omero sala
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lunedì 29 novembre 2010
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ora et labora
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Il piccolo convento sperduto fra le montagne dell’Atlante algerino non è l’avamposto militare di un manipolo di missionari dediti al proselitismo e non è nemmeno la fortezza Bastiani del “Deserto dei Tartari” di Buzzati dalla quale si scruta l’orizzonte in attesa dell’orda di barbari che deve arrivare, ma è un’isola serena abitata da una piccola comunità di frati, un porto di quiete a cui approdano da tutti i villaggi della zona coloro che hanno bisogno di essere curati o confortati, di ricevere in dono un consiglio o un paio di scarpe.
La giornata dei monaci è scandita dalla preghiera e dal lavoro (ora et labora, appunto) ed il clima che si respira ci dice che la preghiera ed il lavoro sono l’intreccio sostanziale di una scelta esistenziale, l’ordito e la trama che tengono insieme la comunità, le basi complementari di un’armonia mentale che si esprime in una tangibile vocazione alla umana solidarietà.
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Il piccolo convento sperduto fra le montagne dell’Atlante algerino non è l’avamposto militare di un manipolo di missionari dediti al proselitismo e non è nemmeno la fortezza Bastiani del “Deserto dei Tartari” di Buzzati dalla quale si scruta l’orizzonte in attesa dell’orda di barbari che deve arrivare, ma è un’isola serena abitata da una piccola comunità di frati, un porto di quiete a cui approdano da tutti i villaggi della zona coloro che hanno bisogno di essere curati o confortati, di ricevere in dono un consiglio o un paio di scarpe.
La giornata dei monaci è scandita dalla preghiera e dal lavoro (ora et labora, appunto) ed il clima che si respira ci dice che la preghiera ed il lavoro sono l’intreccio sostanziale di una scelta esistenziale, l’ordito e la trama che tengono insieme la comunità, le basi complementari di un’armonia mentale che si esprime in una tangibile vocazione alla umana solidarietà.
Quando la violenza di un gruppo di integralisti islamici si profila all’orizzonte, feroce e concreta, i frati vivono un attimo di smarrimento e di paura: ma i dubbi presto si ricompongono, rivelando la compattezza della comunità e la profonda maturità dei singoli. La paura permane, ma la certezza di essere in pericolo non impedisce ai frati di decidere - sia pure dopo molte titubanze - che non fuggiranno, non appronteranno difese né accetteranno la protezione dell’esercito, forti della loro sublime neutralità e del loro spirito di carità; e nemmeno si separeranno fra loro, legati da un senso di appartenenza che li tiene insieme al di sopra delle diversità individuali (simul stabunt, simul cadent); e soprattutto non abbandoneranno la popolazione che su di loro fa affidamento (“come uccelli sui rami”).
Affronteranno con serenità i rischi che accompagnano la scelta di restare, senza dare alla loro decisione l’enfasi isterica dei vocati al martirio. E spariranno in una notte gelida, nel silenzio delle montagne innevate.
Da punto di vista formale e stilistico, i pregi del film sono l’austerità, la sobrietà, il minimalismo misurato che si esprime con inquadrature lente, movimenti di macchina morbidi, sequenze lunghe, montaggio e ritmo pacati, pause e rallentamenti.
La penombra invade le scene girate nel convento, in contrasto con la luminosità degli esterni (campi, montagne, mercato, villaggio).
Lo sfondo sonoro è prevalentemente costituito dai canti gregoriani e religiosi.
I dialoghi sono essenziali, tesi, densi. I silenzi sono intensamente significativi.
L’opzione registica risulta nel complesso coerente con la pacata scelta dei frati di operare nella quotidianità con moderazione, di andare incontro alla sorte con lucida serenità, di perseverare nella benevolenza anche davanti alla ferocia del fanatismo fondamentalista.
