laulilla
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sabato 23 ottobre 2010
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gli uomini e gli dei
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Uomini di Dio", è cosa diversa dall'originale "Gli uomini e gli dei", poiché sembra quasi alludere a una contrapposizione, nel film inesistente, fra gli sventurati monaci trappisti, qui rievocati (la storia è vera) e i musulmani che vivevano a ridosso del convento. Tutto il film e anche il testamento di Christian, il priore intellettuale del gruppo, ci dice il contrario: un solo Dio è padre di tutti e chi non lo capisce non sa quello che si fa. L'assassinio dei sette monaci, d'altra parte, non fu mai pienamente chiarito, né l'abolizione del segreto di stato ha potuto escludere un ruolo attivo dell'esercito governativo algerino nel massacro, né dei Servizi segreti, il che adombra ragioni politiche, non religiose dietro l'orrenda ingiustizia.
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Uomini di Dio", è cosa diversa dall'originale "Gli uomini e gli dei", poiché sembra quasi alludere a una contrapposizione, nel film inesistente, fra gli sventurati monaci trappisti, qui rievocati (la storia è vera) e i musulmani che vivevano a ridosso del convento. Tutto il film e anche il testamento di Christian, il priore intellettuale del gruppo, ci dice il contrario: un solo Dio è padre di tutti e chi non lo capisce non sa quello che si fa. L'assassinio dei sette monaci, d'altra parte, non fu mai pienamente chiarito, né l'abolizione del segreto di stato ha potuto escludere un ruolo attivo dell'esercito governativo algerino nel massacro, né dei Servizi segreti, il che adombra ragioni politiche, non religiose dietro l'orrenda ingiustizia. Siamo nel 1996, nel pieno della guerra civile d'Algeria. La vita nel convento di monaci, che sorge alla periferia di un piccolo villaggio di quel paese, prosegue fra le normali attività quotidiane, ispirate alla regola benedettina del lavoro e della preghiera, portate avanti da un esiguo numero di religiosi, per lo più anziani, in un clima di fraterna solidarietà con gli abitanti musulmani dei dintorni. Luc, il medico frate, ora vecchio e malato, li cura, per puro spirito d'amore e di carità, altri confratelli si rendono utili nel coltivare i campi, altri raccolgono il miele e lo vendono sul mercato, mentre Christian, più giovane e mistico, legge e annota il Corano, comprendendo molto bene che una sua corretta interpretazione non può che indurre al rispetto delle differenze reciproche fra Islam e Cristianesimo, culture di pace. Quando la guerra civile fra moderati e integralisti si farà sentire nel villaggio e lambirà il convento, saranno proprio le parole del Corano pronunciata da Christian e proseguite dal feroce guerrigliero (bellissima e toccante scena del film) ad allontanare, almeno per il momento, il pericolo per i monaci. Il convento, però è ormai individuato come luogo per curare i feriti: proprio a Luc verrà portato il guerrigliero ferito e sofferente e ciò scatenerà la diffidenza delle autorità militari algerine, al governo in seguito al colpo di stato del 1991. I monaci non accolsero né l'invito ad accettare il presidio del convento da parte dell'esercito, né la perentoria intimazione a lasciare il paese alla volta della Francia, perché, proprio nel momento di maggior rischio, tutti ritrovarono le irrinunciabili ragioni che li avevano indotti ad amare la terra di Algeria e il suo popolo, con il quale essi decisero di condividere rischi e paure. Le pagine più belle del film, si trovano, a mio avviso, nella rappresentazione della fragilità umana, dei dubbi e delle esitazioni dei monaci, che sono uomini e non dei, e perciò temono il dolore e la morte, come tutti. All' elicottero minaccioso e assordante, non potranno che opporre i loro canti e la loro preghiera; all'avvicinarsi dell'ultima ora di libertà, opporranno una sobria cena, con due belle bottiglie di un buon rosso francese, e l'accompagnamento di una suggestiva pagina dal Lago dei cigni. Bellissimo e toccante il finale, con l'immagine del loro disperdersi nel nevischio che a poco a poco li sottrae alla vista dello spettatore, nel gelo dell'inverno e del cuore del carnefice.
