensare che la conoscenza del drammatico finale condizioni fino dalla prima scena lo stato d’animo dello spettatore, dato che, sempre così non è.
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Ben meritata davvero la Palma d’Oro per questo film del francese Beauvois: riuscire a mantenere un alto tasso di partecipazione emotiva, direi di fiato sospeso sino dalla prima scena del film “ Uomini di Dio”, libera interpretazione dell’originale “ Des hommes et des Dieux” ben più pertinente, non è affatto un’operazione scontata . Nonostante infatti la minaccia bucolica con tanto di pace agreste che il verde solatio della vegetazione antica del pascolo nei pressi del quale sorge il monastero Atlante dei monaci trappisti della nostra storia, nel film c’è una costante tensione drammatica: ogni atto anche il più quotidiano e semplice ci appare come ultimo e quindi testamentario. Tale risultato, come detto non certo scontato, non si appoggia sul fatto che la storia narrata è ispirata da fatti realmente accaduti, recenti e anche se la storia di oggi è caratterizzata da fretta archiviatoria indimenticabili, tanto da pensare che la conoscenza del drammatico finale condizioni fino dalla prima scena lo stato d’animo dello spettatore, dato che, sempre così non è. Non è raro, infatti, trovarsi per quanto riguarda altre narrazioni cinematografiche, a trepidare per un finale che non può essere diverso da quello che essendo vero tutti conosciamo. Piuttosto, e questa è la mia lettura, si tratta dell’adempimento di un destino che non si impone e che ognuno dei frati protagonisti della storia definisce in maniera consapevole ed autonoma, per quanto personale. Ogni scelta poi porta a quella successiva che la contempla e la prosegue attraverso il passaggio catartico dei loro canti corali che, come “ cartasuga”, asciugano l’inchiostro delle parole fissandolo nel tempo fino all’atto finale della scelta condivisa e definitiva suggellata con due bottiglie di vino delle grandi occasioni e l’ascolto del “ Il lago dei cigni” di Cajkovskij con gli ovvi riferimenti simbolici che ognuno di noi saprà trovare… Ed è un destino maiuscolo quello dei nostri protagonisti, sia che la decisione di rimanere fino all’esito finale nonostante il pericolo incombente dell’integralismo religioso che minaccia la loro esistenza e quella della comunità pacificata che al loro monastero fa riferimento, sia del primo momento o combattuta come nel caso di chi, dopo travagli e tormenti si decide per la coniugazione virtuosa del suo amore terreno, forse omosessuale, con quello di Dio. E’ fedeltà al destino anche quella di chi sopravvive per mantenere fede all’aspettativa vaticinante che riguarda la lunghezza della sua vita:“… ci seppellirai tutti…” del vecchio Amèdèe. Destino che si coniuga in un modo e nel contrario di esso: rispettarlo può volere dire stare così come andare, si tratta di intenderlo, non c’è regola. Così come il destino di questo film era quello di raccontare una vicenda di atrocità senza incorrere nel pericolo di dividere ed accusare, glissando sulle immagini più cruente e preferendo indugiare sul corpo di un Cristo forse caravaggesco di fronte al quale sentirsi tutti fratelli come la voce recitante del capo convento invita a fare: destino compiuto.
ANTONELLA SENSI
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maria cristina nascosi sandri
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lunedì 1 novembre 2010
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umanamente rigoroso, la realtà.
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«Uomini di Dio» di Xavier Beauvois, umanamente rigoroso, la realtà… di Maria Cristina Nascosi Sandri
Il doppio partitivo del titolo in originale del bel film del francese Xavier Beauvois, Des hommes et des dieux, appena uscito nelle sale italiane, se tradotto letteralmente, pluralizzando anche il secondo sostantivo, si tradurrebbe più o meno Intorno ad uomini e dei e, quindi, potrebbe mistificare il significato del film e la tesi che, con molta umanità e vera cristianità, porta avanti.
Storica e reale la vicenda narrata che non si riporta per non banalizzare la diretta visione della bella pellicola da vedere meritevole, peraltro, quest’anno, del Gran Premio della Giuria a Cannes.
