filippo catani
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sabato 9 luglio 2011
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laboratorio nazista
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Un piccolo villaggio rurale tedesco a cavallo degli anni della Prima Guerra Mondiale viene sconvolto da eventi misteriosi e violenti. Il maestro del paese cercherà di fare luce sulla vicenda tenendo in conto di scontrarsi con diversi personaggi del luogo.
Un film sicuramente angosciante ma che lascia una vivissima traccia interiore dopo averlo visto. Il film può essere una delle chiavi di lettura della domanda che tutti noi almeno una volta ci siamo posti: come è stato possibile l'avvento e il successo del nazismo?. In questo film abbiamo alcune risposte che ci vengono dalle descrizioni dei personaggi principali. Un burbero proprietario terriero che non esita a calare la scure della vendetta quando serve.
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Un piccolo villaggio rurale tedesco a cavallo degli anni della Prima Guerra Mondiale viene sconvolto da eventi misteriosi e violenti. Il maestro del paese cercherà di fare luce sulla vicenda tenendo in conto di scontrarsi con diversi personaggi del luogo.
Un film sicuramente angosciante ma che lascia una vivissima traccia interiore dopo averlo visto. Il film può essere una delle chiavi di lettura della domanda che tutti noi almeno una volta ci siamo posti: come è stato possibile l'avvento e il successo del nazismo?. In questo film abbiamo alcune risposte che ci vengono dalle descrizioni dei personaggi principali. Un burbero proprietario terriero che non esita a calare la scure della vendetta quando serve. Un terrificante, chiuso e ottuso pastore protestante che non esita a incatenare il figlio a letto in quanto reo di masturbarsi. Un dottore dalla vita privata tutt'altro che irreprensibile. E soprattutto loro: i terribili ragazzini che non esitano a prendersela con i "diversi". Ed ecco quà un terribile spaccato di una Germania che già si presentava in queste condizioni alla guerra e che ne sarebbe uscita con un profondo senso di umiliazione e spirito di rivincita. Purtroppo il terreno migliore in cui è potuta germogliare la pianta nazista. Pregevole anche la scelta di girare in bianco e nero e una menzione speciale per tutto il cast. Purtroppo quel nastro bianco segno di purezza venne per tanti e troppi anni relegato in un cassetto buio della storia.
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gabriella
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giovedì 2 giugno 2011
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da vedere e rivedere.
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Bellissimo film del regista Haneke (già autore di importanti lavori) con un ottimo cast,in un rigoroso bianco e nero.
Tutto curato nei minimi dettagli,tutto ricostruito alla perfezione.
Famiglie malate o eccessivamente rigide o estremamente chiuse che genereranno piccoli mostri destinati a macchiarsi di crimini ben più grandi in un futuro non troppo lontano.
Un finale che non da spiegazioni;non è infatti interesse precipuo del regista individuare colpevoli bensì evidenziare brutture che daranno vita ineluttabilmente a personalità fortemente disturbate.
Da vedere e non solo una volta.
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vero2
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lunedì 30 maggio 2011
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che cosa vuole dire il bianco e il nero?????
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Che cosa cavolo vuole dire il bianco e il nero? I film del 2000 sono sempre stati a colori!
La storia non mi piace, e se è per questo neppure la finta buona educazione di Klara dato che ha fatto disperare sua madre e quel matto di suo padre.
