pgakapg
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sabato 12 dicembre 2009
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angoscia.
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Molto difficile da seguire per un pubblico abituato al cinema di Hollywood, il film mi ha ricordato un certo cinema di Herzog.
Sicuramente ben girato, magistrale il bianco e nero, con un cast di giovani alle prime armi che reggono benissimo alla pressione ed esprimono nei loro occhi le paure e le ansie del un periodo difficile vissuto dai protagonisti. Non si ravvisano i prodromi del nazismo, che nascerà solo dopo la grande guerra, così come il fascismo. Si sopportano invece a fatica gli orrori di una società contadina ed ignorante, schiava di false credenze, bigotta e corrotta nella morale e nei costumi. Fatti simili sono accaduti in tutta Europa. Arrivati al finale, che non conclude nulla delle vicende, si lascia supporre che la guerra spazzerà via il male, sostituendolo con altro male però.
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Molto difficile da seguire per un pubblico abituato al cinema di Hollywood, il film mi ha ricordato un certo cinema di Herzog.
Sicuramente ben girato, magistrale il bianco e nero, con un cast di giovani alle prime armi che reggono benissimo alla pressione ed esprimono nei loro occhi le paure e le ansie del un periodo difficile vissuto dai protagonisti. Non si ravvisano i prodromi del nazismo, che nascerà solo dopo la grande guerra, così come il fascismo. Si sopportano invece a fatica gli orrori di una società contadina ed ignorante, schiava di false credenze, bigotta e corrotta nella morale e nei costumi. Fatti simili sono accaduti in tutta Europa. Arrivati al finale, che non conclude nulla delle vicende, si lascia supporre che la guerra spazzerà via il male, sostituendolo con altro male però. Muore anche la speranza.
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jayan
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martedì 1 dicembre 2009
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il capolavoro di haneke sull'inizio del nazismo
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E' il capolavoro del regista Haneke sugli albori del nazismo in Germania, sull'odio che già nasceva nei bambini e nei ragazzi oppressi da una società dura e punitiva, quell'odio che negli anni seguenti sarebbe sfociato negli ideali violenti e razzisti di Hitler e dei militari e civili che lo sostennero e gli permisero di perpetrare lo sterminio del popolo ebraico e la seconda guerra mondiale con distruzioni e morti. La sua analisi della società parte ed è confinata in un villaggio tedesco, dove figure come il dottore, il pastore e il maestro rappresentano quell'educazione con metodi violenti (eccetto il maestro, che infatti non aderirà agli ideali nazisti ma lascerà il suo ruolo di educatore, non potendo accettare quel modo di insegnare) che ha incenerito l'innocenza nei fanciulli e li ha forgiati alla violenza e forse anche loro a commettere azioni turpi e malevole - anche se il finale viene lasciato non chiaro, in quanto il regista, pur rivelando il colpevole di queste azioni, lascia un'ombra sui ragazzi e sui bambini, colpevoli almeno di omertà e complicità di tali reati.
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E' il capolavoro del regista Haneke sugli albori del nazismo in Germania, sull'odio che già nasceva nei bambini e nei ragazzi oppressi da una società dura e punitiva, quell'odio che negli anni seguenti sarebbe sfociato negli ideali violenti e razzisti di Hitler e dei militari e civili che lo sostennero e gli permisero di perpetrare lo sterminio del popolo ebraico e la seconda guerra mondiale con distruzioni e morti. La sua analisi della società parte ed è confinata in un villaggio tedesco, dove figure come il dottore, il pastore e il maestro rappresentano quell'educazione con metodi violenti (eccetto il maestro, che infatti non aderirà agli ideali nazisti ma lascerà il suo ruolo di educatore, non potendo accettare quel modo di insegnare) che ha incenerito l'innocenza nei fanciulli e li ha forgiati alla violenza e forse anche loro a commettere azioni turpi e malevole - anche se il finale viene lasciato non chiaro, in quanto il regista, pur rivelando il colpevole di queste azioni, lascia un'ombra sui ragazzi e sui bambini, colpevoli almeno di omertà e complicità di tali reati. E' un film perfetto, in stile bergmaniano, anche se chiaramente sviluppato in una sua chiave originale e sapiente, volutamente in bianco e nero per aumentare l'atmosfera cupa di quei giorni. E' un gioiello del cinema internazionale che ha meritato pienamente la palma d'oro a Cannes. Da non perdere!
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eaglolo
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lunedì 30 novembre 2009
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haneke non delude le aspettative
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Film decisamente non per tutti. Molto molto bello!