La recitazione degli ottimi Wilson e Lonsdale – ma pure gli altri comprimari non son certo da meno – segue puntualmente anche a livello stilistico – estetico quella tesi di cui si diceva più sopra.
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«Uomini di Dio» di Xavier Beauvois, umanamente rigoroso, la realtà… di Maria Cristina Nascosi Sandri
Il doppio partitivo del titolo in originale del bel film del francese Xavier Beauvois, Des hommes et des dieux, appena uscito nelle sale italiane, se tradotto letteralmente, pluralizzando anche il secondo sostantivo, si tradurrebbe più o meno Intorno ad uomini e dei e, quindi, potrebbe mistificare il significato del film e la tesi che, con molta umanità e vera cristianità, porta avanti.
Storica e reale la vicenda narrata che non si riporta per non banalizzare la diretta visione della bella pellicola da vedere meritevole, peraltro, quest’anno, del Gran Premio della Giuria a Cannes.
La recitazione degli ottimi Wilson e Lonsdale – ma pure gli altri comprimari non son certo da meno – segue puntualmente anche a livello stilistico – estetico quella tesi di cui si diceva più sopra.
La grandezza e la meschinità dell’animo umano escono puntualmente da tutti i personaggi: molto da vicino sarebbe facile citare il Lucrezio dell’Homo sum, nihil umani mihi alienum puto, con millanteria e con umiltà, ad un tempo.
La paura e la vigliaccheria come l’eroismo fan parte, in contemporanea, dell’uomo, santo o criminale che sia.
E se alla fine un perdono autenticamente e letteralmente cristiano – si badi, non cattolico, non a caso una delle ultime frasi è quella di Wilson che, voce-commento fuori campo durante tutto il film, dice “grazie (e non: perdono) anche a te che mi uccidi e che non sai quello che fai” – chiosa un sacrificio umano ‘annunciato’ e prevedibile fin dall’inizio del racconto filmico, è altrettanto e pur vero che un piccolo miracolo umano, ‘divinamente’ umano, avviene quando i monaci svaniscono in un finale di nebbia, nebbia è la loro morte di giustiziati senza peccato se non, forse, quello ‘originale’ , ma proprio per questo ‘un non peccato’.
Perché proprio con quel finale si dimostra che per l’umanità che è nata, muore e risorge - grazie al sacrificio di Cristo - a somiglianza di Dio, omnia vincit amor e carità è amore - per citare San Paolo, quello stesso gran peccatore che morì, ancora un’apparente contraddizione in termini, santo.
Ben dosati pure i silenzi e le cantate, i salmi dei monaci che puntualmente scandiscono le parti del film, tra pause, rallentamenti come pensieri e approfondimenti dell’animo e della mente squassati e martoriati dall’estemporaneo violento della guerra, del malessere che è trama e ordito insieme con la missione benefica dei monaci, il loro quotidiano donarsi per salvare, senza retorica, mente e corpi dei ‘colonizzati’ di un tempo.
Solo, alla fine, musica presaga quant’altri mai, come solo la dolcezza e la violenza della musica fatale di Tchaikowskji sa essere ( un brano del Lago dei cigni, ascoltato durante la loro Ultima Cena – momento essenziale e pregnante del film), la m.d.p. fa il giro dei loro volti che dal sorriso, per quel regalo armonioso che il frate-medico fa loro, una tantum – volgono, in pochi secondi, alla tristezza più cupa per la chiara consapevolezza che la morte li sta per ghermire, vittime innocenti cui il libero arbitrio ha concesso la facoltà di divenire, in quel momento della Storia, martiri innocenti …
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ablueboy
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domenica 31 ottobre 2010
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tremendo e profondissimo esercizio di stile
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Il registra dimostra tutta la sua maestria nel narrare una storia nota fin dall'inizio, in un contesto che ben si presterebbe alle più ripetute banalità stilistiche e contenutistiche del cinema contemporaneo a sfondo sociale, oltre che a facili esaltazioni religiose a sfondo cristiano. Come altri han detto, il vero titolo del film sarebbe "Degli Uomini e Degli Dei". Conseguentemente, la rappresentazione dello stile di vita monacale non è come sarebbe facilmente potuta essere una semplice esaltazione del credo cristiano e della semplicità del credo monastico. L'operazione filmica proposta è quella di uno sguardo inizialmente molto distaccato e quasi antropologico sulle abitudini dei monaci, per intenderci non un'enfasi beatificante alla Zeffirelli.
