lisbeth
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sabato 31 ottobre 2009
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l'apocalisse dietro l’angolo
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L’apocalisse dietro l’angolo, l’incubazione del male, la genesi di mostri studiati in vitro nel loro farsi, crescere e moltiplicarsi, questo è il film vincitore della 62° edizione di Cannes, Il nastro bianco, già nel titolo così asettico, così totalmente dissanguato nella negazione che il bianco impone ad ogni sospetto di colore e dunque di libero fluire del sangue della vita.
Gelido e tagliente come la coltre di neve che copre il villaggio, abbacinante come i campi che sembrano di ghiaccio anche quando sono ricolmi di spighe, il film è girato in un bianco e nero senza ombre nè calore, il silenzio è la cifra costante, qualche tocco di Schubert e pochi brani da corali a cappella di Lutero non bastano a rompere l’aria rarefatta che si respira per tutta la durata, all’aprirsi di una visione ai confini della realtà ma che della realtà ci dice molto, dove oggetti, luoghi e persone di comunissima apparenza diventano terrificanti epifanie della totale negazione di umanità.
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L’apocalisse dietro l’angolo, l’incubazione del male, la genesi di mostri studiati in vitro nel loro farsi, crescere e moltiplicarsi, questo è il film vincitore della 62° edizione di Cannes, Il nastro bianco, già nel titolo così asettico, così totalmente dissanguato nella negazione che il bianco impone ad ogni sospetto di colore e dunque di libero fluire del sangue della vita.
Gelido e tagliente come la coltre di neve che copre il villaggio, abbacinante come i campi che sembrano di ghiaccio anche quando sono ricolmi di spighe, il film è girato in un bianco e nero senza ombre nè calore, il silenzio è la cifra costante, qualche tocco di Schubert e pochi brani da corali a cappella di Lutero non bastano a rompere l’aria rarefatta che si respira per tutta la durata, all’aprirsi di una visione ai confini della realtà ma che della realtà ci dice molto, dove oggetti, luoghi e persone di comunissima apparenza diventano terrificanti epifanie della totale negazione di umanità.
Ogni parvenza di realismo narrativo della trama si dissolve di fronte al senso di mistero che aleggia fino alla fine e non trova soluzioni, le tracce si disperdono già al loro primo apparire, il film non racconta una storia o delle storie, vuol darne l’impressione ma nell’attimo stesso del verificarsi l’evento sfuma.
Tagli improvvisi di sequenze, cambi repentini di scena, il filo continuamente spezzato si riannoda ogni volta nel martellante senso di minaccia incombente, sia questa dettata dai sinistri che si susseguono senza che qualcuno ne cerchi il colpevole, o siano piuttosto i comportamenti sociali e famigliari, segnati da tare ataviche, modellati su assurdi paradigmi di repressione e violenza.
Haneke guarda nell’incubatrice della generazione che, vent’anni dopo, avrebbe marciato al passo dell’oca sotto la Porta di Brandeburgo per la gloria del Terzo Reich e dice:
«Sono dieci anni che lavoro attorno a questo soggetto,e non era certo mia intenzione parlare solo di Germania. In realtà in qualsiasi società se un principio diventa assoluto si disumanizza. Se l'obbiettivo da raggiungere, mettiamo da un educatore verso i propri figli, è talmente alto da diventare un ideale, allora non è più raggiungibile e rischia di creare mostri. Un meccanismo che abbiamo conosciuto nelle religioni, nelle ideologie, nei terrorismi di ogni segno».
I ragazzi del villaggio si muovono come automi, ubbidiscono come piccoli soldati a chi esercita sulla loro innocenza originaria il diritto di calpestarla, che sia il pastore, fanatico moralista che affida ai nastri bianchi il segno della purezza o il medico, pervertito misogino, o la comunità tutta di volti impassibili, ottusi, facce uscite da una tela di Munch, schierate in chiesa a pregare chissà quale loro strano dio.
Un mondo senza speranza, in cui il male è l’innocenza negata che diventa violenza, furia distruttrice, Erinni che sale dal sangue delle vittime e si abbatte sull’uomo.