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desgi
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domenica 28 novembre 2010
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potenza dello spirito
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Xavier Beauvois racconta il sacrificio eroico di sette missionari cistercensi francesi in Algeria, vittime nel 1996 del terrorismo fondamentalista, e lo fa con grande senso della misura, senza concedere nulla alla retorica. Il film possiede infatti il rigore della vita monastica, la sceneggiatura è spoglia, essenziale, mai sovrabbondante, così come i dialoghi. Quello dei monaci è un percorso già segnato; ciò nonostante, pur con qualche umana esitazione, il loro cammino prosegue coerente sino alle estreme conseguenze. La loro forza morale si solidifica nell’esperienza vissuta, che si trasforma in un prolungato esercizio spirituale. La vita terrena è sacrificata, ma non c’è alcun autocompiacimento in questa scelta: non inseguono e non subiscono, infatti, il fascino del martirio, intendono solo affermare idealmente se stessi come spiriti liberi.
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Xavier Beauvois racconta il sacrificio eroico di sette missionari cistercensi francesi in Algeria, vittime nel 1996 del terrorismo fondamentalista, e lo fa con grande senso della misura, senza concedere nulla alla retorica. Il film possiede infatti il rigore della vita monastica, la sceneggiatura è spoglia, essenziale, mai sovrabbondante, così come i dialoghi. Quello dei monaci è un percorso già segnato; ciò nonostante, pur con qualche umana esitazione, il loro cammino prosegue coerente sino alle estreme conseguenze. La loro forza morale si solidifica nell’esperienza vissuta, che si trasforma in un prolungato esercizio spirituale. La vita terrena è sacrificata, ma non c’è alcun autocompiacimento in questa scelta: non inseguono e non subiscono, infatti, il fascino del martirio, intendono solo affermare idealmente se stessi come spiriti liberi. Per questo il loro esempio esula dall’ambito religioso, entro il quale pure matura, ma si rivolge trasversalmente a tutti gli uomini perché ciò che esprime è la necessità di affermare il valore della dignità dell’uomo e riconduce al sentimento universale della solidarietà umana. E’ questa la loro vera forza, la libertà morale dello spirito, la potenza connaturata a ciascun uomo che sta alla coscienza di ognuno preservare dalla sottomissione.
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daniel84
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domenica 28 novembre 2010
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un potenziale inespresso
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Un film con un potenziale inespresso. O meglio, non sfruttato. Ha l'abito di un reportage: lo spettatore è un semplice occhio , una presenza osservatrice senza critica, senza curiosità, senza arte. La pellicola si limita nel mostrare ciò che avviene all'interno di un convento di frati in una zona sempre più calda per quanto riguarda episodi di violenza e banditismo in genere. Il modo di raccontare, senza fronzoli, rende purtroppo il tutto un pò noioso. Di questo risentono anche le immagini, a parte qualche rara eccezione, spoglie e senza "occhio" per la composizione: le inquadrature non cercano quasi mai la bellezza, così come i dialoghi e buona parte degli avvenimenti.
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Un film con un potenziale inespresso. O meglio, non sfruttato. Ha l'abito di un reportage: lo spettatore è un semplice occhio , una presenza osservatrice senza critica, senza curiosità, senza arte. La pellicola si limita nel mostrare ciò che avviene all'interno di un convento di frati in una zona sempre più calda per quanto riguarda episodi di violenza e banditismo in genere. Il modo di raccontare, senza fronzoli, rende purtroppo il tutto un pò noioso. Di questo risentono anche le immagini, a parte qualche rara eccezione, spoglie e senza "occhio" per la composizione: le inquadrature non cercano quasi mai la bellezza, così come i dialoghi e buona parte degli avvenimenti. La narrazione procede lenta e non coinvolge più di tanto. Poteva essere sviluppato tutto molto meglio.
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nalipa
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mercoledì 24 novembre 2010
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"non temo la morte, sono un uomo libero"
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1996, nel corso del conflitto tra lo Stato d'Algeria e il Gruppo Islamico Armato (GIA), sette monaci trappisti del monastero di Tibhirine, sulle montagne dell'Atlante, furono rapiti da un gruppo di fontamentalisti armati. Dopo due mesi vennero ritrovate le teste dei sette religiosi.
Il giornalista americano John Kiser nel 2009 grazie ad un suo reportage é artefice della riapertura dell'inchiesta.