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(di marialop)
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carmine antonello villani
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martedì 24 novembre 2009
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le origini del male in un villaggio di dannati
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Germania 1913, i bambini di un villaggio sono educati con il massimo rigore e puniti per ogni mancanza. Torna il senso di colpa della pianista immortalata dalla Huppert, i genitori diventano responsabili della crescita deviata di figli cresciuti con il terrore della verga. Mortificazione ed incesto, Michael Haneke scrive la sceneggiatura di un dramma d’inizio secolo scorso pensando a “Fanny ed Alexander”: c’è fuoco sotto la cenere, perché la rigida educazione nasconde crimini e misfatti di dannati che hanno smarrito l’umanità inseguendo la purezza. Cupo, anzi cupissimo, “Il nastro bianco” sovverte la morale cattolica e mette in scena le origini del nazismo partendo da una comunità che fa della disciplina l’unico rimedio per la salvezza.
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Germania 1913, i bambini di un villaggio sono educati con il massimo rigore e puniti per ogni mancanza. Torna il senso di colpa della pianista immortalata dalla Huppert, i genitori diventano responsabili della crescita deviata di figli cresciuti con il terrore della verga. Mortificazione ed incesto, Michael Haneke scrive la sceneggiatura di un dramma d’inizio secolo scorso pensando a “Fanny ed Alexander”: c’è fuoco sotto la cenere, perché la rigida educazione nasconde crimini e misfatti di dannati che hanno smarrito l’umanità inseguendo la purezza. Cupo, anzi cupissimo, “Il nastro bianco” sovverte la morale cattolica e mette in scena le origini del nazismo partendo da una comunità che fa della disciplina l’unico rimedio per la salvezza. Vicende inquietanti che si consumano nell’indifferenza generale ma anche delitti irrisolti che sembrano ricollegarsi ad un’infanzia malata, per Haneke l’anticlericalismo è l’unico rimedio alla violenza perpetrata in nome della Bibbia. Con il bianco e nero, che è prima di tutto scelta stilistica, il regista tedesco lancia la sua crociata contro un’educazione repressiva –da incubo Burghart Klaußner nel ruolo del pastore protestante- che fa rabbrividire persino i seguaci della severità. Monito per le future generazioni: l’ordine a tutti i costi genera mostri, dietro lo sguardo del piccolo Martin è possibile scorgere la paura ma anche l’incoscienza di una generazione votata all’autodistruzione.
Carmine Antonello Villani
(Salerno)
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cicciopanza
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domenica 22 novembre 2009
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merita la palma d'oro
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Un film che spiega la nascita del nazismo come prodotto di un tipo di società feudale e rigidamente diviso in classi sociali in cui vige una dura e sadica educazione che reprime istinti che troveranno poi valvola di sfogo in modo deviato e violento: una violenza che ha come obiettivo il diverso, il non conforme.
Questa interpretazione delle cause del nazismo è stata premiata al festival di Cannes nell'anno 2009.
Un film che fa riflettere. Da vedere.
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(di luana)
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olgadik
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giovedì 19 novembre 2009
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ieri come oggi (quasi)
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Secondo te, ci sarà un motivo se in un periodo di crisi economica e di idee come l'attuale, mentre escono megaproduzioni costose ed inutili, qualche piccolo film riesce a tenerti quasi ferma sulla sedia per due ore e venti, preda dell’incantesimo delle immagini e della storia? A questa categoria secondo me appartiene Il nastro bianco di Michael Haneke, vincitore quest’anno della palma d’oro a Cannes. L’introverso regista austro-tedesco nasconde dietro la faccia impenetrabile da asceta medioevale una visone dell’uomo che non contempla riscatto alla sua disperante malvagità, spesso celata nell’apparenza normale del quotidiano e che non risparmia nessuno, neppure i bambini. Siamo in un villaggio nella Germania del nord, ai primi del secolo, in prossimità della guerra ‘15-‘18.