La notizia dell’attentato di Sarajevo e della morte dell’arciduca Francesco Ferdinando chiude il film.
E’ il 28 giugno 1914.
La voce fuori campo che ha raccontato la “storia” ci aveva avvertito che quello sarebbe stato l’ultimo capodanno di relativa tranquillità.
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ciccio capozzi
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giovedì 5 novembre 2009
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un segno rigoroso, lontano da dio
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“IL NASTRO BIANCO” di MICHAEL HANEKE; ITA-FRA-GER-AUSTRIA; 09. Germania, vigilia della I Guerra: in una comunità agricola apparentemente serena e ligia alle tradizioni, succedono episodi misteriosi in un crescendo di violenza. Palma D’Oro a Cannes 09, è un’opera costruita con un rigore visuale austero. Il suo bianco e nero (che in realtà è un colore “desaturato”), richiama con decisione un clima culturale, più che una scenografia, di carattere religioso. E’ un protestantesimo rigido, freddo, che solo nella sua sadica e crudele esteriorità si rifà a Dreyer: per il resto è una componente intimamente violenta di educazione di massa all’ipocrisia e alla dissimulazione. Pur non essendo un film horror, ma un’opera di forte impianto civile e storico, costruisce entro il suo spazio vitale, un’atmosfera sospesa di orrore e di paura.
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“IL NASTRO BIANCO” di MICHAEL HANEKE; ITA-FRA-GER-AUSTRIA; 09. Germania, vigilia della I Guerra: in una comunità agricola apparentemente serena e ligia alle tradizioni, succedono episodi misteriosi in un crescendo di violenza. Palma D’Oro a Cannes 09, è un’opera costruita con un rigore visuale austero. Il suo bianco e nero (che in realtà è un colore “desaturato”), richiama con decisione un clima culturale, più che una scenografia, di carattere religioso. E’ un protestantesimo rigido, freddo, che solo nella sua sadica e crudele esteriorità si rifà a Dreyer: per il resto è una componente intimamente violenta di educazione di massa all’ipocrisia e alla dissimulazione. Pur non essendo un film horror, ma un’opera di forte impianto civile e storico, costruisce entro il suo spazio vitale, un’atmosfera sospesa di orrore e di paura. E lo fa senza eccedere minimamente in enfasi, solo narrando la piana linearità dei fatti, ma lasciando chiare tracce di tutte le congetture realisticamente ipotizzabili. Così, sembra dire il regista, si sono educati alla crudeltà collettiva quei ragazzini, in realtà vittime e poi carnefici, prossimi nazisti. Essi stanno infatti attraversando il tunnel della I Guerra Mondiale, che distruggerà quell’apparente pace campestre. Il film riecheggia, con sensibilità figurativa molto del grande cinema tedesco degli anni venti e trenta prima di Hitler.
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laulilla
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venerdì 20 agosto 2010
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l'innocenza impossibile
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Alla vigilia della grande guerra, la vita apparentemente tranquilla degli abitanti di un paesetto della Prussia Orientale viene sconvolta da una serie di eventi inattesi, alcuni dei quali di efferata crudeltà, che fanno emergere un'insofferenza profonda nei confronti del sistema di valori intorno ai quali la piccola comunità si era organizzata.
Il barone e il pastore luterano erano da sempre considerati i fondamenti della vita del villaggio: dal primo dipendeva il lavoro e il sostentamento delle famiglie; dal secondo provenivano gli insegnamenti morali che, indicando a tutti la strada della salvezza, rendevano possibile una convivenza operosa e ordinata.
Un'educazione crudelmente rigorista, impartita ai propri figli, crea nella famiglia del pastore un'aria irrespirabile, e provoca nei bambini doppiezza e odio sordo, nonché quel desiderio di rivalsa che sarà all'origine, probabilmente, di molti degli oscuri episodi violenti che il film evoca.
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Alla vigilia della grande guerra, la vita apparentemente tranquilla degli abitanti di un paesetto della Prussia Orientale viene sconvolta da una serie di eventi inattesi, alcuni dei quali di efferata crudeltà, che fanno emergere un'insofferenza profonda nei confronti del sistema di valori intorno ai quali la piccola comunità si era organizzata.