Il film mette in chiaro i fatti e sottolinea la fermezza con la quale i sette frati non trattano la propria fede e la propria libertà perché profondamenti convinti e consapevoli che quello é il loro posto nel mondo.
Impressionante!
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daniele d'antoni
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domenica 21 novembre 2010
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vita da uomini di dio
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Un piccolo gruppo di frati vive in un antico monastero in un paese dell’Algeria, perfettamente integrato con la popolazione musulmana del luogo. La tranquillità e la regolarità della vita quotidiana vengono interrotte non appena all’orizzonte inizia a profilarsi la minaccia rappresentata dal terrorismo islamico. In breve tempo, i frati dovranno affrontare tale minaccia, e scegliere se tornare nella loro patria, la Francia, abbandonando la loro missione, oppure rimanere e rischiare di morire.
Il film (del regista – attore Xavier Beauvois) ,che racconta una storia vera (avvenuta tra il Natale del 1995 e la primavera del 1996), non trasmette mai l’intenzione di voler esporre una successione degli eventi fine a se stessa, né di voler fare alcun tipo di denuncia sociale o politica (non viene mai citato l’anno, né il luogo di ambientazione, e se capiamo che si tratta dell’Algeria, lo dobbiamo al fatto che per un attimo viene inquadrata la bandiera Algerina, e il nome della capitale compare nell’intestazione di una lettera); tutt’al più si è spinti a fare le proprie riflessioni, osservando la vita quotidiana di un gruppo “qualsiasi” di frati.
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Un piccolo gruppo di frati vive in un antico monastero in un paese dell’Algeria, perfettamente integrato con la popolazione musulmana del luogo. La tranquillità e la regolarità della vita quotidiana vengono interrotte non appena all’orizzonte inizia a profilarsi la minaccia rappresentata dal terrorismo islamico. In breve tempo, i frati dovranno affrontare tale minaccia, e scegliere se tornare nella loro patria, la Francia, abbandonando la loro missione, oppure rimanere e rischiare di morire.
Il film (del regista – attore Xavier Beauvois) ,che racconta una storia vera (avvenuta tra il Natale del 1995 e la primavera del 1996), non trasmette mai l’intenzione di voler esporre una successione degli eventi fine a se stessa, né di voler fare alcun tipo di denuncia sociale o politica (non viene mai citato l’anno, né il luogo di ambientazione, e se capiamo che si tratta dell’Algeria, lo dobbiamo al fatto che per un attimo viene inquadrata la bandiera Algerina, e il nome della capitale compare nell’intestazione di una lettera); tutt’al più si è spinti a fare le proprie riflessioni, osservando la vita quotidiana di un gruppo “qualsiasi” di frati. Una vita dal ritmo cadenzato, lento, che noi impariamo a conoscere poco alla volta, attraverso tutte le abitudini umane e le atmosfere naturali che scandiscono le ore nel corso del giorno. Entriamo nella vita dei frati di soppiatto, come ospiti (per i primi cinque minuti non li vediamo neanche in faccia), protagonisti e uomini di Dio, la cui parola viene vissuta in modo pieno e concreto, attraverso situazioni reali da affrontare ogni giorno, affidandosi a un canto di preghiera che aiuti a trovare la via migliore, l’atteggiamento giusto da mantenere. Poi, sempre un po’ alla volta, entriamo nel particolare, nei problemi di ognuno, nelle sofferenze fisiche di frate Luc (un bravissimo Michael Lonsdale che già aveva vestito i panni del frate in “Il processo” e “Il nome della rosa”) e in quelle morali causate dalla paura e dall’insicurezza di frate Christophe (l’eccezionale Olivier Rabourdin, visto di recente nel bellissimo “Welcome”), nelle debolezze e nella fragilità di padre Amédéé (il tenero Jacques Herlin, che in Italia ha affiancato tra gli altri Totò, Gassman, Tognazzi, Mastroianni) nelle responsabilità di Christaian (un eccezionale Lambert Wilson, Il “Merovingio” di “Matrix Reloaded”); ma anche nelle difficoltà di tutti, ché se qualcosa come un dilemma (partire o restare?) li separa, è più giusto affrontarlo e risolverlo insieme; e se diventa impossibile riuscire a sentire la voce di Dio, perché le difficoltà e la paura sono troppe, ci si siede insieme e si ascolta Chaikovsky, perché nella bellezza della musica risiede la bellezza del creato.
