matteo
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domenica 13 dicembre 2020
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tramonto dell''occidente
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Un piccolo villaggio alla vigilia della Grande Guerra nel nord della Germania come rappresentazione di una società in disfacimento dove la rigidità di una parvenza rispettabile nasconde la violenza brutale delle relazioni tra le persone. La famiglia patriarcale è l'embrione delle dissolutezze, della brutalità, del cinismo e dell'invidia che modella un microcosmo apparentemente immutabile ma che mostra le crepe nella quotidianità ripetitiva di un mondo antico sull'orlo dell'abisso. Troppo facile e secondo me fuorviante leggere questo film come preludio al nazismo, anche se in effetti sarà la generazione dei più giovani a essere inghiottita da quelle vicende.
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Un piccolo villaggio alla vigilia della Grande Guerra nel nord della Germania come rappresentazione di una società in disfacimento dove la rigidità di una parvenza rispettabile nasconde la violenza brutale delle relazioni tra le persone. La famiglia patriarcale è l'embrione delle dissolutezze, della brutalità, del cinismo e dell'invidia che modella un microcosmo apparentemente immutabile ma che mostra le crepe nella quotidianità ripetitiva di un mondo antico sull'orlo dell'abisso. Troppo facile e secondo me fuorviante leggere questo film come preludio al nazismo, anche se in effetti sarà la generazione dei più giovani a essere inghiottita da quelle vicende. Forse è più corretto cercare di interpretare il racconto come denuncia tra ciò che deve essere mostrato e ciò che deve essere nascosto ma che tutti sanno. La famiglia come nucleo ed epicentro dei drammi umani; non a caso l'unico personaggio che mostra qualche segno di umanità è il maestro che famiglia non ha. Resta volutamente sospeso il finale con alcune trame irrisolte perchè quel che conta non è tanto chi ha causato gli incidenti e i soprusi ma la genealogia di questi. Molto bella la fotografia e azzeccato il bianco e nero.
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geppi
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giovedì 12 novembre 2020
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film spendidamente diretto, fotografato e recitato
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Visto per la prima volta su una piattaforma di streaming, il film lascia affascinati e terrorizzati al tempo stesso. Il senso del male e della colpa che pervade tutto il film contrasta con il candore del bianco che impressiona la pellicola per la maggior parte del tempo, intervallato da frammenti di buio quasi totale che troviamo in altre poche scene. Il regista racconta, non spiega, crea dubbi, non li risolve. Questa incompiutezza che rimane fino alla fine è il vincolo che lega lo spettatore alle vicende narrate dal primo minuto fino all'ultimo. Film splendidamente diretto, fotografato, recitato. Che però lascia un senso di smarrimento e di angoscia.
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carloalberto
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mercoledì 29 aprile 2020
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la vita come racconto
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Il nastro bianco narra la storia di strani fatti accaduti in un piccolo centro rurale tedesco, poco prima dell’inizio della Grande Guerra, attraverso il racconto del giovane maestro del villaggio. E’ una riflessione sulla vita come racconto e sul cinema come racconto della vita così intesa, paradigmaticamente rappresentato da Il racconto dei racconti di Garrone che narra Lo cunto de li cunti di Basile. Il contenuto, stimolando le interpretazioni più diverse, distrae dall’essenza dei fatti, che, intrecciandosi come i fili della trama e dell’ordito, esistono soltanto per la reciproca relazione in funzione della validità del discorso.