Il barone e il pastore luterano erano da sempre considerati i fondamenti della vita del villaggio: dal primo dipendeva il lavoro e il sostentamento delle famiglie; dal secondo provenivano gli insegnamenti morali che, indicando a tutti la strada della salvezza, rendevano possibile una convivenza operosa e ordinata.
Un'educazione crudelmente rigorista, impartita ai propri figli, crea nella famiglia del pastore un'aria irrespirabile, e provoca nei bambini doppiezza e odio sordo, nonché quel desiderio di rivalsa che sarà all'origine, probabilmente, di molti degli oscuri episodi violenti che il film evoca.
Nonostante l'ossessiva ricerca dell'innocenza (simbolicamente rappresentata dal nastro bianco imposto ai propri figli dal pastore, dopo una buona dose di frustate, ma anche dalla neve che si posa su tutto il villaggio quasi a coprirne l'inconfessabile degrado morale), l'autorità fondata sull'arbitrio comincia a traballare: ne farà in primo luogo le spese un terzo autorevole personaggio, il medico, uomo sadico, padrone assoluto della propria amante e infemiera (sua complice in nefandezze innominabili), e della propria figlia nei confronti della quale egli esercita un' incestuosa violenza. Il film mette in luce come le vicende più sordide e ripugnanti abbiano come vittime le donne, i piccoli e tutte le creature più fragili, che non sono in grado di reagire ai soprusi.
Oggetto del racconto di Haneke, anche in questo film (che ci si presenta in un insolito e bellissimo bianco e nero, ottenuto dalla pellicola desaturata), come nei suoi precedenti, è l'indagine sul male, sulle sue origini e sulle sue possibili conseguenze, che egli ci racconta con l'impassibilità di uno scienziato, prendendone, perciò, implicitamente le distanze. Il nesso fra una gerarchia sociale rigida, fondata sull'idolatria dell'obbedienza, in sintonia con una delle possibili letture di Lutero, e i successivi sviluppi nazisti della storia tedesca, è stato accennato dal regista in un'intervista, e anche nel film viene dichiarato possibile, all'inizio, dall'ormai anziano maestro del paesetto, che facendo riemergere dall'oscurità del passato, le scene a cui, sgomento, aveva assistito da giovane, si chiede se fatti come quelli che racconterà possano fornire una qualche spiegazione ai futuri sviluppi della storia tedesca. Questo nesso è possibile, ma non necessario, in primo luogo per la molteplicità delle cause dell'affermarsi del nazismo; si può dire, tuttavia che in un ambiente umanamente così povero e spietato come quello descritto dal regista, il nazismo avrebbe trovato un ottimo humus per crescere e diffondersi.
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sabato 14 novembre 2009
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l'orrore è nella negazione.
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1913, Germania, nella comunità rurale di Eichwald l’impassibile facciata algida e moralista comincia ad incrinarsi, sotto la pressione dei suoi orrori interiori. Si avvertono i prodromi della guerra che verrà a breve e di quella futura, che sarà alimentata da quelli che sono ancora bambini, ma mostrano già l’incancrenirsi delle colpe dei padri.
La freddezza che si avverte in Haneke non è solo nei suoi film, nel rapporto degli stessi col pubblico, ma anche nell’approccio del regista alla costruzione delle sua opera. Un film può essere freddo, ma al tempo stesso lasciar intendere la partecipazione dell’autore; Haneke, al contrario, suggerisce una consapevolezza totale e, per chi volesse giudicarla tale, eccessiva, nei confronti del suo lavoro, sempre radicalmente teorico.
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1913, Germania, nella comunità rurale di Eichwald l’impassibile facciata algida e moralista comincia ad incrinarsi, sotto la pressione dei suoi orrori interiori. Si avvertono i prodromi della guerra che verrà a breve e di quella futura, che sarà alimentata da quelli che sono ancora bambini, ma mostrano già l’incancrenirsi delle colpe dei padri.
