laulilla
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venerdì 20 agosto 2010
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l'innocenza impossibile
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Alla vigilia della grande guerra, la vita apparentemente tranquilla degli abitanti di un paesetto della Prussia Orientale viene sconvolta da una serie di eventi inattesi, alcuni dei quali di efferata crudeltà, che fanno emergere un'insofferenza profonda nei confronti del sistema di valori intorno ai quali la piccola comunità si era organizzata.
Il barone e il pastore luterano erano da sempre considerati i fondamenti della vita del villaggio: dal primo dipendeva il lavoro e il sostentamento delle famiglie; dal secondo provenivano gli insegnamenti morali che, indicando a tutti la strada della salvezza, rendevano possibile una convivenza operosa e ordinata.
Un'educazione crudelmente rigorista, impartita ai propri figli, crea nella famiglia del pastore un'aria irrespirabile, e provoca nei bambini doppiezza e odio sordo, nonché quel desiderio di rivalsa che sarà all'origine, probabilmente, di molti degli oscuri episodi violenti che il film evoca.
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Alla vigilia della grande guerra, la vita apparentemente tranquilla degli abitanti di un paesetto della Prussia Orientale viene sconvolta da una serie di eventi inattesi, alcuni dei quali di efferata crudeltà, che fanno emergere un'insofferenza profonda nei confronti del sistema di valori intorno ai quali la piccola comunità si era organizzata.
Il barone e il pastore luterano erano da sempre considerati i fondamenti della vita del villaggio: dal primo dipendeva il lavoro e il sostentamento delle famiglie; dal secondo provenivano gli insegnamenti morali che, indicando a tutti la strada della salvezza, rendevano possibile una convivenza operosa e ordinata.
Un'educazione crudelmente rigorista, impartita ai propri figli, crea nella famiglia del pastore un'aria irrespirabile, e provoca nei bambini doppiezza e odio sordo, nonché quel desiderio di rivalsa che sarà all'origine, probabilmente, di molti degli oscuri episodi violenti che il film evoca.
Nonostante l'ossessiva ricerca dell'innocenza (simbolicamente rappresentata dal nastro bianco imposto ai propri figli dal pastore, dopo una buona dose di frustate, ma anche dalla neve che si posa su tutto il villaggio quasi a coprirne l'inconfessabile degrado morale), l'autorità fondata sull'arbitrio comincia a traballare: ne farà in primo luogo le spese un terzo autorevole personaggio, il medico, uomo sadico, padrone assoluto della propria amante e infemiera (sua complice in nefandezze innominabili), e della propria figlia nei confronti della quale egli esercita un' incestuosa violenza. Il film mette in luce come le vicende più sordide e ripugnanti abbiano come vittime le donne, i piccoli e tutte le creature più fragili, che non sono in grado di reagire ai soprusi.
Oggetto del racconto di Haneke, anche in questo film (che ci si presenta in un insolito e bellissimo bianco e nero, ottenuto dalla pellicola desaturata), come nei suoi precedenti, è l'indagine sul male, sulle sue origini e sulle sue possibili conseguenze, che egli ci racconta con l'impassibilità di uno scienziato, prendendone, perciò, implicitamente le distanze. Il nesso fra una gerarchia sociale rigida, fondata sull'idolatria dell'obbedienza, in sintonia con una delle possibili letture di Lutero, e i successivi sviluppi nazisti della storia tedesca, è stato accennato dal regista in un'intervista, e anche nel film viene dichiarato possibile, all'inizio, dall'ormai anziano maestro del paesetto, che facendo riemergere dall'oscurità del passato, le scene a cui, sgomento, aveva assistito da giovane, si chiede se fatti come quelli che racconterà possano fornire una qualche spiegazione ai futuri sviluppi della storia tedesca. Questo nesso è possibile, ma non necessario, in primo luogo per la molteplicità delle cause dell'affermarsi del nazismo; si può dire, tuttavia che in un ambiente umanamente così povero e spietato come quello descritto dal regista, il nazismo avrebbe trovato un ottimo humus per crescere e diffondersi.