Uomini di Dio sono i frati, ma anche i terroristi, dipinti come uomini smarriti, più che come assassini; uomini di Dio siamo noi, mondo, in cui risiede la speranza di poter convivere pacificamente, popoli e religioni, e veniamo pregati come se fossimo noi stessi Dio (all’inizio del film un’inquadratura riprende i frati da dietro rivolti verso il crocifisso, alla fine del film l’inquadratura è posta dal punto di vista del crocifisso stesso): sono frequenti le proposte di riflessione e diaogo (perché i terroristi “fanno quello che fanno”?; la cartina del mondo solidale appesa dietro il tavolo delle riunioni).
Uomini di Dio è un film molto bello, intenso e che indaga a fondo tutti gli aspetti della vita degli Uomini di Dio, santi o uomini comuni che siano.
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pepito1948
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mercoledì 17 novembre 2010
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dei ed eroi
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"Perchè Dio è così lontano? Perchè la fede è così dolorosa?"
Monaci francesi trapiantati in Algeria, finchè non arrivano i segnali della grande tragedia che li circonda e che si avvicina inesorabile come una lenta colata di lava, vivono paghi della loro fede in simbiosi con la popolazione degli umili, dei poveri, dei semplici, vittime della piaga peggiore che gli uomini possono scatenare: non solo una guerra, ma una guerra civile che scarica i suoi devastanti effetti, come la storia insegna, su chi a tale evento è estraneo.
Vivono questa integrazione con dedizione ed amore: assistendo i malati; aiutando a vendere miele al mercato; dando consulenze alle giovani ragazze sulle relazioni amorose non condivise dalla famiglia; partecipando ai riti ed alle letture sacre della comunità islamica.
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"Perchè Dio è così lontano? Perchè la fede è così dolorosa?"
Monaci francesi trapiantati in Algeria, finchè non arrivano i segnali della grande tragedia che li circonda e che si avvicina inesorabile come una lenta colata di lava, vivono paghi della loro fede in simbiosi con la popolazione degli umili, dei poveri, dei semplici, vittime della piaga peggiore che gli uomini possono scatenare: non solo una guerra, ma una guerra civile che scarica i suoi devastanti effetti, come la storia insegna, su chi a tale evento è estraneo.
Vivono questa integrazione con dedizione ed amore: assistendo i malati; aiutando a vendere miele al mercato; dando consulenze alle giovani ragazze sulle relazioni amorose non condivise dalla famiglia; partecipando ai riti ed alle letture sacre della comunità islamica. Non per vocazione professionale, non per pur nobile volontariato, non per pietà ma per e con amore. Verso chi non ha, verso chi non è, verso chi soffre ed è alleviato dalla carezza di una sempre presente mano calorosa.
L'avvicinarsi della grande minaccia crea delle crepe, scopre le debolezze, le paure, la disarmonia; in sintesi affiora l'umanità spicciola e destabilizzante di chi pure si è votato anima e corpo ad un'alta missione. Le posizioni si diversificano, i dubbi dilagano e l'abate Christian, dapprima solitario nel suo rifiuto di qualsiasi protezione armata, fatica a far convergere sulla sua decisione l'intero gruppo, come quel giurato che, inizialmente solo ad opporsi alla condanna a morte dell'imputato in camera di consiglio, con pazienza, passione e lucide argomentazioni riesce a convincere ad uno ad uno tutti gli altri, compreso l'ultimo irriducibile.
Uccelli migratori.
Christian vaga nelle lande sconfinate della "sua" terra in preda al dubbio sotto uno stormo di uccelli migratori; forse vorrebbe essere uno di loro, volare lontano verso siti più sicuri, riacquistare la propria libertà di autodeterminazione, buttarsi alle spalle quello scenario di sgozzamenti, di violenze, di disumanità ma sa che solo la morte ormai può dare un senso compiuto alla sua vita.