La freddezza che si avverte in Haneke non è solo nei suoi film, nel rapporto degli stessi col pubblico, ma anche nell’approccio del regista alla costruzione delle sua opera. Un film può essere freddo, ma al tempo stesso lasciar intendere la partecipazione dell’autore; Haneke, al contrario, suggerisce una consapevolezza totale e, per chi volesse giudicarla tale, eccessiva, nei confronti del suo lavoro, sempre radicalmente teorico. I film del regista mettono in scena le scelte più adeguate per la rappresentazione di concetti determinati, secondo un rapporto di corrispondenza assoluto che, da un parte, esalta la qualità dello studio, dall’altra evidenzia l’inevitabile alterità del regista rispetto a dei modelli e delle idee già codificati, e quindi dotati di forza autonoma. In altre parole, il cinema di Haneke è freddo perché rappresenta gli oggetti del suo studio, che sono necessariamente cosa diversa da Haneke, che di fatto non conosciamo, neanche attraverso il filtro della fruizione artistica.
Spesso ho trovato l’opera del regista tedesco eccessivamente presuntuosa, nell’adulazione dello spettatore che volesse risalire, attraverso gli indizi dell’autore, a un’incisività del messaggio più presunta che effettiva. È sulla forza del messaggio, che ho avuto dubbi, non sulla sussistenza dello stesso, che è sempre palese. Il Nastro Bianco, pur conservando le caratteristiche dei film precedenti si adatta, finalmente, ad accoglierne ed esaltarne la funzione. L’antinarratività implicita nei suoi “enigmi" senza soluzione né dimensione, trova qui la giustificazione nella maggiore importanza della negazione dell’esistenza del male, e quindi la sua accettazione, rispetto all’espressione contingente del male stesso. Quando è l’enigma ad essere il soggetto, e quindi la soluzione a se stesso, non è necessario maggiore approfondimento né esplicitazione.
Haneke mostra il deterioramento morale delle famiglie più prestigiose del paese (quelle del barone, del medico e della guida spirituale, il pastore protestante), quindi dell’intero paese, quindi della nazione. Insinua l’ossessione per la purezza con cui vengono marchiate le nuove generazioni, la deresponsabilizzazione che comporta l’accettazione diffusa del crimine, le pressioni autoritarie e religiose. Per fare questo, racconta attraverso fuori campo e monologhi feroci che sono nel film vere esplosioni di violenza, esasperata dal peso della sua normalità; attraverso i volti resi lividi ed esangui dal bianco e nero; il bianco che investe i campi di grano, in immagini che hanno, finalmente, qualcosa del dolore e del rimpianto.
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gabriella
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domenica 28 marzo 2010
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l'innocenza perduta
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Immersi in un bianco e nero rigoroso e tagliente, osserviamo, attraverso gli occhi dei bambini una serie di drsmmatici e inquietanti avvenimenti che accadono in un villaggio tedesco alla vigilia della prima guerra mondiale. Il paese rappresentato sembra quasi quello di Dreyer in "Ordet", l'erba mossa dal vento e la campagna , fotografata a perdita d'occhio ma che racchiude un piccolo universo, una comunità, dove i bambini sono gli ultimi a poter esprimere la propria voce, dove le donne a loro volta sono assoggettate al volere del marito e i contadini al barone. Tra tutti emerge la famiglia del pastore, severo con i propri figli al punto d'infliggere loro drastiche punizioni corporali alla più piccola disobbedienza e costringendoli a portare un nastro bianco che simboleggia la purezza e l'innocenza, e come non pensare allora ai film di Bergman, o alla sua biografia.