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Il nastro bianco narra la storia di strani fatti accaduti in un piccolo centro rurale tedesco, poco prima dell’inizio della Grande Guerra, attraverso il racconto del giovane maestro del villaggio. E’ una riflessione sulla vita come racconto e sul cinema come racconto della vita così intesa, paradigmaticamente rappresentato da Il racconto dei racconti di Garrone che narra Lo cunto de li cunti di Basile. Il contenuto, stimolando le interpretazioni più diverse, distrae dall’essenza dei fatti, che, intrecciandosi come i fili della trama e dell’ordito, esistono soltanto per la reciproca relazione in funzione della validità del discorso. Tutto nel film è traduzione in immagini di ricordi di fatti, narrati dal maestro perché vissuti di persona o appresi da confidenze e da chiacchiere di compaesani. La storia, nelle parti in cui non è vissuta o appresa, è completata con particolari intimi della vita che si svolge nelle case del barone, del dottore, del contadino, apparentemente aggiunti dal regista e che sono, invece, originati dalla fantasia del maestro. Un indizio dell’unicità di prospettiva è costituito dalla assenza di altri punti di vista. I personaggi sono descritti, pur nella ricchezza e nella complessità dei sentimenti e delle passioni mostrate, sempre dall’esterno, per ciò che fanno e che dicono, ovvero per ciò che potrebbero aver detto o fatto nella ricostruzione fantasticata del maestro e secondo le sue aspettative e la sua sensibilità. Il racconto termina incompiuto, troncato dal sopraggiungere di un altro racconto, che si preannuncia all’orizzonte ben più potente, la prima guerra mondiale e lo spettatore è come sollecitato a completarlo, ma per farlo dovrà ricostruirne uno suo, avendo a disposizione, tuttavia, esclusivamente le informazioni che gli sono state fornite col racconto. Quali particolari aggiungerà e quali interpretazioni darà delle vicende, che sono a lui pervenute già mediate due volte, per dare un senso al film? Haneke dà l’illusione di poterci appropriare della storia, così che ognuno possa pensare che le cose siano andate così e così e che i colpevoli non potevano che essere…come se completare il film potesse dare un senso allo stesso e magicamente per analogia al racconto della propria vita. A seconda dei punti di vista, Haneke offre a chi guarda un possibile approccio all’arte del racconto o invece tende un’ennesima trappola per integrare lo spettatore nella tela dello stesso, attraendolo con la lusinga di poter svelare i suoi misteri, che non sono altro che le informazioni mancanti e che sempre mancheranno ad ogni racconto della vita perché abbia senso. Il racconto della prima guerra mondiale travolgerà come un’onda tsunamica, con il suo non-senso, gli innumerevoli piccoli racconti privi di senso di migliaia di paesi, di villaggi, di famiglie in Germania e in tutta Europa. Nel finale c’è l’inizio. La chiesa si riempie di fedeli, tutti i paesani siedono sui banchi, tutti i protagonisti del racconto, tutti in attesa che un uomo prenda la parola per dare inizio ad una nuova fascinazione collettiva, al rito magico della narrazione, che ancora una volta illudendo catturerà l’attenzione con una promessa di senso che non ci sarà, come non ci sarà per gli spettatori che nella sala buia aspettano che inizi Il nastro bianco.
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carloalberto
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mercoledì 29 aprile 2020
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la vita come racconto
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Il nastro bianco narra la storia di strani fatti accaduti in un piccolo centro rurale tedesco, poco prima dell’inizio della Grande Guerra, attraverso il racconto del giovane maestro del villaggio. E’ una riflessione sulla vita come racconto e sul cinema come racconto della vita così intesa, paradigmaticamente rappresentato da Il racconto dei racconti di Garrone che narra Lo cunto de li cunti di Basile. Il contenuto, stimolando le interpretazioni più diverse, distrae dall’essenza dei fatti, che, intrecciandosi come i fili della trama e dell’ordito, esistono, al pari di qualsiasi altro fatto narrato, soltanto per la reciproca relazione in funzione della validità del discorso.