Dio e Dei.
L'imam legge le scritture islamiche, e le parole fluiscono come se fuoriuscissero dalla bocca di uno dei monaci presenti. Il Dio evangelico ed il Dio coranico si avvicinano come due cerchi che si toccano, si invadono, si sovrappongono. Le supreme Fonti si compenetrano, uniscono mentre fuori le divisioni scavano fossati e dilaniano.
Musica e preghiere
Tra tante incertezze, cedimenti e ripensamenti, nella cupa attesa di un evento che via via si fa sempre più prossimo ed inevitabile, solo il canto gregoriano unisce, compatta e diventa la colonna sonora della loro restante, breve vita, grazie alla poesia purificatrice della loro armonia.
"Noi siamo gli uccelli, voi siete i rami; se ve ne andate, noi dove ci poseremo?"
Gli umili, i poveri, i semplici, davanti ai tentennamenti dei loro benefattori, si sentono abbandonati e privati del sostegno vitale che gli uomini delle istituzioni, lontani e corrotti, hanno sempre negato. Se rimarranno soli, chi li assisterà, chi venderà il loro miele, chi condividerà i loro riti e soprattutto chi illuminerà la loro piccola vita?
L'ultima cena
L'ora si avvicina, Nel refettorio i monaci si riuniscono, bevono vino, ridono e piangono; le lacrime sgorgano mentre le note della musica di Tchaikovsky inondano la stanza di struggente e lieve festosità. Non versano lacrime di paura o disperazione, ma di amore, verso il loro Dio e verso coloro che se ne sono nutriti, nella consapevolezza di aver chiuso degnamente il cerchio vitale secondo il mandato assunto. Sanno che il loro amore non si sfilaccerà nel vento.
"Non c'è male peggiore di quello che l'uomo fa per motivi religiosi".
Padre Luc cita Pascal, la cui considerazione riassume sinteticamente l'abisso di degradazione umana in cui lui, i suoi fratelli, la sua gente, tanta gente nel mondo, ogni giorno, ogni momento si trova coinvolta.
La fine
Il corteo delle vittime designate, accompagnate dai carnefici, si snoda sulla neve in una nebbia che cala come una mannaia. Si rimpicciolisce, si stempera, si dissolve, diventa un puntino nero. Scompare nel biancore freddo dell'alba.( Solo le loro teste mozzate saranno trovate; dei corpi non si saprà più nulla).
Non c'è male peggiore di quello che l'uomo fa per motivi religiosi.
Un film di potente rigore, costruito come un thrilling di cui è noto il finale, ma che tiene incollati alla poltrona senza pausa, dove la tensione è acuita dalla luce cupa che si spande nel monastero, in contrasto con la luminosità delle scene esterne in cui la gente locale parla, invita, sorride, vende, insomma cerca di vivere. Dialoghi essenziali ma mai banali, recitazione di alta qualità. Praticamente un film quasi perfetto, in parte macchiato da quel maledetto titolo della versione italiana (Dio e non Dei) che travisa uno dei temi principali proposti. Ottima prova di un regista per quanto ne so ateo, che forse per questo riesce a rendere tutto più universalmente credibile e a tratti poetico.
La morte bianca appare molto più agghiacciante di una strage in diretta, che, come giustamente notato, è stata intelligentemente evitata dal regista.
Teologia della liberazione, teologia dal basso (cito Bruno); il vescovo Romero, padre Torres, l'amore per gli ultimi che combatte contro ogni violenza, con la parola, con le armi o anche con il rifiuto di fuggire.
Nessuno si è alzato in sala prima della fine dei titoli di coda, in assoluto silenzio: questo rende superflua ogni ulteriore parola.