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mary289
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martedì 27 luglio 2010
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cuore di tenebra nella germania d'anteguerra
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Il regista M. Haneke ci proietta in un’atmosfera surreale e allo stesso tempo familiare. Sembra quasi un “ritorno alle origini” conradiano ma inscritto in un paesaggio rurale tedesco di inizio ‘900. Il film scava nell’animo umano, andando a ricercare i più profondi istinti che lo muovono. L’analisi è compiuta su un gruppo di ragazzi, una categoria che “dovrebbe” essere esente da ogni pensiero malvagio; un condizionale sul quale il regista gioca magistralmente, traendo conclusioni sui comportamenti e come questi possano spiegare uno dei momenti più bui della storia umana. Ottimo film, anche se a tratti un po’ lento, impreziosito dall’uso della tecnica del b/n.
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Il regista M. Haneke ci proietta in un’atmosfera surreale e allo stesso tempo familiare. Sembra quasi un “ritorno alle origini” conradiano ma inscritto in un paesaggio rurale tedesco di inizio ‘900. Il film scava nell’animo umano, andando a ricercare i più profondi istinti che lo muovono. L’analisi è compiuta su un gruppo di ragazzi, una categoria che “dovrebbe” essere esente da ogni pensiero malvagio; un condizionale sul quale il regista gioca magistralmente, traendo conclusioni sui comportamenti e come questi possano spiegare uno dei momenti più bui della storia umana. Ottimo film, anche se a tratti un po’ lento, impreziosito dall’uso della tecnica del b/n.
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misesjunior
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venerdì 9 luglio 2010
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hitler e i tedeschi
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C'era un filosofo tedesco che ha lasciato un testo (parte della sua più ampia opera)intitolato "Hitler e i tedeschi". Si tratta di Eric Voegelin. Leggendolo si può capire la superficialità e forse l'apriorismo ideologico di questo film, là dove lo si vuole interpretare come capace di evidenzire i semi del nazismo. Troppo facile e troppo fuorviante costruire una finzione ideologica al posto della complessità della Storia.
Invece il film, spogliato di pretese storico-euristiche, è un bel film, di grande efficacia emotiva e che spinge a riflettere sull'ieri e l'oggi, ma purtroppo dando una traccia falsa e direi quasi compiacente nei riguardi della pigrizia mentale, dei pregiudizi, e dell'ignoranza dello spettatore.
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nick castle
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sabato 12 giugno 2010
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bel film, ma troppo ininterpretabile...
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Il nastro bianco. Opera ben congeniata di Michael Haneke, in cui la chiusura mentale e ideologica e la violenza degli abitanti di un paesino della Germania, fanno da padrona. Il piccolo paese contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, che l'isolamento dalla grande città protegge dalle cose brutte del mondo, è molto più violento e brutale di quello che ci si potrebbe aspettare. La voce narrante, ovvero quella del maestro di scuola del villaggio, è sincera, senza peccato, ancora speranzosa, mentre tutti gli altri, uomini abominevoli nel loro comportamento, vengono puniti attraverso la loro prole. Il nastro bianco dei figli del pastore, diventerà il simbolo di vergogna immeritata.
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Il nastro bianco. Opera ben congeniata di Michael Haneke, in cui la chiusura mentale e ideologica e la violenza degli abitanti di un paesino della Germania, fanno da padrona. Il piccolo paese contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, che l'isolamento dalla grande città protegge dalle cose brutte del mondo, è molto più violento e brutale di quello che ci si potrebbe aspettare. La voce narrante, ovvero quella del maestro di scuola del villaggio, è sincera, senza peccato, ancora speranzosa, mentre tutti gli altri, uomini abominevoli nel loro comportamento, vengono puniti attraverso la loro prole. Il nastro bianco dei figli del pastore, diventerà il simbolo di vergogna immeritata. Nonostante tutto, il film ha degli ottimi contributi tecnici, la bella fotografia monocromatica di Christian Berger e gli effetti digitali invisibili (la caduta da cavallo del dottore, tutta digitale e il fuoco digitale in cui è avvolta la segheria nella scena dell'incendio. Più di tre stelle non si merita, non ha morale, non colpisce, non affascina, tuttalpiù incuriosice, e lascia insoddisfatti nel finale, che lascia il dubbio della colpevolezza degli atti vendicativi avvenuti nel villaggio. Ritmo lentissimo e montaggio super-sobrio.