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Il nastro bianco narra la storia di strani fatti accaduti in un piccolo centro rurale tedesco, poco prima dell’inizio della Grande Guerra, attraverso il racconto del giovane maestro del villaggio. E’ una riflessione sulla vita come racconto e sul cinema come racconto della vita così intesa, paradigmaticamente rappresentato da Il racconto dei racconti di Garrone che narra Lo cunto de li cunti di Basile. Il contenuto, stimolando le interpretazioni più diverse, distrae dall’essenza dei fatti, che, intrecciandosi come i fili della trama e dell’ordito, esistono, al pari di qualsiasi altro fatto narrato, soltanto per la reciproca relazione in funzione della validità del discorso. Tutto nel film è traduzione in immagini di ricordi di fatti, narrati dal maestro perché vissuti di persona o appresi da confidenze e da chiacchiere di compaesani. La storia, nelle parti in cui non è vissuta o appresa, è completata con particolari intimi della vita che si svolge nelle case del barone, del dottore, del contadino, apparentemente aggiunti dal regista e che sono, invece, originati dalla fantasia del maestro. Un indizio dell’unicità di prospettiva è costituito dalla assenza di altri punti di vista. I personaggi sono descritti, pur nella ricchezza e nella complessità dei sentimenti e delle passioni mostrate, sempre dall’esterno, per ciò che fanno e che dicono, ovvero per ciò che potrebbero aver detto o fatto nella ricostruzione fantasticata del maestro e secondo le sue aspettative e la sua sensibilità. Il racconto termina incompiuto, troncato dal sopraggiungere di un altro racconto, che si preannuncia all’orizzonte ben più potente, la prima guerra mondiale e lo spettatore è come sollecitato a completarlo, ma per farlo dovrà ricostruirne uno suo, avendo a disposizione, tuttavia, esclusivamente le informazioni che gli sono state fornite col racconto. Quali particolari aggiungerà e quali interpretazioni darà delle vicende, che sono a lui pervenute già mediate due volte, per dare un senso al film? Haneke dà l’illusione di poterci appropriare della storia, così che ognuno possa pensare che le cose siano andate così e così e che i colpevoli non potevano che essere…come se completare il film potesse dare un senso allo stesso e magicamente per analogia al racconto della propria vita. A seconda dei punti di vista, Haneke offre a chi guarda un possibile approccio all’arte del racconto o invece tende un’ennesima trappola per integrare lo spettatore nella tela dello stesso, attraendolo con la lusinga di poter svelare i suoi misteri, che non sono altro che le informazioni mancanti e che sempre mancheranno ad ogni racconto della vita perché abbia senso. Il racconto della prima guerra mondiale travolgerà come un’onda tsunamica, con il suo non-senso, gli innumerevoli piccoli racconti privi di senso di migliaia di paesi, di villaggi, di famiglie in Germania e in tutta Europa. Nel finale c’è l’inizio. La chiesa si riempie di fedeli, tutti i paesani siedono sui banchi, tutti i protagonisti del racconto, tutti in attesa che un uomo prenda la parola per dare inizio ad una nuova fascinazione collettiva, al rito magico della narrazione, che ancora una volta illudendo catturerà l’attenzione con una promessa di senso che non ci sarà, come non ci sarà per gli spettatori che nella sala buia aspettano che inizi Il nastro bianco.
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misesjunior
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domenica 2 luglio 2017
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film non onesto: si è dimenticato la storia
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Quindi il nazismo è colpa delle cattiverie deo tedeschi, la Rivoluzione Bolscevica non c'entra nulla!. Film tecnicamente inobiettabile, ma storicamente bugiardo e denigrante dei tedeschi. Per esempio: l'educazione tedesca di allora non era così diversa da quella inglese, severissima, senza che per questo l'Inghilterra non fosse allora il paese più libero di Europa (come lo è ancora oogi, tra l'altro). Ideologia, balle, sono sempre presente nei film che pretendono di sostituire lo studio serio della Storia con costruzioni mitiche (per non diure peggio) volte a "educare", o 'confortare' nelle proprie idee, le masse addomesticate dall'ignoranza Pecato.
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Quindi il nazismo è colpa delle cattiverie deo tedeschi, la Rivoluzione Bolscevica non c'entra nulla!. Film tecnicamente inobiettabile, ma storicamente bugiardo e denigrante dei tedeschi. Per esempio: l'educazione tedesca di allora non era così diversa da quella inglese, severissima, senza che per questo l'Inghilterra non fosse allora il paese più libero di Europa (come lo è ancora oogi, tra l'altro). Ideologia, balle, sono sempre presente nei film che pretendono di sostituire lo studio serio della Storia con costruzioni mitiche (per non diure peggio) volte a "educare", o 'confortare' nelle proprie idee, le masse addomesticate dall'ignoranza Pecato.