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toro sgualcito
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lunedì 15 novembre 2010
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un po' di engagement non fa primavera
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Il film è stato premiato a Cannes e poi dal box office segno che anche il pubblico ha risposto bene. La critica mi pare pressoché unanime nel lodarlo eppure… eppure in questo film qualcosa non funziona così bene come invece il grande consenso potrebbe far intendere. La lentezza in alcuni punti può essere legittimata dalla giusta ricerca di riprodurre momenti della vita in un monastero ma c’è modo e modo di farlo. Quello scelto da X. Beauvois mi sembra il modo più semplicistico e disarmonico. Solo come alternativa, si possono confrontare dei frammenti di scene de Il grande silenzio di P. Groning per vedere con quanta naturalezza ma anche intensità si possono rappresentare momenti di vita monastica.
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Il film è stato premiato a Cannes e poi dal box office segno che anche il pubblico ha risposto bene. La critica mi pare pressoché unanime nel lodarlo eppure… eppure in questo film qualcosa non funziona così bene come invece il grande consenso potrebbe far intendere. La lentezza in alcuni punti può essere legittimata dalla giusta ricerca di riprodurre momenti della vita in un monastero ma c’è modo e modo di farlo. Quello scelto da X. Beauvois mi sembra il modo più semplicistico e disarmonico. Solo come alternativa, si possono confrontare dei frammenti di scene de Il grande silenzio di P. Groning per vedere con quanta naturalezza ma anche intensità si possono rappresentare momenti di vita monastica. Una modalità che – opportunamente ridotta – sarebbe adeguata anche per il cinema. E il paragone lo interrompo subito perché quello è un documentario e supera le dura 2 ore e mezza. In Uomini di Dio, anche la fotografia appare opaca. Qualche soluzione qua e là: momenti di luce mattutina, i primi piani dell’ultima cena e la scena finale nella neve di sapore sokuroviano, ma per il resto non mi pare affatto un punto di forza. Gli attori che interpretano i monaci sono abbastanza convincenti. C’è però uno sbilancio (probabilmente voluto ma che non condivido) sulla figura di padre Luc (M. Lonsdale) che oltre ad essere un attore molto conosciuto, nel film è anche medico e quindi una figura davvero centrale per la comunità locale e per gli opposti interessi di terroristi e militari. Gli altri personaggi di conseguenza vengono spinti fuori fuoco. Ho trovato impeccabile J. Herlin nella figura di padre Amédée. Una piccola cosa: avrei anche evitato quella montatura argentata da dentista a padre Christian (W.Lambert), una più semplice magari scura sarebbe stata perfetta. Anche il contesto della storia appare dato per scontato. L’ambiguità dello stato algerino nella repressione del terrorismo è appena sfiorata, ma capisco che non sia argomento facile. Insomma anche la sceneggiatura traballa un po’ ma alla fine un qualche risultato lo porta a casa. Seppur molto contenuta nemmeno la parte musicale brilla (a parte i cori dei monaci). Resta comunque un film coraggioso e apprezzabile soprattutto per la natura della storia. Credo però che a polarizzare verso il positivo i consensi sia stata in gran parte la soddisfazione di veder trattato un argomento orientato all’engagement.
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pietro viola
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mercoledì 10 novembre 2010
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forza e fede
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Grande film. Grande emozione, che cresce piano dai toni descrittivi della prima parte ai toni altrettanto descrittivi, ma su più livelli, della seconda. Magistrale l'unica scena con accompagnamento musicale, anch'esso contestuale, con la macchina da presa che ci mostra i primi piani intensissimi dei frati, in cui si intravvede un realismo translucido alla Dreyer. Le facce si muovono sincrone con l'andamento del brano, mostrando tutte le sfumature delle emozioni umane, la gioia dello stare insieme, l'allegria della novità, la serenità della condivisione, il turbamento su ciò che è già accaduto, la paura del dolore e della morte, l'accettazione del futuro imminete come scelta inderogabile, la serenità di un atto non di eroismo ma di coerenza.
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Grande film. Grande emozione, che cresce piano dai toni descrittivi della prima parte ai toni altrettanto descrittivi, ma su più livelli, della seconda. Magistrale l'unica scena con accompagnamento musicale, anch'esso contestuale, con la macchina da presa che ci mostra i primi piani intensissimi dei frati, in cui si intravvede un realismo translucido alla Dreyer. Le facce si muovono sincrone con l'andamento del brano, mostrando tutte le sfumature delle emozioni umane, la gioia dello stare insieme, l'allegria della novità, la serenità della condivisione, il turbamento su ciò che è già accaduto, la paura del dolore e della morte, l'accettazione del futuro imminete come scelta inderogabile, la serenità di un atto non di eroismo ma di coerenza.