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garance
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mercoledì 16 marzo 2011
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vedere per riflettere
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Vedere-riflettere
film gelido, austero, che mi riporta al rigore dei film di Dreyer(penso a Dies Irae)-La fotografia e` da Oscar-La vagheggiata-e inesistente-innocenza infantile non c'e`(infatti); l'implacabile ,ipocrita moralita` genera mostri,mostri lucidi, accorti, subdoli, perfetti automi del male.Come e` bello trovare questi film soltanto apparentemente algidi, che ci nutrono il cervello,scuotono la coscienza, procurano un salutarissimo disagio che ci fa riflettere-GARANCE-
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(di vero2)
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notedo
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sabato 18 dicembre 2010
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metafora della crudeltà
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Haneke,in questo film,ribadisce il suo cinema della crudeltà facendoci entrare in un universo inquietante con una pellicola in bianco (la neve) e nero (la quotidianità). Le inquadrature sono da manuale del cinema con sequenze anticipate in modo da farci sapere sempre quello che sta per accadere. Nel film ci vengono spiegate chiaramente le ragioni della violenza con dettagli crudeli trasferiti in una immaginaria organizzazione di un villaggio. Haneke è un autore crudele e feroce non solo per le storie che ci ha raccontato ma, in questo caso, crudele anche verso gli spettatori per tutti i dubbi che rimangono al termine del film. E' chiaro comunque che con le uova dei suoi serpenti ci ha parlato della nascita di una dittatura criminale.
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dialetti
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giovedì 14 ottobre 2010
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per chi non l'ha ancora visto
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Forse, come me, rimmarrete delusi dal nastro bianco. Non è certo un brutto film; ma complici amici e critica, mi ero fatto delle aspettative che non si sono realizzate.
La prima delusione riguarda il tema del film. Alcuni dicono che questo non sia propriamente un film sulle origini del nazismo. A me, tutto sommato, sembra, invece, che lo sia. Dico "tutto sommato" perchè nelle due ore di racconto effettivamente non compare alcun vocabolo come "NSPD", "totalitarismo", "Guida" ecc. E'verò, però, che gli eventi sono narrati ex post facto e il regista nel corso della storia dissemina vari riferimenti al "futuro" (le parole del maestro all'inizio, il commento finale durante la messa ecc). Ora, se questo è il tema, io credo che una grave mancanza sia stata non approfondirlo.
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Forse, come me, rimmarrete delusi dal nastro bianco. Non è certo un brutto film; ma complici amici e critica, mi ero fatto delle aspettative che non si sono realizzate.
La prima delusione riguarda il tema del film. Alcuni dicono che questo non sia propriamente un film sulle origini del nazismo. A me, tutto sommato, sembra, invece, che lo sia. Dico "tutto sommato" perchè nelle due ore di racconto effettivamente non compare alcun vocabolo come "NSPD", "totalitarismo", "Guida" ecc. E'verò, però, che gli eventi sono narrati ex post facto e il regista nel corso della storia dissemina vari riferimenti al "futuro" (le parole del maestro all'inizio, il commento finale durante la messa ecc). Ora, se questo è il tema, io credo che una grave mancanza sia stata non approfondirlo. Certo, si vede la società della colpa (p.e.:la cena del pastore con i suoi figli); si scopre come la frustrazione possa dare adito a violenza (p.e.: la crocifissione dell'uccello) e si capisce come l'accettazione delle regole sociali passi anche attraverso il sistema dei bisogni (p.e.: il contadino che rimbrotta il figlio per i cavoli del barone); ma si ha sempre l'impressione di vedere fatti giustapposti, variabili correlate prive di un nesso causale: perché il totalirsmo in Germania e non in altre società della colpa? Perchè l'ossessione della purezza dei comportamenti è la stessa per la purezza della razza? E così via.
La secondo delusione riguarda, invece, alcune scelte estetiche. La prima è l'espediente narrativo del maestro. Niente di esecrabile - intendiamoci, ma il piccolo intellettuale gentile è una maschera poco callimachea. Forse, sarebbe stato più originale e più consono alle ambizioni del film scegliere un giovane funzionario weberiano in visita al villaggio. Magari, di basso rango e di città, così da fornire un punto di vista più oggettivo e diverso sulle vicende. Un "beamter" avrebbe anche permesso di introdurre e decostruire il tema dell'impersonalità delle regole nella tradizione burocratica tedesca e il suo rapporto con l'origine del totalitarismo. Ottimo, invece, l'attore che interpreta il maestro, adattissimi al ruolo il suo fisico e la sua faccia. La seconda scelta che non ho particolarmente amato è il movimento della mdp. Tranne che in qualche raro passaggio(pe: il piccolo barone durante la lezione di piano) la mdp si muove poco e il racconto è più volentieri affidato al montaggio. Anche qui: nulla di male, ci sono grandi film girati in questo modo. Il movimento della mdp, tuttavia, è un buon segno della capacità di direzione, soprattutto in una pellicola a forte vocazione descrittiva come questa. E' più semplice narrare accostando fotografie che narrare articolando il discorso in un continuo. Muoversi consente di introdurre, concludere, preparare con calma il climax, e da ultimo mettere l'osservatore in una posizione di minor stress emotivo. Splendide sono invece le inquadrature. La fotografia è curata nel dettaglio, le ombre sono elenganti e la messa in scena è armonica come in un dipinto di piero della francesca.