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howlingfantod
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martedì 7 febbraio 2017
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ll nastro bianco...e quello nero
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La vita alla vigilia della guerra in un paese rurale protestante del nord della Germania. Vita di una comunità scandita dai rituali e dalle ferree regole di una società rigidamente patriarcale dove anche l’innocenza, che dovrebbe essere ed è in effetti dei bambini, viene imposta di ufficio da coloro che detengono il potere, padri dispotici ed inflessibili e dove questa è vista come una cosa da imporre ad individui evidentemente corruttibili e dediti al peccato (il figlio del Pastore che scopre il suo corpo). Il nastro bianco del titolo è definito come quella cosa che doveva essere “monito di innocenza e purezza”.
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La vita alla vigilia della guerra in un paese rurale protestante del nord della Germania. Vita di una comunità scandita dai rituali e dalle ferree regole di una società rigidamente patriarcale dove anche l’innocenza, che dovrebbe essere ed è in effetti dei bambini, viene imposta di ufficio da coloro che detengono il potere, padri dispotici ed inflessibili e dove questa è vista come una cosa da imporre ad individui evidentemente corruttibili e dediti al peccato (il figlio del Pastore che scopre il suo corpo). Il nastro bianco del titolo è definito come quella cosa che doveva essere “monito di innocenza e purezza”. Una comunità chiusa, quasi fuori dal mondo ai nostri occhi, dove il maligno, l’invidia, le meschinità, le turpitudini e i segreti da nascondere per non sconvolgere il buon nome e la rispettabilità di facciata si agitano sotto la superficie liscia e l’aria austera tenuta in piedi da leggi, convenzioni e rituali. L’aria ovattata e stilizzata del villaggio è sconvolta da una serie di misfatti apparentemente inspiegabili: sevizie su bambini; incendi; sparizioni che ne vengono a minare la serenità. Il finale offrirà delle possibili soluzioni agli enigmi tramite la voce narrante del film, quella del maestro del villaggio, forse la più vera ed umana insieme a quella della sua promessa sposa, oppure anche con la voce del villaggio che nel bellissimo espediente tipo coro greco, sotto forma della voce del maestro che snocciola le ipotesi stesse fatte dagli abitanti nel suo “si diceva che…”, cerca di far luce su come siano andate effettivamente le cose. Le cose in effetti possono essere andate in modi diversi, non è che questo forse quello che più interessa, quanto rappresentare il milieu culturale ed umano in un dato momento storico e luogo, fin troppo esemplificativo e simbolico se si pensa all’ immane tragedia che da lì a poco si sarebbe consumata su scala globale. Una grande lezione di cinema e di sceneggiatura in un bellissimo film corale con dialoghi infallibili e atmosfere bergmaniane indimenticabili.
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stefano capasso
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sabato 19 settembre 2015
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la ricerca dell'integrita morale
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La voce di un maestro, ormai anziano, guida nel racconto di una serie di eventi avvenuti in un villaggio nel nord della Germania, poco prima dello scoppio della prima guerra mondiale. Il villaggio comprende tutte le figure importanti di una comunità, Il Barone che governa e da lavoro a tutti, il Pastore che si occupa dell’educazione morale, il medico che vigila sulla salute e il maestro di scuola, la voce narrante, che svolge la funzione di grande mediatore tra il gruppo dei giovani e quello degli adulti.
Una serie di eventi drammatici sconvolgono la vita del villaggio che mantiene in ogni caso quell’equilibrio necessario alla sua sopravvivenza.
Molto bello questo film di Michael Haneke, girato in bianco e nero e con stilo rigoroso che ricalca il rigore e la durezza dei protagonisti.
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La voce di un maestro, ormai anziano, guida nel racconto di una serie di eventi avvenuti in un villaggio nel nord della Germania, poco prima dello scoppio della prima guerra mondiale. Il villaggio comprende tutte le figure importanti di una comunità, Il Barone che governa e da lavoro a tutti, il Pastore che si occupa dell’educazione morale, il medico che vigila sulla salute e il maestro di scuola, la voce narrante, che svolge la funzione di grande mediatore tra il gruppo dei giovani e quello degli adulti.
Una serie di eventi drammatici sconvolgono la vita del villaggio che mantiene in ogni caso quell’equilibrio necessario alla sua sopravvivenza.