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Immersi in un bianco e nero rigoroso e tagliente, osserviamo, attraverso gli occhi dei bambini una serie di drsmmatici e inquietanti avvenimenti che accadono in un villaggio tedesco alla vigilia della prima guerra mondiale. Il paese rappresentato sembra quasi quello di Dreyer in "Ordet", l'erba mossa dal vento e la campagna , fotografata a perdita d'occhio ma che racchiude un piccolo universo, una comunità, dove i bambini sono gli ultimi a poter esprimere la propria voce, dove le donne a loro volta sono assoggettate al volere del marito e i contadini al barone. Tra tutti emerge la famiglia del pastore, severo con i propri figli al punto d'infliggere loro drastiche punizioni corporali alla più piccola disobbedienza e costringendoli a portare un nastro bianco che simboleggia la purezza e l'innocenza, e come non pensare allora ai film di Bergman, o alla sua biografia. Chi ha letto "La lanterna blu", sa a cosa mi riferisco; Ingmar era figlio di un pastore protestante e le tracce della rigida educazione ricevuta dal genitore lo ha accompagnato per tutta la vita, segnandone in particolar modo l'infanzia.In egual modo i bambini protagonisti del film di Hanekee, non potendo ribellarsi apertamente a una disciplina cui sono imprigionati, diventano protagonisti di alcuni fatti ispiegabili, il medico che cade da cavallo a causa di un filo teso sul terreno, una contadina che muore in una segheria , il figlio del barone lasciato livido e pesto, o quello della levatrice brutalmente sfigurato. A far chiarezza sulle triste vicende, lo spettatore è accompagnato dalla voce narrante fuori campo del maestro del villaggio, che a distanza di anni ricorda la tensione di quegli anni.
LUi ha capito che i bambini non sono così innocenti ed estranei ai fatti, ma sa anche che certe domande non otterranno mai risposta, coperte dal silenzio e dalla complicità dell'intero villaggio, primo tra tutti il pastore,disposto a vedere la pagliuzza negli occhi dei loro figli, ma non la trave e ostinandosi a mantenere una purezza di facciata, senza indagare la tanto celebrata verità.
Il film è sottolineato da un silenzio raggelante, da il bianco di un'innocenza che scurisce via via, fino al nero della malvagità.
Film grandioso, assolutamente da vedere.
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(di carlo vecchiarelli )
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garance
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mercoledì 16 marzo 2011
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vedere per riflettere
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Vedere-riflettere
film gelido, austero, che mi riporta al rigore dei film di Dreyer(penso a Dies Irae)-La fotografia e` da Oscar-La vagheggiata-e inesistente-innocenza infantile non c'e`(infatti); l'implacabile ,ipocrita moralita` genera mostri,mostri lucidi, accorti, subdoli, perfetti automi del male.Come e` bello trovare questi film soltanto apparentemente algidi, che ci nutrono il cervello,scuotono la coscienza, procurano un salutarissimo disagio che ci fa riflettere-GARANCE-
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(di vero2)
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marcello desideri
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mercoledì 13 luglio 2011
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lento ma bellissimo
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Haneke firma il suo capolavoro. Un film indiscutibilmente non per tutti, ma un film basato su una bellezza d'immagine fuori dal comune. Girato in formato Flat, bianco e nero, ha una fotografia straordinaria. Ogni inquadratura è un'opera d'arte ed ogni inquadratura ha un elevato peso specifico. Il regista, mantiene fissa la macchina da presa e più del tempo necessario, evita un montaggio rapido, anzi lo rallenta in una sorta di slow-motion al naturale. Proprio per questo si concentra sulla magnificenza e sull'equilibrio che le immagini devono dare. Le scene diventano quadri, per quanto riguarda l'accuratezza visiva. La storia, pur profondissima, diventa quasi secondaria, superata da una qualità visiva tipica del cinema d'autore.
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Haneke firma il suo capolavoro. Un film indiscutibilmente non per tutti, ma un film basato su una bellezza d'immagine fuori dal comune. Girato in formato Flat, bianco e nero, ha una fotografia straordinaria. Ogni inquadratura è un'opera d'arte ed ogni inquadratura ha un elevato peso specifico. Il regista, mantiene fissa la macchina da presa e più del tempo necessario, evita un montaggio rapido, anzi lo rallenta in una sorta di slow-motion al naturale. Proprio per questo si concentra sulla magnificenza e sull'equilibrio che le immagini devono dare. Le scene diventano quadri, per quanto riguarda l'accuratezza visiva. La storia, pur profondissima, diventa quasi secondaria, superata da una qualità visiva tipica del cinema d'autore. Il dramma che si vive nella pellicola, sprofonda nelle cupe brame grigiastre del bianco e nero. E' un film che mai poteva essere girato a colori. Ed è un bianco e nero sfumato, non dai contorni netti, non contrastato. Il film implode su di esso, poiché non c'è ritmo, ma un lento ed inesorabile cammino verso il finale. Cornice a questo drammatico film, sono alcune scene di straziante dolore, come quella dell'uomo che dice alla propria donna di provare solo ribrezzo per lei. O il padre che dice al figlio che l'onanismo è un gravissimo peccato. Reticenze di un passato in cui superstizioni e vite grame, portavano a compiere atti di estrema meschinità.
