pb80pb80
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lunedì 13 gennaio 2014
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dichiarazione antifascista, linguaggio fascista
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Nulla di meglio per definire questo film accademico, che applicargli una delle pompose affermazioni del suo autore, quando parla di "Arancia meccanica". Non si può fare una dichiarazione antifascista, usando un linguaggio fascista. L'intento del film è fin troppo chiaro: mostrare la disumanità di una società chiusa, repressiva, opprimente, e i suoi effetti devastanti a livello morale, che sfocieranno nel Nazifascismo. Il problema è che (a livello narrativo), non vi è alcuna presa di distanza dal mondo chiuso e asfittico che viene raccontato: non c'è contrasto tra la repressione sociale e una qualsiasi vitalità interiore dei protagonisti, ma soprrattutto con lo sguardo del regista. Tutto è spento, freddo, vuoto, estetizzante.
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Nulla di meglio per definire questo film accademico, che applicargli una delle pompose affermazioni del suo autore, quando parla di "Arancia meccanica". Non si può fare una dichiarazione antifascista, usando un linguaggio fascista. L'intento del film è fin troppo chiaro: mostrare la disumanità di una società chiusa, repressiva, opprimente, e i suoi effetti devastanti a livello morale, che sfocieranno nel Nazifascismo. Il problema è che (a livello narrativo), non vi è alcuna presa di distanza dal mondo chiuso e asfittico che viene raccontato: non c'è contrasto tra la repressione sociale e una qualsiasi vitalità interiore dei protagonisti, ma soprrattutto con lo sguardo del regista. Tutto è spento, freddo, vuoto, estetizzante. La qualità del linguaggio è esattamente la stessa della società che rappresenta, tanto che il film potrebbe tranquillamente essere una emanazione della società viennese del primo novecento. Da ogni inquadratura trasuda lo stesso rigore fanatico, lo stesso moralismo asfissiante degli oppressori che si vorrebbe denunciare. Il buon Haneke potrebbe essere un perfetto protagonista del suo film. E allora? Che senso ha denunciare un certo tipo di realtà, se poi ci si crogiola con gli stessi valori che derivano da quella società, e anzi si basa la propria carriera artistica proprio sul prestigio "accademico" più puritano e perbenista?
Haneke vuole denunciare una realtà ben precisa (per altro oggi piuttosto marginale nel mondo occidentale, se non in qualche setta o magari proprio nelle accademie in cui Haneke sguazza come un pesce), ma non fa nulla per superarla, sul piano artistico.
Quindi l'effetto del suo film è quello di un ritorno nostalgico a un'epoca passata, un'epoca rappresentata in tutto il suo orrorre, ma vissuta dall'interno, cosa abbastanza strana in un regista nato durante la Seconda Guerra Mondiale. La sua narrazione è quindi puro manierismo, e non si capisce come una visione così ultraconservatrice del cinema possa in qualche modo contribuire a superare i rimasugli di estremismo che pullulano ancora nella nostra società. Sembrerebbe che Haneke abbia l'obiettivo esattamente opposto. Presentare una realtà opprimente come qualcosa di inevitabile, è il primo modo per restaurare una società totalitaria. Ben diverso sarebbe stato rappresentare una società opprimente e autoritaria, con lo sguardo libero e critico di un regista davvero contemporaneo. Cosa che Haneke, purtroppo, non è.
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theophilus
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martedì 26 novembre 2013
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la luce illumina, ma può abbagliare.
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DAS WEISSE BAND
Alla fine della visione di Das Weisse Band, siamo stati colti da una particolare forma di sorpresa. Il film si tronca bruscamente alle parole della voce narrante che dichiara di non avere mai più visto nessuno degli abitanti del paese di cui ha narrato le vicende accadute nel 1913.
Apparentemente Haneke sembra aver tradito la sua poetica che, come egli stesso ha affermato in altre circostanze, si attua in storie da lui raccontate senza l’ambizione di trasmettere messaggi.