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[+] come sarebbe non ha morale?
(di gabriella)
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dario
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sabato 1 maggio 2010
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cupo
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Ambientazione perfetta, ma ritmo da sbadiglio. Il regista la tira troppo alla lunga e si compiace di una cupezza tutta di maniera. Musi lunghi, indugi, semplicismi, morale scontata. Attori bravi, ma inarticolati, spenti. Nulla a che vedere con Bergman.
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eminguei
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venerdì 30 aprile 2010
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i contenuti sono rimasti nella testa dell'autore
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Il film s'intuisce voglia trattare temi alti, ma quasi mai li attua a mio modo di vedere. Una trattazione cinematografica superficiale, noiosa, cui dietro sta un soggetto denso ma che resta tale solo nella mente dell'autore. Lo considero il tipico film che deve l'enorme successo non tanto alla visione, quanto semmai alle parole dette nelle conferenze per la stampa dei festival. A causa della prolissità non lo consiglierei granchè neanche ai patiti come me del b/n. Sorprendenti i bassissimi incassi italiani che leggo sul sito. Forse il passaparola non rifletteva gli entusiastici commenti che leggo qui sopra?
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m.d.c
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mercoledì 21 aprile 2010
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la perdita dell'innocenza secondo haneke
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Un piccolo villaggio tedesco senza nome, una serie di episodi apparentemente inspiegabili (ferimenti,incendi,torture, sparizioni), la ricerca senza sbocco di uno o più colpevoli, l'invito più o meno consapevole al sospetto, alla delazione, infine l'irrompere della guerra (fatto che rimane sullo sfondo, quasi a sottolinearne l'inevitabilità per un'umanità così distorta). Questa, sommariamente, la cronologia degli eventi ne Il Nastro Bianco, ultimo film di M. Haneke, autore celebrato e detestato de La Pianista e Niente da nascondere. Che il regista austriaco avesse una personale, ossessiva, visione del male risultava evidente dai suoi precedenti film,anch'essi segnati da violenze fisiche e psicologiche(spesso, ed in modo opportuno, solo suggerite).
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Un piccolo villaggio tedesco senza nome, una serie di episodi apparentemente inspiegabili (ferimenti,incendi,torture, sparizioni), la ricerca senza sbocco di uno o più colpevoli, l'invito più o meno consapevole al sospetto, alla delazione, infine l'irrompere della guerra (fatto che rimane sullo sfondo, quasi a sottolinearne l'inevitabilità per un'umanità così distorta). Questa, sommariamente, la cronologia degli eventi ne Il Nastro Bianco, ultimo film di M. Haneke, autore celebrato e detestato de La Pianista e Niente da nascondere. Che il regista austriaco avesse una personale, ossessiva, visione del male risultava evidente dai suoi precedenti film,anch'essi segnati da violenze fisiche e psicologiche(spesso, ed in modo opportuno, solo suggerite). Quello che sembrava mancare invece ad Haneke era una capacità di rappresentazione che non si limitasse ad essere solo, semplicisticamente, descrittiva, ma che riuscisse a dare ai suoi personaggi una dimensione psicologica credibile. Se questo limite ne Il Nastro Bianco è parzialmente riscattato lo si deve in gran parte all'ambientazione (l'inizio del 900), che rende lo sguardo freddo, oggettivizzante e spesso calcolatore del regista più funzionale alla narrazione. In una società patriarcale, arcaica e isolata infatti certe reticenze, imposizioni familiari e forzature comportamentali risultano naturali, e senz'altro molto più credibili di quando (ad esempio)vengono calate nella Parigi contemporanea. Ecco quindi che certi personaggi paradigmatici, il pastore, il barone, il dottore (tutti nominati per titolo come nel Salò di Pasolini)divengono realisticamente portatori di un male contagioso che nasce dalla tradizione, dalla differenza di classe o dall'edonismo.