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mary289
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martedì 27 luglio 2010
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cuore di tenebra nella germania d'anteguerra
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Il regista M. Haneke ci proietta in un’atmosfera surreale e allo stesso tempo familiare. Sembra quasi un “ritorno alle origini” conradiano ma inscritto in un paesaggio rurale tedesco di inizio ‘900. Il film scava nell’animo umano, andando a ricercare i più profondi istinti che lo muovono. L’analisi è compiuta su un gruppo di ragazzi, una categoria che “dovrebbe” essere esente da ogni pensiero malvagio; un condizionale sul quale il regista gioca magistralmente, traendo conclusioni sui comportamenti e come questi possano spiegare uno dei momenti più bui della storia umana. Ottimo film, anche se a tratti un po’ lento, impreziosito dall’uso della tecnica del b/n.
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Il regista M. Haneke ci proietta in un’atmosfera surreale e allo stesso tempo familiare. Sembra quasi un “ritorno alle origini” conradiano ma inscritto in un paesaggio rurale tedesco di inizio ‘900. Il film scava nell’animo umano, andando a ricercare i più profondi istinti che lo muovono. L’analisi è compiuta su un gruppo di ragazzi, una categoria che “dovrebbe” essere esente da ogni pensiero malvagio; un condizionale sul quale il regista gioca magistralmente, traendo conclusioni sui comportamenti e come questi possano spiegare uno dei momenti più bui della storia umana. Ottimo film, anche se a tratti un po’ lento, impreziosito dall’uso della tecnica del b/n.
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gabriella
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giovedì 2 giugno 2011
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da vedere e rivedere.
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Bellissimo film del regista Haneke (già autore di importanti lavori) con un ottimo cast,in un rigoroso bianco e nero.
Tutto curato nei minimi dettagli,tutto ricostruito alla perfezione.
Famiglie malate o eccessivamente rigide o estremamente chiuse che genereranno piccoli mostri destinati a macchiarsi di crimini ben più grandi in un futuro non troppo lontano.
Un finale che non da spiegazioni;non è infatti interesse precipuo del regista individuare colpevoli bensì evidenziare brutture che daranno vita ineluttabilmente a personalità fortemente disturbate.
Da vedere e non solo una volta.
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figlio del cielo e della terra
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domenica 20 novembre 2011
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non si può passare sotto silenzio
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Professore, Barone, Padre spirituale, Dottore, sono le quattro figure per descrivere l'Universo di un centro rurale della Germania prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Il film di Heneke, è un trattato magistrale della micro struttura pervasiva della pedagogia repressiva della società del 900. Un film cupo che ci porta dentro l'inferno dei meccanismi di asservimento, dominio, e violenza educativi. Da una parte un mondo adulto, e dall'altra i bambini, i futuri piccoli carnefici che crescono alimentati dagli adulti cattivi maestri. Dietro la rispettabilità della vita sociale del villaggio, dei modi e dei rituali di cortesia interpersonali, ci cela la inamovibile struttura dell'ordine e della disciplina che nutre tutto quel mondo che avrebbe portato i bambini rappresentati nel film ad essere nel 1933 i giovani uomini sostenitori dell'ascesa del Terzo Reich di Hitler.