Una dichiarazione che non nasce da falsa modestia, ma, riteniamo, dalla consapevolezza del cineasta del rischio sempre presente di cadere nella retorica dei moralismi.
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DAS WEISSE BAND
Alla fine della visione di Das Weisse Band, siamo stati colti da una particolare forma di sorpresa. Il film si tronca bruscamente alle parole della voce narrante che dichiara di non avere mai più visto nessuno degli abitanti del paese di cui ha narrato le vicende accadute nel 1913.
Apparentemente Haneke sembra aver tradito la sua poetica che, come egli stesso ha affermato in altre circostanze, si attua in storie da lui raccontate senza l’ambizione di trasmettere messaggi.
Una dichiarazione che non nasce da falsa modestia, ma, riteniamo, dalla consapevolezza del cineasta del rischio sempre presente di cadere nella retorica dei moralismi.
Prendiamo a paragone uno dei film più riusciti di Haneke, Caché. Là, il male si nascondeva nelle pieghe di un sadismo forse autoreferenziale che il regista trasferiva sul pubblico allibito. Qui – Il nastro bianco, nelle sale italiane - è meno cosmico e più connesso alla cultura dell’uomo; dalla morbosità religiosa sfocia nella Storia con un percorso interpretativo che può lasciare perplessi, se si tiene conto della concezione poco sopra accennata.
C’è un'invisibile corda tesa fra due alberi che và a terminare dentro la Grande Guerra. Fra questi due estremi sentiamo il racconto di vicende fatto da un esegeta che, se non fosse il parto di un grande regista, potrebbe apparentarsi ad un grillo parlante che predichi col senno di poi.
Sennonché, questo male viene da lontano. Tale distanza, anziché renderlo evidente, ne ha consolidato il potere, ha addormentato le anime, accecato gli spiriti, corrotto le menti e guidato il destino dei più indifesi.
La perfida maestria di Haneke si realizza con un paradosso che, anche in questo caso, spiazza lo spettatore. Le parti del film e la sceneggiatura sono concatenate fra loro in un modo così chiaro da non far nascere punti interrogativi in chi guarda e ascolta. Tutto è legato con una consequenzialità disarmante, le parole sono scandite con una tale precisione da non lasciare al pubblico alcuna possibile via di fuga, alibi o scappatoia per evitare di trarre conclusioni. Ogni frase è una conferma di quanto si è già colto dalle immagini e, a sua volta, s’innesterà con naturalezza in altre scene. Infine, registriamo la limpidità del bianco e nero della pellicola, esaltata dalla luce della neve e dalla pulizia, dalla precisione con cui Haneke filma persone e oggetti negli interni. Di conseguenza, il pesante sentimento di mistero che non abbandona mai il film diventa una formidabile arma, un contrappasso stridente e quasi inspiegabile che intimorisce. Finiamo allora coll’immetterci nel flusso del racconto senza accorgercene e colleghiamo il disagio di quel sentire alla minaccia della Storia che, così come si è già srotolata imperturbabile nella cecità generale, allo stesso modo è sempre in agguato per l’uomo. Ecco dove sta, a nostro avviso, l’importanza e la moralità del film. Non tanto in una critica storica degli anni che portarono all’avvento del nazismo, quanto nella atterrita e forse rassegnata constatazione dell’ottusità umana di fronte a dati in apparenza lampanti.
La genuina originalità di Haneke è dunque preservata anche in questa circostanza. Se proprio vogliamo andare alla ricerca di possibili fonti, oltre a ritrovare Bergman, soprattutto nella rigida figura del pastore protestante, risaliamo anche alle gelide visioni pittoriche di un Münch o alla caustica penna del miglior Thomas Bernhard.
Enzo Vignoli
4 novembre 2009.