Possano gli Dèi mandarci altri film così.
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paola alex
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lunedì 8 novembre 2010
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le ragioni degli uomini e le ragioni di dio
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Nel 1996, nel corso della guerra civile Algerina, una comunità di monaci vive in un villaggio dell'Atlante nella regola di Dio. Questi uomini sono deboli nelle loro paure e forti nella loro fede, tutta coniugata nell'amore per il prossimo in cui Dio si mostra. In questa enclave in cui il convento ed il villaggio sono tutt'uno, anche la fede mussulmana e quella cristiana sono tutt'uno. Il Dio degli uni e degli altri è lo stesso Dio misericordioso della solidarietà, della com-passione e della pace.
A ciò si contrappone la ragione degli uomini, che è quella del potere, della sopraffazione e della violenza, in cui uomini della stessa fede si uccidono tra loro ed esercitano la violenza sugli altri in nome di Dio, ma in realtà in nome della ferocia, che rende l'uomo simile alle bestie quando combattono per una preda o per la supremazia di un territorio.
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Nel 1996, nel corso della guerra civile Algerina, una comunità di monaci vive in un villaggio dell'Atlante nella regola di Dio. Questi uomini sono deboli nelle loro paure e forti nella loro fede, tutta coniugata nell'amore per il prossimo in cui Dio si mostra. In questa enclave in cui il convento ed il villaggio sono tutt'uno, anche la fede mussulmana e quella cristiana sono tutt'uno. Il Dio degli uni e degli altri è lo stesso Dio misericordioso della solidarietà, della com-passione e della pace.
A ciò si contrappone la ragione degli uomini, che è quella del potere, della sopraffazione e della violenza, in cui uomini della stessa fede si uccidono tra loro ed esercitano la violenza sugli altri in nome di Dio, ma in realtà in nome della ferocia, che rende l'uomo simile alle bestie quando combattono per una preda o per la supremazia di un territorio.
Anche IL LIBRO del villaggio e dei monaci (Il Corano e La Bibbia) parlano la stessa lingua quando sono letti nelle feste del villaggio, nelle preghiere dei monaci e negli incontri pieni di apprensione e di comunione tra i capi del villaggio ed il priore dei monaci; ma lo stesso Corano sembra lontano dai mitra spianati di chi combatte in nome di Allah.
Tuttavia le ragioni di Dio e dell'amore INCONDIZIONATO per l'uomo e per la pace (il rifiuto incondizionato delle armi e della guerra) porta inevitabilmente al sacrificio e all'immolazione sulla croce. Questa non è ricercata, anzi è temuta e sfuggita, ma inevitabile, se non si vuole tradire la fedeltà al voto di amore per gli uomini, fratelli in Dio.
Tutto questo è raccontato in modo asciutto e poetico, in cui la bellezza di una natura spoglia e abbagliante nella sua bellezza parla di Dio, come i canti ed i visi scolpiti dei monaci, che potrebbero venire dai quadri di Vittore Carpaccio.
Attori tutti superlativi, fotografia stupenda di un'Africa di freddo e neve, ritmo lento e solenne, adeguato ai tempi dello spirito e delle ragioni dell'anima.
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algernon
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domenica 7 novembre 2010
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degli uomini e degli dei
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non trovo di meglio che ripetere il titolo per indicare quello che il film comunica. molto riguarda proprio gli uomini, i monaci, con le loro umane paure e con i loro sentimenti di rispetto e di amore per gli altri uomini, gli islamici moderati, anche i terroristi. e poi gli dei, nei quali gli uomini hanno fede, e che adottano come guida, a volte come pretesto, per le loro azioni. un film sulla tolleranza per il diverso e anche sull'intolleranza, o sulla diversa tolleranza. un film sul misticismo, molto bello.
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