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aksel07
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martedì 12 ottobre 2010
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stupendo
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Film meraviglioso e molto curato nei particolari. Azzeccata la scelta del bianco e nero.
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doni64
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giovedì 30 settembre 2010
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film cupo e spento
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Quello che mi ha colpito nel film e' la scenografia e l'ambientazione che tra l'altro in bianco e nero sembra piu' realistica all'epoca.La trama e' invece cupa e insipida di azioni che non colpiscono l' attenzione dello spettatore.Nel complesso quindi un film ove predominano falsita', crudelta' d'animo, 'ipocrisia e....per finire .......la nullita'.Voto 6+
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vittorio
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martedì 21 settembre 2010
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peccato per il finale...
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Film ben girato, con delle buone interpretazioni e con una storia che incentra l'ipocrisia della gente, il perbenismo e il falso moralismo....
Peccato che si attendono 140 minuti per non ricevere nulla.....un finale pessimo...dove non succede niente!
Complessivamente deludente!!
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kronos
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martedì 24 agosto 2010
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algido affresco d'epoca
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L'aspetto a mio avviso più interessante de "Il nastro bianco" è la puntigliosa ricostruzione della società d'inizio '900: il tessuto economico essenzialmente agreste e latifondista, la rigidissima educazione imposta ai figli, le regole di comportamento improntate a un formalismo ipocrita che oggi mette i brividi.
Un affresco sociale in cui, nonostante la lontananza geografica, si sarebbero identificati senza difficoltà i nostri nonni e bisnonni.
La vicenda raccontata da Haneke è variamente interpretabile: chi c'ha visto un pamphlet contro l'educazione bigotta e repressiva, chi (addirittura) uno studio psico-entomologico sulla generazione che, vent'anni dopo le vicende narrate, avrebbe alimentato l'ascesa del Nazismo.
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L'aspetto a mio avviso più interessante de "Il nastro bianco" è la puntigliosa ricostruzione della società d'inizio '900: il tessuto economico essenzialmente agreste e latifondista, la rigidissima educazione imposta ai figli, le regole di comportamento improntate a un formalismo ipocrita che oggi mette i brividi.
Un affresco sociale in cui, nonostante la lontananza geografica, si sarebbero identificati senza difficoltà i nostri nonni e bisnonni.
La vicenda raccontata da Haneke è variamente interpretabile: chi c'ha visto un pamphlet contro l'educazione bigotta e repressiva, chi (addirittura) uno studio psico-entomologico sulla generazione che, vent'anni dopo le vicende narrate, avrebbe alimentato l'ascesa del Nazismo.
Ma tutto questo si può leggere solo in filigrana e con una discreta dose di buona volontà: il film, nonostante il trionfo critico e festivaliero ottenuto, non decolla mai: perso in una fotografia in bianco e nero algida e di maniera si trascina blandamente verso un finale fiacco e irrisolto.
Oltretutto i tanti, troppi personaggi coinvolti nelle vicende frammentano e diluiscono la narrazione oltre il dovuto.
Tirando le somme, pur riconoscendo le evidenti doti realizzative, la più grande assente nel 'Nastro bianco' è l'unica qualità che rende il cinema grande, grande sul serio: l'emozione.
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