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homer52
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venerdì 22 novembre 2013
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un nastro per avvolgere il cuore
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Pagine di poesia in bianco e nero sui grandi temi dell'esistenza, sull'interiorità dell'uomo spogliato di ogni maschera.Un invito allo spettatore,ad andare al di là delle letture superficiali della realtà e a soffermarsi piuttosto sui suoi significati profondi e sulle motivazioni che la sottendono. Una salutare ventata d'ossigeno contro la sterile e puerile civiltà dei telefonini e dell'apparire.La trama,a sfondo giallo,del film finisce col perdere di significato rispetto alla potenza dell'immagine e delle parole che piombano, come macigni,nella profondità dell'animo evidenziando,in modo inequivocabilmente crudo,la durezza dei rapporti e la tragicità del momento storico descritto.
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Pagine di poesia in bianco e nero sui grandi temi dell'esistenza, sull'interiorità dell'uomo spogliato di ogni maschera.Un invito allo spettatore,ad andare al di là delle letture superficiali della realtà e a soffermarsi piuttosto sui suoi significati profondi e sulle motivazioni che la sottendono. Una salutare ventata d'ossigeno contro la sterile e puerile civiltà dei telefonini e dell'apparire.La trama,a sfondo giallo,del film finisce col perdere di significato rispetto alla potenza dell'immagine e delle parole che piombano, come macigni,nella profondità dell'animo evidenziando,in modo inequivocabilmente crudo,la durezza dei rapporti e la tragicità del momento storico descritto.Un esempio magistrale di film coinvolgente ove anche lo spettatore è interprete attivo del copione.
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jacopo b98
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giovedì 1 agosto 2013
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un capolavoro indimenticabile! sublime!
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In un villaggio protestante della Germania del Nord, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, si verificano degli strani e violenti fatti: il dottore del villaggio (Bock) viene fatto cadere da cavallo, un bambino down viene massacrato di botte e quasi accecato, il figlio del barone locale (Tukur) frustato e legato nudo in un fienile, un edificio viene incendiato, ecc. ecc. Il maestro del villaggio (Friedel) indaga e arriva ad una sconvolgente verità che nessuno riesce ad accettare, ma il dubbio di fondo rimane. È, insieme al successivo Amour (2012), il miglior film di Haneke. Presentato in concorso al Festival di Cannes 2009 ha vinto la Palma d’Oro al miglior film, oltre a tre European Film Awards (miglior film, regia e sceneggiatura [del regista con Jean Claude-Carrière]), un Golden Globe al miglior film straniero e numerosissimi altri riconoscimenti internazionali (tra cui due nomination agli Oscar, miglior film straniero [lo vinse poi Il segreto dei suoi occhi] e fotografia).
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In un villaggio protestante della Germania del Nord, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, si verificano degli strani e violenti fatti: il dottore del villaggio (Bock) viene fatto cadere da cavallo, un bambino down viene massacrato di botte e quasi accecato, il figlio del barone locale (Tukur) frustato e legato nudo in un fienile, un edificio viene incendiato, ecc. ecc. Il maestro del villaggio (Friedel) indaga e arriva ad una sconvolgente verità che nessuno riesce ad accettare, ma il dubbio di fondo rimane. È, insieme al successivo Amour (2012), il miglior film di Haneke. Presentato in concorso al Festival di Cannes 2009 ha vinto la Palma d’Oro al miglior film, oltre a tre European Film Awards (miglior film, regia e sceneggiatura [del regista con Jean Claude-Carrière]), un Golden Globe al miglior film straniero e numerosissimi altri riconoscimenti internazionali (tra cui due nomination agli Oscar, miglior film straniero [lo vinse poi Il segreto dei suoi occhi] e fotografia). È il culmine del pessimismo del regista che racconta il dramma di un villaggio messo di fronte ad una verità che tutti conoscono ma che non vogliono accettare, come dimostra la scena del colloquio tra il maestro e il pastore locale (Klaussner). Girato in uno splendido bianco e nero (prevalgono le tonalità del primo colore), è uno di quei film pesanti (come argomento), per drammaticità, lunghezza, ritmo narrativo e ambientazione, ma è allo stesso tempo una di quelle opere che non annoiano mai, lo spettatore non se ne perde una scena, un’inquadratura, uno sguardo degli attori, tutti splendidi interpreti praticamente sconosciuti. Il suggerimento sulle origini del nazismo è lasciato più ad intendersi, che non esplicitato. Imperdibile, è uno dei film più belli degli ultimi anni.