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Secondo te, ci sarà un motivo se in un periodo di crisi economica e di idee come l'attuale, mentre escono megaproduzioni costose ed inutili, qualche piccolo film riesce a tenerti quasi ferma sulla sedia per due ore e venti, preda dell’incantesimo delle immagini e della storia? A questa categoria secondo me appartiene Il nastro bianco di Michael Haneke, vincitore quest’anno della palma d’oro a Cannes. L’introverso regista austro-tedesco nasconde dietro la faccia impenetrabile da asceta medioevale una visone dell’uomo che non contempla riscatto alla sua disperante malvagità, spesso celata nell’apparenza normale del quotidiano e che non risparmia nessuno, neppure i bambini. Siamo in un villaggio nella Germania del nord, ai primi del secolo, in prossimità della guerra ‘15-‘18. La locale comunità di agricoltori è dominata da un barone di stampo medioevale che la sfrutta, nonché da un’atmosfera rigida e glaciale legata al rigore protestante. C’è un pastore che non conosce esitazioni o dubbi nel fare applicare la legge divina anche ai suoi bambini; c’è un medico che dietro la sua scienza nasconde un pullulare di vizi e un sostanziale disprezzo della donna, tratto del resto comune a tutta la società del tempo che riconosce come unica autorità il padre. Le donne non esistono se non come carne da violare o come macchine per fare figli; unica eccezione a tale rigida stratificazione nel film la baronessa, un personaggio che accenna una qualche ribellione nei confronti del marito tronfio e insignificante. Accanto ai padri, veri protagonisti nella storia sono i figli bambini o appena affacciatisi all’adolescenza. Sui loro volti biondi, sui nasetti camusi, negli occhi verdi e spesso cerchiati di nero, nessuna espressione di calore e di partecipazione. Essi vivono nella paura delle punizioni corporali, nel rispetto totale dell’autorità paterna, covando frustrazioni e inconfessabili sentimenti. Solo a momenti nei volti dei più piccoli compare l’orrore di quello che intuiscono senza capirlo (vedi scena in cui il figlio piccolissimo del dottore “scopre” le pratiche incestuose del padre verso la sorellina). Si materializza qua e là la vendetta, supponibile ma non dichiarata, dei più grandicelli, sfogo di vittime su altre vittime. Nella parte più bassa della piramide sociale si agitano miseria e rassegnazione: l’unico tentativo di rivolta allo sfruttamento ad opera di un giovane agricoltore sfocerà nel suicidio del padre anziano, privato del lavoro e della possibilità di mantenere i suoi. Intanto nell’ordinata casa del pastore la minima trasgressione dei due ragazzi adolescenti viene stroncata con insopportabile durezza. E al loro braccio ricompare il nastro bianco (da cui il titolo), simbolo in passato della purezza e ora segnale di peccato. Il tutto è realizzato in un bianco e nero bellissimo, denso di forti chiaroscuri negli interni, mentre la stagione luminosa fuori è angosciante quasi quanto il silenzio della neve invernale. Figurine di donne e ragazzi sembrano uscite da quadri fiamminghi, i volti delle comparse sono scelti con cura come quelli dei protagonisti, gli attori sono bravissimi, professionisti e non (come i bambini). Sullo sfondo aleggia il cinema in bianco e nero del grande Bergman col suo linguaggio denso e cupo. Inevitabile infine pensare a germi di razzismo che possono covare in una generazione abituata a credere e a implodere odio e desiderio di vendetta, ieri come oggi.
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ralphscott
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giovedì 19 novembre 2009
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haneke ha esaurito i bonus
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Con quest'ultimo supplizio inflitto agli spettatori,il regista ha davvero superato la misura. Tra i malcapitati inevitabilmente irretiti da questo assurdo esercizio di stile,in lotta col sonno e la noia,mi son chiesto come si può dargli la Palma d'oro. Poi ho pensato che si tratta di francesi,notoriamente "bastiancontrari". Eppure, "La pianista" già metteva a dura prova,ma era salvato dalla Hupper e dalla Girardot. Con "Caché" assistevo allo spettacolo più noioso mai visto. Con quest'ultimo ho chiuso con Haneke. L'inizio é promettente (subito spero in un capolavoro come "Il villaggio dei dannati"),ma presto le premesse naufragano. Non bastano alcuni attori-bambini dall'espressività eccezzionale,il bianco e nero che "fa tanto figo".
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Con quest'ultimo supplizio inflitto agli spettatori,il regista ha davvero superato la misura. Tra i malcapitati inevitabilmente irretiti da questo assurdo esercizio di stile,in lotta col sonno e la noia,mi son chiesto come si può dargli la Palma d'oro. Poi ho pensato che si tratta di francesi,notoriamente "bastiancontrari". Eppure, "La pianista" già metteva a dura prova,ma era salvato dalla Hupper e dalla Girardot. Con "Caché" assistevo allo spettacolo più noioso mai visto. Con quest'ultimo ho chiuso con Haneke. L'inizio é promettente (subito spero in un capolavoro come "Il villaggio dei dannati"),ma presto le premesse naufragano. Non bastano alcuni attori-bambini dall'espressività eccezzionale,il bianco e nero che "fa tanto figo". E poi? Leggo che i commenti parlano di malvagità,violenza,disagio,e chi più ne ha più ne metta. Ma tutto ciò giustifica il film? Stancamente,"Il nastro bianco" si trascina verso un finale involuto,coerente con il film tutto. Se vogliamo consigliarne la visione,bene,facciamolo,ma non prima di essersi procurati un gatto a nove code e una manciata di ceci sui quali inginocchiarsi davanti allo schermo. Da masochisti.