Inoltre,lo stesso Haneke inserisce almeno un paio di scene da ricordare(come il dialogo fra il bambino e la sorella sulla morte) che servono a caratterizzare meglio quella perdita dell'innocenza fatta di rivelazioni che spingono l'infanzia nell'abisso della consapevolezza. In fondo anche per il Nastro Bianco vale il vecchio adagio:"il sonno della ragione genera mostri". Basta per una palma d'oro?
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gabriella
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lunedì 29 marzo 2010
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precisazione
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Con questa intendo fare una correzione su ciò che ho scritto, in quanto la biografia di Ingmar Bergman è "la lanterna magica", e non La lanterna blu. Inoltre chi conosce il regista svedese, conosce anche le sue simpatie giovanili per il nazismo, probabilmente conseguenza del tipo di educazione ricevuta. In riferimento al film di Haneke e alle affermazioni che vi sia un legame con il nazismo, a mio avviso è verosimile, come non è un caso che l'ambientazione della vicenda si svolga in un villaggio tedesco. Haneke conosce molto bene la complessità dell'animo umano e lo scopo del regista è sempre stato quello di scuotere gli spettatori, di "violentarli", per porli di fronte a realtà scomode e costringerli a riflettere sulle condizioni che si creano all'interno di certe dinamiche e modelli educativi.
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Con questa intendo fare una correzione su ciò che ho scritto, in quanto la biografia di Ingmar Bergman è "la lanterna magica", e non La lanterna blu. Inoltre chi conosce il regista svedese, conosce anche le sue simpatie giovanili per il nazismo, probabilmente conseguenza del tipo di educazione ricevuta. In riferimento al film di Haneke e alle affermazioni che vi sia un legame con il nazismo, a mio avviso è verosimile, come non è un caso che l'ambientazione della vicenda si svolga in un villaggio tedesco. Haneke conosce molto bene la complessità dell'animo umano e lo scopo del regista è sempre stato quello di scuotere gli spettatori, di "violentarli", per porli di fronte a realtà scomode e costringerli a riflettere sulle condizioni che si creano all'interno di certe dinamiche e modelli educativi. Nel suo bianco e nero accecante, si può tuttavia scorgere, ad occhio nudo, l'orrore di certe scelte.
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gabriella
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domenica 28 marzo 2010
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l'innocenza perduta
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Immersi in un bianco e nero rigoroso e tagliente, osserviamo, attraverso gli occhi dei bambini una serie di drsmmatici e inquietanti avvenimenti che accadono in un villaggio tedesco alla vigilia della prima guerra mondiale. Il paese rappresentato sembra quasi quello di Dreyer in "Ordet", l'erba mossa dal vento e la campagna , fotografata a perdita d'occhio ma che racchiude un piccolo universo, una comunità, dove i bambini sono gli ultimi a poter esprimere la propria voce, dove le donne a loro volta sono assoggettate al volere del marito e i contadini al barone. Tra tutti emerge la famiglia del pastore, severo con i propri figli al punto d'infliggere loro drastiche punizioni corporali alla più piccola disobbedienza e costringendoli a portare un nastro bianco che simboleggia la purezza e l'innocenza, e come non pensare allora ai film di Bergman, o alla sua biografia.