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the pork chop express
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sabato 25 agosto 2012
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gli orrori dietro l'angolo
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La violenza domestica ed educativa, il silenzioso servilismo verso il potere, il sadismo contro i più deboli, si nascondono e prosperano nella virtuosa società patriarcale di un villaggio tedesco all'indomani della prima guerra mondiale. Gli orrori, in un sistema che non li sa né li vuole riconoscere, contagiano la gioventù locale che fedelmente replica ciò che subisce.
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jackperugia
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martedì 3 gennaio 2012
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il seme del male
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Il seme del Male. Potrebbe essere un titolo alternativo. Un bellissimo film. Difficile e dunque non certo per tutti. Una calligrafia in bianco-e-nero che ricorda tanto i film di Bergman, con interni scuri e claustrofobici ed esterni di un invernale bianco abbacinante tra coltri di neve e campi di grano estivi. Si narrano i fatti avvenuti nella giovinezza di un narratore, spettatore degli eventi nell’anno che precede l’inizio della Grande Guerra in un piccolo villaggio tedesco, ove avvengono strani episodi di violenza, sopraffazione e di morte. Non vi e’ spiegazione apparente, ma sullo sfondo di tutti gli episodi sono presenti in maniera inquietante i bambini del villaggio.
Un film duro da metabolizzare che racconta di bambini-mostri, biondi,ariani,spietati coi piu' deboli e con i diversi; educati alla crudelta'dai leaders malati della loro comunita'(il medico,il barone,il pastore,il sovraintendente) e destinati a diventare i futuri aguzzini del nazismo.
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Il seme del Male. Potrebbe essere un titolo alternativo. Un bellissimo film. Difficile e dunque non certo per tutti. Una calligrafia in bianco-e-nero che ricorda tanto i film di Bergman, con interni scuri e claustrofobici ed esterni di un invernale bianco abbacinante tra coltri di neve e campi di grano estivi. Si narrano i fatti avvenuti nella giovinezza di un narratore, spettatore degli eventi nell’anno che precede l’inizio della Grande Guerra in un piccolo villaggio tedesco, ove avvengono strani episodi di violenza, sopraffazione e di morte. Non vi e’ spiegazione apparente, ma sullo sfondo di tutti gli episodi sono presenti in maniera inquietante i bambini del villaggio.
Un film duro da metabolizzare che racconta di bambini-mostri, biondi,ariani,spietati coi piu' deboli e con i diversi; educati alla crudelta'dai leaders malati della loro comunita'(il medico,il barone,il pastore,il sovraintendente) e destinati a diventare i futuri aguzzini del nazismo. Una comunita’ malata, apparentemente piena di buona volonta’, di fanatica adesione a severi principi moralistici ed educativi; in realta’ un mondo freddo e spietato che ha appena gettato il seme del Male e che andra’ presto a creare una generazione di mostri nel giro di pochi decenni.
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omero sala
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venerdì 2 dicembre 2011
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tutti vittime, tutti carnefici
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Siamo nel 1913. In un villaggio di campagna sperduto nel nord della Germania accadono inspiegabili eventi: la caduta da cavallo del medico provocata da una corda tesa, la morte di una donna per un apparente incidente sul lavoro, i maltrattamenti inferti come per un rituale punitivo ad un bambino, un suicidio, le sevizie ad un piccolo disabile. Nella piccola comunità, rigorosamente retta dalla ferrea disciplina della fede e dai principi morali della tradizione, nascono sospetti, affiorano acredini, si manifestano atteggiamenti di implacabile disumanità, aleggia un livore amaro e penetrante; preme e trova sfoghi imprevedibili la violenza che nasce dalla repressione, dalle inibizioni, dai complessi di colpa, dal patologico bisogno di espiazione.