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clavius
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giovedì 19 novembre 2009
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haneke: l'autore esibizionista
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La visione dell'ultima palma d'oro mi ha lasciato alquanto perplesso. Nella vicenda raccontata attraverso la luce di un morbido bianco e nero senza contrasti, si assiste impotenti alla rappresentazione di un male sottile ed indecifrabile. Una malvagità ottusa ed imprevedibile che inquina silenziosamente e senza ragione l'esistenza di tutti i personaggi. Le vittime come i carnefici sembrano legati a doppio filo e non paiono avere strumenti o armi per contrastare la discesa morale della quale siamo spettatori.
Haneke si conferma regista attento nella descrizione degli attriti che dominano le dinamiche sociali e/o psicologiche. E' presente però anche in questa pellicola il peccato originale che caratterizza un po' tutta la sua produzione.
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La visione dell'ultima palma d'oro mi ha lasciato alquanto perplesso. Nella vicenda raccontata attraverso la luce di un morbido bianco e nero senza contrasti, si assiste impotenti alla rappresentazione di un male sottile ed indecifrabile. Una malvagità ottusa ed imprevedibile che inquina silenziosamente e senza ragione l'esistenza di tutti i personaggi. Le vittime come i carnefici sembrano legati a doppio filo e non paiono avere strumenti o armi per contrastare la discesa morale della quale siamo spettatori.
Haneke si conferma regista attento nella descrizione degli attriti che dominano le dinamiche sociali e/o psicologiche. E' presente però anche in questa pellicola il peccato originale che caratterizza un po' tutta la sua produzione. Il suo non è rigore stilistico ma rigidità (intesa anche come temperatura emotiva che si respira guardando i suoi film). Il cinema di Haneke è freddo e l'autoralità esibita diventa fastidiosa se ci si accorge che l'operazione non è sentita nemmeno da chi l'ha prodotta. Non so spiegarmi il perchè, ma il lavoro di sottrazione operato da Haneke, non ha su di me lo stesso impatto che ha per esempio il cinema di Bresson. Sulla carta questo film dovrebbe funzionare, ma a distanza di alcuni giorni mi è rimasto ben poco dentro. Se la rarefazione era l'obiettivo, allora il film è riuscito, ma mi resta difficile appassionarmi ad un quadro tanto pessimista, nel quale la tragedia umana è rappresentata senza nessun trasporto tranne quello meramente intellettuale.
Mi è parso in sostanza un film poco autentico, un po' presuntuoso, molto compiaciuto nel suo "intellettualismo", e nonostante l'eleganza formale che lo caratterizza in alcune sue parti, resta un film senza tesi che lascia indifferenti esattamente come indifferentemente ha raccontato il male.
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fleda
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lunedì 16 novembre 2009
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bambini violentati
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Questo mi ha colpito del film: la violenza psicologica, ma non solo, immane esercitata su ragazzini/e alla soglia dell'adolescenza (che coincide poi col togliere il nastro bianco),nella famiglia del Pastore. Sulle fanciulle e sulle donne, in altre famiglie. Perfino la fidanzata del maestro era stata castrata a tal punto da aver paura di un innocente momento di intimità.Anche la Baronessa, con diverso stile, si sente in parte succube del marito.In una generale abbiezione, centrale rimane comunque la figura del Pastore e dei suoi figli e proprio in questo buco nero Haneke fa intravedere qualcosa del possibile futuro nazista. Lo fa soprattutto figurativamente:per esempio il nastro bianco rimanda alla purezza ariana.