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Immersi in un bianco e nero rigoroso e tagliente, osserviamo, attraverso gli occhi dei bambini una serie di drsmmatici e inquietanti avvenimenti che accadono in un villaggio tedesco alla vigilia della prima guerra mondiale. Il paese rappresentato sembra quasi quello di Dreyer in "Ordet", l'erba mossa dal vento e la campagna , fotografata a perdita d'occhio ma che racchiude un piccolo universo, una comunità, dove i bambini sono gli ultimi a poter esprimere la propria voce, dove le donne a loro volta sono assoggettate al volere del marito e i contadini al barone. Tra tutti emerge la famiglia del pastore, severo con i propri figli al punto d'infliggere loro drastiche punizioni corporali alla più piccola disobbedienza e costringendoli a portare un nastro bianco che simboleggia la purezza e l'innocenza, e come non pensare allora ai film di Bergman, o alla sua biografia. Chi ha letto "La lanterna blu", sa a cosa mi riferisco; Ingmar era figlio di un pastore protestante e le tracce della rigida educazione ricevuta dal genitore lo ha accompagnato per tutta la vita, segnandone in particolar modo l'infanzia.In egual modo i bambini protagonisti del film di Hanekee, non potendo ribellarsi apertamente a una disciplina cui sono imprigionati, diventano protagonisti di alcuni fatti ispiegabili, il medico che cade da cavallo a causa di un filo teso sul terreno, una contadina che muore in una segheria , il figlio del barone lasciato livido e pesto, o quello della levatrice brutalmente sfigurato. A far chiarezza sulle triste vicende, lo spettatore è accompagnato dalla voce narrante fuori campo del maestro del villaggio, che a distanza di anni ricorda la tensione di quegli anni.
LUi ha capito che i bambini non sono così innocenti ed estranei ai fatti, ma sa anche che certe domande non otterranno mai risposta, coperte dal silenzio e dalla complicità dell'intero villaggio, primo tra tutti il pastore,disposto a vedere la pagliuzza negli occhi dei loro figli, ma non la trave e ostinandosi a mantenere una purezza di facciata, senza indagare la tanto celebrata verità.
Il film è sottolineato da un silenzio raggelante, da il bianco di un'innocenza che scurisce via via, fino al nero della malvagità.
Film grandioso, assolutamente da vedere.
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[+] si!
(di carlo vecchiarelli )
[ - ] si!
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giancojazz
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domenica 28 marzo 2010
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mediocre
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Si parla di una ristretta comunità dove imperversa la violenza in varie forme: abusi su munori, ritorsioni, intimidazioni, pestaggi e suicidi.
Il racconto è del tutto convenzionale al punto da esasperare il carattere dei personaggi trasformandoli in caricature; la narrazione si muove in modo confuso ed alla fine non si risolve completamente, ciò appare più una scelta di comodo che stilistica.
Vi sono alcuni bei paesaggi, la fotografia e buona ma il bianco e nero risulta nuovo, patinato ed artificioso. Tuttavia farlo a colori avrebbe tolto originalità ed avrebbe scoperto i punti deboli del film: un inizio ed un finale privi di forza, dialoghi mediocri e faziosi.
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Si parla di una ristretta comunità dove imperversa la violenza in varie forme: abusi su munori, ritorsioni, intimidazioni, pestaggi e suicidi.
Il racconto è del tutto convenzionale al punto da esasperare il carattere dei personaggi trasformandoli in caricature; la narrazione si muove in modo confuso ed alla fine non si risolve completamente, ciò appare più una scelta di comodo che stilistica.
Vi sono alcuni bei paesaggi, la fotografia e buona ma il bianco e nero risulta nuovo, patinato ed artificioso. Tuttavia farlo a colori avrebbe tolto originalità ed avrebbe scoperto i punti deboli del film: un inizio ed un finale privi di forza, dialoghi mediocri e faziosi.
In particolare l'inizio del film si ha con una narrazione fuori campo mentre ancora non sono entrate la musica e le immagini; nel finale invece sempre la voce fuori campo conclude in modo del tutto sbrigativo il racconto mentre una lunga dissolvenza introduce i titoli di coda. Non c'è alcuna enfasi né in ingresso né in uscita e la lunga parte centrale ne risente.
Infine è abbastanza irritante l'uso strumentale che viene fatto dei bambini, tanto per batter cassa.
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