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Il registra dimostra tutta la sua maestria nel narrare una storia nota fin dall'inizio, in un contesto che ben si presterebbe alle più ripetute banalità stilistiche e contenutistiche del cinema contemporaneo a sfondo sociale, oltre che a facili esaltazioni religiose a sfondo cristiano. Come altri han detto, il vero titolo del film sarebbe "Degli Uomini e Degli Dei". Conseguentemente, la rappresentazione dello stile di vita monacale non è come sarebbe facilmente potuta essere una semplice esaltazione del credo cristiano e della semplicità del credo monastico. L'operazione filmica proposta è quella di uno sguardo inizialmente molto distaccato e quasi antropologico sulle abitudini dei monaci, per intenderci non un'enfasi beatificante alla Zeffirelli. Il meccanismo di identificazione verso i monaci è indotto non tanto in virtù della loro cristianità, quanto in ragione del loro timore per la morte e del modo umanissimo in cui si aggrappano alla loro fede in risposta al timore. In questo, il messaggio non è quello che potrebbe sembrare un'assolutizzazione evangelizzante del credo cristiano, ma una rappresentazione universale del rapporto fra l'uomo e (una) fede, in cui il credo dei monaci è solo strumento stilistico finalizzato a rappresentare appunto verità che sono "Degli Uomini, e Degli Dei", e non possedute da "Uomini di Dio". Detto questo, il film riesce ad essere sorprendente nel ritmo pur essendo la trama del tutto nota fin dall'inizio. In alcuni momenti, la rappresentazione dell'uomo passa dallo stile minimale documentaristico a ben altri strumenti stilistici, che evitano comunque tutti i cliché di certa produzione filmica a sfondo religioso. Il messaggio cristiano è quindi esaltato, ma la maestria del regista è quella di usarlo per rivelare verità molto più universali, evitando non solo un fastidioso ( e facile) distico fra moderazione monacale cristiana e integralismo islamico, ma anche indigeribili rappresentazioni del buon missionario alle prese con beaux sauvages.
Ho assistito a questo film con sguardo molto laico e molto prevenuto e ne sono rimasto fortemente commosso e sorpreso. Un tremendo e sottilissimo esercizio di stile che sfugge comunque agli sterilimi manierismi del film colto francese, non teme di sfiorare l'universale e riesce ad essere non banale. Finalmente
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giank51
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giovedì 28 ottobre 2010
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uomini di dio in un mondo senza dio
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E' così importante definire il contesto storico di questa vicenda?
Molti anni sono passati da allora e gli integralisi islamici continuano a proliferare.
Questa vicenda è solo un problema di confronto fra identità religiose?
Questo film ha molto di più da trasmettere. Soprattutto a quelli che si considerano cristiani. La vita che questi monaci conducono, sia pure sulle pendici del monte Atlante, è di per sè una provocazione al mondo, al nostro prima ancora che a quello islamico. Una esistenza che si apre con la preghiera e continua nella semplicità delle occupazioni ( chi fa più il medico come quel monaco?) e si chiude con una lode a Dio, è già di per sè un arduo percorso per tutti noi.
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E' così importante definire il contesto storico di questa vicenda?
Molti anni sono passati da allora e gli integralisi islamici continuano a proliferare.
Questa vicenda è solo un problema di confronto fra identità religiose?