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Questo mi ha colpito del film: la violenza psicologica, ma non solo, immane esercitata su ragazzini/e alla soglia dell'adolescenza (che coincide poi col togliere il nastro bianco),nella famiglia del Pastore. Sulle fanciulle e sulle donne, in altre famiglie. Perfino la fidanzata del maestro era stata castrata a tal punto da aver paura di un innocente momento di intimità.Anche la Baronessa, con diverso stile, si sente in parte succube del marito.In una generale abbiezione, centrale rimane comunque la figura del Pastore e dei suoi figli e proprio in questo buco nero Haneke fa intravedere qualcosa del possibile futuro nazista. Lo fa soprattutto figurativamente:per esempio il nastro bianco rimanda alla purezza ariana.Ma anche: la negazione del male rimanda al mito della razza eletta, al di là del bene e del male di discendenza nietzschiana(quindi sbarazzarsi della "mafia" ebraica subnormali etc..).E presentando crudelissimi modelli inflitti con la benedizione di "DIO" che produrrebbero una sorta di "assolutismi" mentali.La tesi, per quanto possa essere chiaramente parziale convince e non convince. Rimane sospesa così come sospesa è l'atmosfera del film.
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sabato 14 novembre 2009
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l'orrore è nella negazione.
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1913, Germania, nella comunità rurale di Eichwald l’impassibile facciata algida e moralista comincia ad incrinarsi, sotto la pressione dei suoi orrori interiori. Si avvertono i prodromi della guerra che verrà a breve e di quella futura, che sarà alimentata da quelli che sono ancora bambini, ma mostrano già l’incancrenirsi delle colpe dei padri.
La freddezza che si avverte in Haneke non è solo nei suoi film, nel rapporto degli stessi col pubblico, ma anche nell’approccio del regista alla costruzione delle sua opera. Un film può essere freddo, ma al tempo stesso lasciar intendere la partecipazione dell’autore; Haneke, al contrario, suggerisce una consapevolezza totale e, per chi volesse giudicarla tale, eccessiva, nei confronti del suo lavoro, sempre radicalmente teorico.
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1913, Germania, nella comunità rurale di Eichwald l’impassibile facciata algida e moralista comincia ad incrinarsi, sotto la pressione dei suoi orrori interiori. Si avvertono i prodromi della guerra che verrà a breve e di quella futura, che sarà alimentata da quelli che sono ancora bambini, ma mostrano già l’incancrenirsi delle colpe dei padri.
La freddezza che si avverte in Haneke non è solo nei suoi film, nel rapporto degli stessi col pubblico, ma anche nell’approccio del regista alla costruzione delle sua opera. Un film può essere freddo, ma al tempo stesso lasciar intendere la partecipazione dell’autore; Haneke, al contrario, suggerisce una consapevolezza totale e, per chi volesse giudicarla tale, eccessiva, nei confronti del suo lavoro, sempre radicalmente teorico. I film del regista mettono in scena le scelte più adeguate per la rappresentazione di concetti determinati, secondo un rapporto di corrispondenza assoluto che, da un parte, esalta la qualità dello studio, dall’altra evidenzia l’inevitabile alterità del regista rispetto a dei modelli e delle idee già codificati, e quindi dotati di forza autonoma. In altre parole, il cinema di Haneke è freddo perché rappresenta gli oggetti del suo studio, che sono necessariamente cosa diversa da Haneke, che di fatto non conosciamo, neanche attraverso il filtro della fruizione artistica.
Spesso ho trovato l’opera del regista tedesco eccessivamente presuntuosa, nell’adulazione dello spettatore che volesse risalire, attraverso gli indizi dell’autore, a un’incisività del messaggio più presunta che effettiva. È sulla forza del messaggio, che ho avuto dubbi, non sulla sussistenza dello stesso, che è sempre palese. Il Nastro Bianco, pur conservando le caratteristiche dei film precedenti si adatta, finalmente, ad accoglierne ed esaltarne la funzione. L’antinarratività implicita nei suoi “enigmi" senza soluzione né dimensione, trova qui la giustificazione nella maggiore importanza della negazione dell’esistenza del male, e quindi la sua accettazione, rispetto all’espressione contingente del male stesso. Quando è l’enigma ad essere il soggetto, e quindi la soluzione a se stesso, non è necessario maggiore approfondimento né esplicitazione.
Haneke mostra il deterioramento morale delle famiglie più prestigiose del paese (quelle del barone, del medico e della guida spirituale, il pastore protestante), quindi dell’intero paese, quindi della nazione. Insinua l’ossessione per la purezza con cui vengono marchiate le nuove generazioni, la deresponsabilizzazione che comporta l’accettazione diffusa del crimine, le pressioni autoritarie e religiose. Per fare questo, racconta attraverso fuori campo e monologhi feroci che sono nel film vere esplosioni di violenza, esasperata dal peso della sua normalità; attraverso i volti resi lividi ed esangui dal bianco e nero; il bianco che investe i campi di grano, in immagini che hanno, finalmente, qualcosa del dolore e del rimpianto.
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