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Siamo nel 1913. In un villaggio di campagna sperduto nel nord della Germania accadono inspiegabili eventi: la caduta da cavallo del medico provocata da una corda tesa, la morte di una donna per un apparente incidente sul lavoro, i maltrattamenti inferti come per un rituale punitivo ad un bambino, un suicidio, le sevizie ad un piccolo disabile. Nella piccola comunità, rigorosamente retta dalla ferrea disciplina della fede e dai principi morali della tradizione, nascono sospetti, affiorano acredini, si manifestano atteggiamenti di implacabile disumanità, aleggia un livore amaro e penetrante; preme e trova sfoghi imprevedibili la violenza che nasce dalla repressione, dalle inibizioni, dai complessi di colpa, dal patologico bisogno di espiazione.
Il bianco e nero dai contrasti taglienti, quasi espressionista, ha un fascino spietato e restituisce spazi sospesi e freddi, interni da incubo, figure esangui ed irreali; il silenzio agghiacciante è appesantito dalle rare musiche di Schubert e dai canti sacri che aggiungono cupezza diabolica; la recitazione è asciutta fino allo spasimo: perfino la festa di fine raccolto è intrisa di inquietudine e angoscianti presagi; la regia è spezzata, distaccata, da entomologo che descrive ma non offre interpretazioni: la verità infatti non è mai rivelata, anche se la si può percepire negli interstizi, la si può cogliere nei silenzi. Modi, temi e andamento ricordano Murnau, Lang, Dreyer, il primo Bergman…
Il film non racconta – come tutti dicono – l’incubazione del Male che esploderà poi con la guerra ed il nazismo, ma mostra il male che agisce e si dispiega come in un incubo: il male malcelato sotto la zimarra del pastore fanatico e repressivo, riconoscibile dietro la camicia candida del dottore misogino e violento, evidente perfino nei giochi dei bambini, manichini sadici e malvagi. I “cattivi”, padri e figli, sono qui presenti ed in azione, tutti disumanizzati, tutti vittime e tutti carnefici.
E non ci consoli il pensiero che questa sia l’istantanea di un popolo e di un paese in un’epoca storica circoscritta: l’angoscia che ci assale nel vedere il dispiegarsi di tanta fredda violenza è data dalla consapevolezza che, anche se le circostanze sono mutate, le condizioni che hanno originato quel male – il fanatismo, la violenza, la morale repressiva – sono ancora presenti e stanno ancora distillando veleni e generando mostri.
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figlio del cielo e della terra
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domenica 20 novembre 2011
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non si può passare sotto silenzio
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Professore, Barone, Padre spirituale, Dottore, sono le quattro figure per descrivere l'Universo di un centro rurale della Germania prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Il film di Heneke, è un trattato magistrale della micro struttura pervasiva della pedagogia repressiva della società del 900. Un film cupo che ci porta dentro l'inferno dei meccanismi di asservimento, dominio, e violenza educativi. Da una parte un mondo adulto, e dall'altra i bambini, i futuri piccoli carnefici che crescono alimentati dagli adulti cattivi maestri. Dietro la rispettabilità della vita sociale del villaggio, dei modi e dei rituali di cortesia interpersonali, ci cela la inamovibile struttura dell'ordine e della disciplina che nutre tutto quel mondo che avrebbe portato i bambini rappresentati nel film ad essere nel 1933 i giovani uomini sostenitori dell'ascesa del Terzo Reich di Hitler.