Questo film ha molto di più da trasmettere. Soprattutto a quelli che si considerano cristiani. La vita che questi monaci conducono, sia pure sulle pendici del monte Atlante, è di per sè una provocazione al mondo, al nostro prima ancora che a quello islamico. Una esistenza che si apre con la preghiera e continua nella semplicità delle occupazioni ( chi fa più il medico come quel monaco?) e si chiude con una lode a Dio, è già di per sè un arduo percorso per tutti noi.
Ed ecco che anche per i monaci Dio si presenta come domanda ed questa tragica vicenda li costringe a verificare il senso di una scelta e di una vita.
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olgadik
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giovedì 28 ottobre 2010
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quando la fede diventa fanatismo
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Il film secondo me è tutto nell’invito a meditare su come le fedi possano convivere nella pace e su come sia facile che l’amore per un dio possa mutarsi in odio per i seguaci di altri culti. Avvincente la storia che il regista imbastisce intorno a questo intento. Alcuni frati francesi hanno scelto di testimoniare la propria fede vivendo in un convento nei pressi di un villaggio musulmano nell’Atlante algerino. Qui essi curano i malati e partecipano anche alle cerimonie religiose e alle prediche dell’imam. La loro esistenza è semplice, fatta di piccole attività ripetute, di pasti, preghiere e canti in comune con qualche accenno di umane passioni (paure, gelosie, contraddizioni) di peso non trascurabile.
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Il film secondo me è tutto nell’invito a meditare su come le fedi possano convivere nella pace e su come sia facile che l’amore per un dio possa mutarsi in odio per i seguaci di altri culti. Avvincente la storia che il regista imbastisce intorno a questo intento. Alcuni frati francesi hanno scelto di testimoniare la propria fede vivendo in un convento nei pressi di un villaggio musulmano nell’Atlante algerino. Qui essi curano i malati e partecipano anche alle cerimonie religiose e alle prediche dell’imam. La loro esistenza è semplice, fatta di piccole attività ripetute, di pasti, preghiere e canti in comune con qualche accenno di umane passioni (paure, gelosie, contraddizioni) di peso non trascurabile. Tutti i caratteri sono narrati con verità. Ma importante è il contesto in cui la storia si pone. Siamo nel 1966; l’Algeria vive uno scontro civile tra musulmani moderati e terroristi fanatici, che seminano violenza e sangue. Sotto il tiro del fanatismo cadranno sette anche dei nostri frati, decapitati. Doveroso un grazie all’autore per non aver cercato l’effetto facile con le immagini dell’esecuzione: i frati scompaiono dallo schermo piano piano, dissolvendosi nel chiarore notturno della neve insieme ai loro aguzzini. E qui entra protagonista anche il paesaggio incontaminato sia quando si mescolano i riflessi dorati delle terre e gli azzurri dell’acqua di un fiume sia quando le forme, ora dolci ora puntute della catena dell’Atlante, si innevano. Suggestive anche le immagini da da ultima cena stilizzata verso la fine del racconto, quando la sorte dei frati sta per compiersi. Niente artifici retorici, solo le teste di uomini diversi, vittime e carnefici, in primissimo piano.
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mario rivera
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mercoledì 27 ottobre 2010
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un film commovente
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Un film commovente e meraviglioso nella sua semplicità. Racconta di una maniera molto bella la vita di un gruppo di monaci trappisti francesi nell’Algeria. Per una persona con una sensibilità religiosa profonda guardare questo film sarà una vera esperienza spirituale. La scelta dei testi liturgici e de diverse condivisioni a tavola per dare ritmo al passo del tempo è veramente magistrale.
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renato volpone
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domenica 24 ottobre 2010
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quanto dolore
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bellissimo film....parla degli anni dolorosi dell'Algeria, quando il fondamentalismo seminava vittime nei villaggi. Questo è il racconto di un anno di vita di questa comunità di frati minacciati dal fondamentalismo....il loro percorso umano e spirituale verso un quasi annunciato martirio. Il film non denuncia la guerra di religione, ma fa chiarezza su ciò che è spirito e umanità e ciò che trascende la religione nella violenza. Splendide le interpretazioni....come sempre consiglio la visione della versione originale del film. Assolutamente da vedere
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