Molto bello questo film di Michael Haneke, girato in bianco e nero e con stilo rigoroso che ricalca il rigore e la durezza dei protagonisti. La lotta per sopravvivere è difficile per tutti e gli adulti usano una grande rigidità morale nel condurre la propria vita e nell’educare i propri figli. Proprio il conflitto generazionale è un aspetto evidente del racconto, dove i giovani cercano di costruire le proprie vite usando la stessa durezza tra loro ed in contrapposizione agli adulti. Tra queste figure quella del maestro si differenzia dalle altre Il suo aspetto docile, il racconto della sua delicata storia d’amore mostrano un altro aspetto della vita degli uomini, possibile e funzionale. Le relazioni psicologiche tra gli individui che formano questo microcosmo sono descritte in modo minuzioso e costituiscono la base della grande forza espressiva del film.
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brando fioravanti
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mercoledì 17 dicembre 2014
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molto bello ma niente di nuovo
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Haneke ripropone un film inquietante e pessimista. Stile eccelente, storia ben curata. Il problema è che si cade continuamente nel gia visto. Persone oppresse possono diventare perverse, padri che sono disposti a mentire per salvare i figli, scontri fra classe sociali, gialli risolti solo in parte, violenza ai limiti della sopportazione.Poco convincente l'allusione al nazismo
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estonia
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giovedì 4 settembre 2014
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le radici della violenza
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La riduzione dell’individuo, fin dalla più tenera età, alla condizione disumana di totale obbedienza a regole rigide e inflessibili crea i futuri carnefici dei poteri forti.
In un remoto “Villaggio dei dannati” posto nel nord della Germania durante gli anni che precedono la prima guerra mondiale, nel silenzioso candore reso abbagliante dalla neve che tutto copre e nasconde, le giovani vittime di un sistema educativo estremamente repressivo e autoritario imparano presto ad adeguarsi a una disciplina aberrante fatta di minacce psicologiche e di feroci punizioni corporali e, apprendendo loro malgrado il distaccato disprezzo per la vita umana, acquisiscono l’impassibilità necessaria per essere a loro volta perpetratori di malvagità.
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La riduzione dell’individuo, fin dalla più tenera età, alla condizione disumana di totale obbedienza a regole rigide e inflessibili crea i futuri carnefici dei poteri forti.
In un remoto “Villaggio dei dannati” posto nel nord della Germania durante gli anni che precedono la prima guerra mondiale, nel silenzioso candore reso abbagliante dalla neve che tutto copre e nasconde, le giovani vittime di un sistema educativo estremamente repressivo e autoritario imparano presto ad adeguarsi a una disciplina aberrante fatta di minacce psicologiche e di feroci punizioni corporali e, apprendendo loro malgrado il distaccato disprezzo per la vita umana, acquisiscono l’impassibilità necessaria per essere a loro volta perpetratori di malvagità. Un nastro bianco, dal valore simbolico ambiguo, viene loro appuntato come monito, affinché mantengano intatte la purezza e l’innocenza, asservite però a una morale distorta che dietro la facciata apparentemente disciplinata e perbenista di severissime norme sociali e religiose dissimula una natura fondamentalmente ipocrita e corrotta, in cui il trattamento riservato ai più deboli, donne e bambini soprattutto, assume le tristissime connotazioni del sopruso.
Strutturato quasi come un giallo dai tempi assai lenti e dilatati, e ambientato in un clima gelido e opprimente di sospetti reciproci, il film si apre con una serie di episodi inspiegabili e violenti narrati dalla voce fuori campo dell’insegnante del posto, dolente ma soprattutto inconsapevole testimone dei fatti, e si sviluppa in modo lucido e asettico sospendendo ogni tipo di giudizio. Viene lasciato alle splendide immagini rigorosamente in B/N e prive di colonna sonora , e a una narrazione di scarna efficacia, in cui la violenza non è mai esplicitamente visibile, il compito di illustrare quale sia stato il meccanismo complesso e perverso che ha favorito la genesi del nazismo e in generale di ogni dittatura.
L’arte spiazzante del depistaggio, già sperimentata dal regista nei suoi film precedenti, caratterizza un finale assai poco consolatorio che contiene in sé le fosche prospettive di uno dei periodi più neri della storia contemporanea.