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Professore, Barone, Padre spirituale, Dottore, sono le quattro figure per descrivere l'Universo di un centro rurale della Germania prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Il film di Heneke, è un trattato magistrale della micro struttura pervasiva della pedagogia repressiva della società del 900. Un film cupo che ci porta dentro l'inferno dei meccanismi di asservimento, dominio, e violenza educativi. Da una parte un mondo adulto, e dall'altra i bambini, i futuri piccoli carnefici che crescono alimentati dagli adulti cattivi maestri. Dietro la rispettabilità della vita sociale del villaggio, dei modi e dei rituali di cortesia interpersonali, ci cela la inamovibile struttura dell'ordine e della disciplina che nutre tutto quel mondo che avrebbe portato i bambini rappresentati nel film ad essere nel 1933 i giovani uomini sostenitori dell'ascesa del Terzo Reich di Hitler. Heneke mostra la genesi, una delle possibili genesi dei futuri Assassini in fasce. Nel film c'è la perdita della purezza di un intera generazione, rappresentata da una nastro bianco che cadrà rovinosamente, metafora del bene Che il Padre spirituale appunta al braccio dei suoi figli maggiori per espiare i peccati del mondo. Un nastro bianco, un colore puro scelto molto probabilmente non a caso da Heneke, che sarebbe di lì a poco diventato il sogno della purezza della razza Ariana. Il soggetto è incredibile, la fotografia è superlativa. La recitazione di grande pregio. Un film certo intellettuale, difficile criptico e pieno di segni di disagio. La violenza è il centro, il focus del film, il suo cuore pulsante. La violenza dagli esordi della sua filmografia in tutte le sue forme pervasive viene analizzata da Heneke, come paradigma che spiega i profondi legami edel male annidati nella società Europea benpensante. La repressione sessuale, tema sviluppato da Freud Jung nella psicanalisi moderna è tra le cause della violenza trasversale che attraversa la nostra società. In particolare la repressione degli istinti vitali come è ben rappresentato senza equivoci dalla figura del figlio del Padre spirituale legato a letto, solo perchè osa masturbarsi, e la prevaricazione costante dell'uomo sulle donne fino al terribile nauseante abominio dell'incesto del Dottore del villaggio nei confronti della figlia. Il dottore appare nell'incipit del film dove è vittima di una caduta da cavallo rovinosa. Questo è l'antefatto raccontato da una voce narrante, che scopriremo essere poi quella del Maestro del villaggio. A questo antefatto seguono una serie di avvenimenti che turbano l'apparente quiete di un tipico villaggio agricolo dei primi del '900 europeo tedesco. Villaggio che gravita intorno alla proprietà fondiaria del Barone altro rappresentante dell'autorità sugli uomini, a lui asserviti come in un regime di lavoro semi feudale precapitalistico. Heneke rappresenta le gerarchie dell'autorità sociali e famigliari, descrivendone impietosamente i terribili effetti sulla vita sociale di tutta la famiglia umana. Violenza e soggezione rispetto al Barone e alla sua forza economica, controllo delle anime del villaggio in mano al Padre spirituale aguzzino dei suoi figli, che lui vorrebbe come colombi ingenerando in realtà futuri mostri, e i figli del dottore vedovo e Padre padrone al punto di violentare la figlia e umiliare la sua seconda moglie trattata in una maniera tanto violenta come poche volte nella storia del cinema si è rappresentata la violenza dell'uomo sulla donna. C'è in tutta la falsa retorica di emancipazione femminile del 900 un fattore rimosso ancora oggi attualissimo. La violenza sul corpo della donna funzionale solo al piacere dell'appetito genitale maschile,e ad esso asservito. Le donne ancora oggi si uccidono, si picchiano o si promuovono pre la loro apparente verginità e idealizzazione. La donna vale solo per le carni sode e sensuali come dice senza mezze misure il Dottore alla sua seconda moglie. La tragedia e il male sono silenti come i campi di neve del tardo Romanticismo tedesco, tanto cari alla cultura del Terzo reich. Neve, alberi e vento forze mistico naturali e irrazionali sono dietro le quinte della rppresentazione della vita del villaggio. E' più di un film, è una ricostruzione antropologica di usi e costumi rurali, un'ottima documentata descrizione delle interconnessioni complesse delle società gerarchiche del 900. E in fondo di oggi. Heneke va molto a fondo e colpisce duro. Per stomaci molto forti e per intelletti fini e arguti. C'è bisogno di molta lettura della storia per comprendere fino in fondo il messaggio di questo stupefacente capolavoro sussurrato.