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zozner
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sabato 23 ottobre 2010
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il calvario per trovare la propria appartenenza.
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Il film apre su una cittadina di un non ben definito Paese arabo in un tempo difficile da definire. Li, su una terra rossa, sassosa e dura ma che regala squarci di un paesaggio che rapisce, ai piedi di una catene montuosa dove tutte le case, piatte e non finite inghiottono alla sera e sputano alla mattina una fiumana di persone che si ritrovano, come formiche a camminare veloci, ad incontrasi e separarsi di continuo ma senza mai allontanarsi dal nucleo centrale, li, un gruppo di monaci cattolici vive la sua esperienza umana e di fede.
Laboriosi, pregano e lavorano aiutando ognuno con le proprie possibilità, le persone che abitano attorno al convento. Il regista Xavier Beauvois, si sofferma a lungo e su diversi temi a dimostrare come sia voluta e cercata l’integrazione fra le diverse culture e svela che si tratta di monaci francesi rimasti in Algeria anche dopo la finita colonizzazione da parte della Francia.
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Il film apre su una cittadina di un non ben definito Paese arabo in un tempo difficile da definire. Li, su una terra rossa, sassosa e dura ma che regala squarci di un paesaggio che rapisce, ai piedi di una catene montuosa dove tutte le case, piatte e non finite inghiottono alla sera e sputano alla mattina una fiumana di persone che si ritrovano, come formiche a camminare veloci, ad incontrasi e separarsi di continuo ma senza mai allontanarsi dal nucleo centrale, li, un gruppo di monaci cattolici vive la sua esperienza umana e di fede.
Laboriosi, pregano e lavorano aiutando ognuno con le proprie possibilità, le persone che abitano attorno al convento. Il regista Xavier Beauvois, si sofferma a lungo e su diversi temi a dimostrare come sia voluta e cercata l’integrazione fra le diverse culture e svela che si tratta di monaci francesi rimasti in Algeria anche dopo la finita colonizzazione da parte della Francia.
Tutto funziona ma, lo spettatore avverte, sente una situazione di atemporalità ed estraneità. Al susseguirsi un po’ lento e ripetitivo di una quotidianità laboriosa, fatta di preghiere e lavoro, la macchina da presa si stacca veloce quando potrebbero emergere la strutture psicologiche di quegli uomini che vivono una esperienza cos’ì essenzialmente separata dagli altri che li circondano e dal resto del mondo. C’è solo il quotidiano. Improvvisamente irrompe nella città e nel convento la violenza, il pericolo di morte e, rompe l’incantesimo.
Ogni monaco è costretto a fare i conti con se stesso, con la propria miseria, con la sua storia e a chiedersi se vuole veramente stare li o andarsene. La paura, diventa il crogiuolo dove purificano la loro scelta e si accorgono di come nonostante i voti, le azioni formali, le preghiere quotidiane, solo in quel momento possono veramente fare una scelta.
E’ sul tema della scelta che Beauvois centra il suo film. Cosa devono scegliere quei monaci? Di vivere o morire? No, si deve cercare di vivere fino all’ultimo, dice l’Abate, il martirio non è una scelta è la storia. Scegliere, suggerisce il regista, significa appartenere. E non è sufficiente stare decenni, lavorare, soffrire, donare, per appartenere a quel popolo, a quella terra a quella gente a quel luogo. In quella realtà di pericolo, quei monaci, nonostante tutta la loro buona volontà, si accorgono che hanno vissuto fino ad allora mentalmente, in uno spazio senza storia. Non ricordano neanche chi fossero i padri che li avevano preceduto nel convento, non sanno ancora se sono uccelli che volano via o alberi impiantati per terra.
Il calvario, la morte, da loro la possibilità di incarnarsi, di sentirsi veramente, parte di...
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