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carlo vecchiarelli
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domenica 6 aprile 2014
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la meglio gioventù teutonica
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La concezione filosofica di Michael Haneke ha sempre portato su strade incomprese ai più e spesso mistificate, indagando in maniera psicologica le origini e le cause del male inteso in maniera assoluta. La risposta, lo conferma “Il nastro bianco”, è da ricercare nelle origini della vita di ogni persona, nella sua educazione, crescita e formazione. Lo dimostrano molti suoi film, a partire da “Cachè”, e se le analogie ( anche stilistiche ) con il cinema di Bergman sono evidenti, la differenza sta proprio nel fatto che mentre il regista svedese affronta il male di vivere dell’uomo maturo, Haneke rivolge le sue riflessioni sulla pubertà.
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La concezione filosofica di Michael Haneke ha sempre portato su strade incomprese ai più e spesso mistificate, indagando in maniera psicologica le origini e le cause del male inteso in maniera assoluta. La risposta, lo conferma “Il nastro bianco”, è da ricercare nelle origini della vita di ogni persona, nella sua educazione, crescita e formazione. Lo dimostrano molti suoi film, a partire da “Cachè”, e se le analogie ( anche stilistiche ) con il cinema di Bergman sono evidenti, la differenza sta proprio nel fatto che mentre il regista svedese affronta il male di vivere dell’uomo maturo, Haneke rivolge le sue riflessioni sulla pubertà. Paradossalmente, con il suo film meno appariscente e spettacolare, il regista austriaco ( che ha firmato anche soggetto e sceneggiatura ) riesce a raccogliere il consenso della critica che ne ha compreso la straordinaria portata: vincitore della Palma D'Oro, dell' EFA come miglior film europeo e del Golden Globe come miglior film straniero.
Il nastro bianco è un un’opera destinata ad impiantarsi nelle coscienze, affrontando con occhio analitico un clima ed un periodo culturale che farà da apripista ad uno dei periodi più neri della storia dell’umanità. Haneke tratteggia appena, in un gelido silenzio e un bianco e nero “dreyeriano”, la vita di una Germania bucolica in prossimità della prima guerra mondiale: un villaggio ancorato a vecchie tradizioni religiose e sociali, in cui domina un rigido protestantesimo, che traccia la linea per una educazione di massa ipocrita e dissimulatrice. Le relazioni tra le persone sono succubi della violenza delle convenzioni, e la crescente spersonalizzazione colpirà in maniera più grave la prole di questo microcosmo algido e apatico. I bambini diventeranno protagonisti di alcuni incidenti misteriosi, forse mossi da un senso di ribellione alle rigide regole imposte: il medico cade da cavallo a causa di un filo metallico teso sul terreno, una contadina muore in una segheria, il figlio handicappato della levatrice viene sfigurato, e persino il figlio del barone è soggetto a violenza, quasi a sfida del potere autoritario. A cercare di fare chiarezza su questi fatti apparentemente inspiegabili, c’è la voce narrante del maestro del villaggio, che a distanza di anni racconta il difficile periodo prebellico. Egli comprende il coinvolgimento almeno parziale dei fanciulli, ma la comunità non accetterà neppure di rispondere alle sue domande, barricandosi dietro un silenzio complice. Primo tra tutti il pastore protestante – in analogia a quello di “Fanny e Alexander” - che impone il nastro bianco al braccio dei figli, un monito alla purezza per acquisire la maturità, ma poi di fronte al sospetto sui propri figli svela una gelida maschera di ipocrisia.
Haneke impone la violenza come rumore di sottofondo, non mostrandola, lasciando che siano le parole a ferire la normalità, con dialoghi crudi e privi di ogni umanità, in un mondo che costringe il maestro ad abbandonare il proprio ruolo di educatore, pur di non aderire ad una prigione di stereotipi. I riflessi di meccanismi di educazione tipici delle religioni, delle ideologie, dei totalitarismi vengono proiettati in un piccolo feudo, creando cuori impassibili, ottusi, dove il decoro vale più dell’amore, della comprensione e della verità, dove ai bambini non resta altro che uccidere un uccello in gabbia per far sentire l’ultimo grido di una innocenza ormai perduta, che li porterà sul baratro di un futuro che nasconde le ombre del nazismo, quando quei nastri bianchi verranno ad assurgere a simbolo di morte, sempre in nome della purezza.
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[+] quanto bla bla!
(di misesjunior)
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