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viola96
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domenica 18 settembre 2011
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haneke non è bergman:ma quanto gli assomiglia!
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Un capolavoro.Haneke tenta di rivoluzionare le regole del cinema moderno,facendo scuola di stile e raccontando un qualcosa di complesso ed estremamente affascinante.Haneke continua la sua analisi sul conflitto della relazione tra uomini e donne(come in "La pianista") e in questo caso,anche bambini.Anno 1913,in un villaggio della Germania,fortemente religioso e di una monotonia che segna lo stile del regista,avvengono fatti strani ed inquietanti:Un attentato ad un medico,alcuni fatti accaduti a dei ragazzi,una serie di omicidi.Al centro del film ci sono i bambini:Tra modelli più o meno logici da seguire,la gioventù tedesca del pre-conflitto bellico,si presenta come una spungna,che assorbe,assorbe e assorbe la violenza del potere,e quando la fa evadere compie atti impossibili per molti,agli occhi dei bambini.
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Un capolavoro.Haneke tenta di rivoluzionare le regole del cinema moderno,facendo scuola di stile e raccontando un qualcosa di complesso ed estremamente affascinante.Haneke continua la sua analisi sul conflitto della relazione tra uomini e donne(come in "La pianista") e in questo caso,anche bambini.Anno 1913,in un villaggio della Germania,fortemente religioso e di una monotonia che segna lo stile del regista,avvengono fatti strani ed inquietanti:Un attentato ad un medico,alcuni fatti accaduti a dei ragazzi,una serie di omicidi.Al centro del film ci sono i bambini:Tra modelli più o meno logici da seguire,la gioventù tedesca del pre-conflitto bellico,si presenta come una spungna,che assorbe,assorbe e assorbe la violenza del potere,e quando la fa evadere compie atti impossibili per molti,agli occhi dei bambini.In un b/n che ricorda "Sussurri e Grida" di Bergman,Haneke non è interessato alla sovraesposizione del male nelle sue forme del conflitto,ovvero nel capire chi o cosa compia quelle azioni,ma bensì a fotografare una comunità di devastante realtà in quel periodo.Vediamo anche che,quando il medico del villaggio ipotizza che i bambini siano i responsabili degli inquietanti fatti,viene etichettato come folle dal pastore del paese.Questa scena è probabilmente la migliore del film perchè indica il devastante rifiuto alla realtà dell'uomo,che non riesce ad accettare che (forse) i suoi figli,i figli del suo vicino,degli altri nel paese siano responsabili di atti talmente crudeli,poichè vorrebbe dire ammettere di non averli educati nel giusto modo.Il film è tutto un flashback del racconto di un vecchietto,presente nel villaggio,che non si prende resonsabilità sulla realtà del mistero("Non so se la storia che voglio raccontarvi corrisponda o no al reale") e narra con calma piatta una storia tutta incentrata sulla comunità in stile "DogVille",e non su un mistero bergmaniano.Anche se gli echi a Bergman non sono pochi:Oltre al b/n che lo ricorda vivamente,lo sviluppo dei bambini come potenziali colpevoli e la figura della donna maltrattata,sono di puro spunto bergmaniano.Il film ha meritatamente vinto la Palma D'Oro a Cannes nel 2009,oltre che il Golden Globe come Film Straniero.Notevole anche il fondamento dei crimini:Il figlio di un barone viene seviziato; la finestra della camera di un bambino viene lasciata aperta e questo rischia di morire; scoppia un incendio nel fienile del; ed un altro bambino viene torturato.Probabilmente bisognerebbe arlare della piena educazione