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Professore, Barone, Padre spirituale, Dottore, sono le quattro figure per descrivere l'Universo di un centro rurale della Germania prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Il film di Heneke, è un trattato magistrale della micro struttura pervasiva della pedagogia repressiva della società del 900. Un film cupo che ci porta dentro l'inferno dei meccanismi di asservimento, dominio, e violenza educativi. Da una parte un mondo adulto, e dall'altra i bambini, i futuri piccoli carnefici che crescono alimentati dagli adulti cattivi maestri. Dietro la rispettabilità della vita sociale del villaggio, dei modi e dei rituali di cortesia interpersonali, ci cela la inamovibile struttura dell'ordine e della disciplina che nutre tutto quel mondo che avrebbe portato i bambini rappresentati nel film ad essere nel 1933 i giovani uomini sostenitori dell'ascesa del Terzo Reich di Hitler. Heneke mostra la genesi, una delle possibili genesi dei futuri Assassini in fasce. Nel film c'è la perdita della purezza di un intera generazione, rappresentata da una nastro bianco che cadrà rovinosamente, metafora del bene Che il Padre spirituale appunta al braccio dei suoi figli maggiori per espiare i peccati del mondo. Un nastro bianco, un colore puro scelto molto probabilmente non a caso da Heneke, che sarebbe di lì a poco diventato il sogno della purezza della razza Ariana. Il soggetto è incredibile, la fotografia è superlativa. La recitazione di grande pregio. Un film certo intellettuale, difficile criptico e pieno di segni di disagio. La violenza è il centro, il focus del film, il suo cuore pulsante. La violenza dagli esordi della sua filmografia in tutte le sue forme pervasive viene analizzata da Heneke, come paradigma che spiega i profondi legami edel male annidati nella società Europea benpensante. La repressione sessuale, tema sviluppato da Freud Jung nella psicanalisi moderna è tra le cause della violenza trasversale che attraversa la nostra società. In particolare la repressione degli istinti vitali come è ben rappresentato senza equivoci dalla figura del figlio del Padre spirituale legato a letto, solo perchè osa masturbarsi, e la prevaricazione costante dell'uomo sulle donne fino al terribile nauseante abominio dell'incesto del Dottore del villaggio nei confronti della figlia. Il dottore appare nell'incipit del film dove è vittima di una caduta da cavallo rovinosa. Questo è l'antefatto raccontato da una voce narrante, che scopriremo essere poi quella del Maestro del villaggio. A questo antefatto seguono una serie di avvenimenti che turbano l'apparente quiete di un tipico villaggio agricolo dei primi del '900 europeo tedesco. Villaggio che gravita intorno alla proprietà fondiaria del Barone altro rappresentante dell'autorità sugli uomini, a lui asserviti come in un regime di lavoro semi feudale precapitalistico. Heneke rappresenta le gerarchie dell'autorità sociali e famigliari, descrivendone impietosamente i terribili effetti sulla vita sociale di tutta la famiglia umana. Violenza e soggezione rispetto al Barone e alla sua forza economica, controllo delle anime del villaggio in mano al Padre spirituale aguzzino dei suoi figli, che lui vorrebbe come colombi ingenerando in realtà futuri mostri, e i figli del dottore vedovo e Padre padrone al punto di violentare la figlia e umiliare la sua seconda moglie trattata in una maniera tanto violenta come poche volte nella storia del cinema si è rappresentata la violenza dell'uomo sulla donna. C'è in tutta la falsa retorica di emancipazione femminile del 900 un fattore rimosso ancora oggi attualissimo. La violenza sul corpo della donna funzionale solo al piacere dell'appetito genitale maschile,e ad esso asservito. Le donne ancora oggi si uccidono, si picchiano o si promuovono pre la loro apparente verginità e idealizzazione. La donna vale solo per le carni sode e sensuali come dice senza mezze misure il Dottore alla sua seconda moglie. La tragedia e il male sono silenti come i campi di neve del tardo Romanticismo tedesco, tanto cari alla cultura del Terzo reich. Neve, alberi e vento forze mistico naturali e irrazionali sono dietro le quinte della rppresentazione della vita del villaggio. E' più di un film, è una ricostruzione antropologica di usi e costumi rurali, un'ottima documentata descrizione delle interconnessioni complesse delle società gerarchiche del 900. E in fondo di oggi. Heneke va molto a fondo e colpisce duro. Per stomaci molto forti e per intelletti fini e arguti. C'è bisogno di molta lettura della storia per comprendere fino in fondo il messaggio di questo stupefacente capolavoro sussurrato.
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