dell'autore del film,nel ricreare una comunità difficile e meschina,in cui l'educazione dei bambini viene espiata tramite una serie di punizione temporale."Il nastro bianco" è un titolo indicativo:Il nastro bianco era un nastro che si legava al braccio o ai capelli e che indicava l'innocenza del bambino,fino all'età adulta.Lo sguardo incuriosito e attento dei bambini,che scruta ogni minimo soffio di vento,in un clima di desolante attesa che riesce a conquistare,ad avvincere,ma anche a colpire lo spettatore dritto al cuore.Sono i classici pizzicotti di Haneke a dare uno sviluppo eclatante alla vicenda,altrimenti priva di ogni mordente.Meno "Funny Games" e più "La pianista",anche se ricorda Bergman e Von Trier,piazzandosi ad un livello intermedio di straordinaria vitalità.La voce off non è invadente nè rischia di portarsi addosso antipatie nel percorso,poichè la storia non può esistere.Tutto sembra un sogno straordinario,in cui essere trasportati grazie ad un Haneke che si fa vittima e carnefice.Invece di essere,come sembrerebbe un film neo-neo realista,è un esperimento di cinema onirico,oltre che un cult assoluto.E scusate se è poco.
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marcello desideri
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mercoledì 13 luglio 2011
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lento ma bellissimo
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Haneke firma il suo capolavoro. Un film indiscutibilmente non per tutti, ma un film basato su una bellezza d'immagine fuori dal comune. Girato in formato Flat, bianco e nero, ha una fotografia straordinaria. Ogni inquadratura è un'opera d'arte ed ogni inquadratura ha un elevato peso specifico. Il regista, mantiene fissa la macchina da presa e più del tempo necessario, evita un montaggio rapido, anzi lo rallenta in una sorta di slow-motion al naturale. Proprio per questo si concentra sulla magnificenza e sull'equilibrio che le immagini devono dare. Le scene diventano quadri, per quanto riguarda l'accuratezza visiva. La storia, pur profondissima, diventa quasi secondaria, superata da una qualità visiva tipica del cinema d'autore.
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Haneke firma il suo capolavoro. Un film indiscutibilmente non per tutti, ma un film basato su una bellezza d'immagine fuori dal comune. Girato in formato Flat, bianco e nero, ha una fotografia straordinaria. Ogni inquadratura è un'opera d'arte ed ogni inquadratura ha un elevato peso specifico. Il regista, mantiene fissa la macchina da presa e più del tempo necessario, evita un montaggio rapido, anzi lo rallenta in una sorta di slow-motion al naturale. Proprio per questo si concentra sulla magnificenza e sull'equilibrio che le immagini devono dare. Le scene diventano quadri, per quanto riguarda l'accuratezza visiva. La storia, pur profondissima, diventa quasi secondaria, superata da una qualità visiva tipica del cinema d'autore. Il dramma che si vive nella pellicola, sprofonda nelle cupe brame grigiastre del bianco e nero. E' un film che mai poteva essere girato a colori. Ed è un bianco e nero sfumato, non dai contorni netti, non contrastato. Il film implode su di esso, poiché non c'è ritmo, ma un lento ed inesorabile cammino verso il finale. Cornice a questo drammatico film, sono alcune scene di straziante dolore, come quella dell'uomo che dice alla propria donna di provare solo ribrezzo per lei. O il padre che dice al figlio che l'onanismo è un gravissimo peccato. Reticenze di un passato in cui superstizioni e vite grame, portavano a compiere atti di estrema meschinità.
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