Il nastro bianco |
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Un film di Michael Haneke.
Con Christian Friedel, Leonie Benesch, Ulrich Tukur, Ursina Lardi, Burghart Klaußner.
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Titolo originale Das Weiße Band.
Drammatico,
b/n
durata 144 min.
- Austria, Francia, Germania 2009.
- Lucky Red
uscita venerdì 30 ottobre 2009.
MYMONETRO
Il nastro bianco ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |
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L'orrore è nella negazione.
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sabato 14 novembre 2009 | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
1913, Germania, nella comunità rurale di Eichwald l’impassibile facciata algida e moralista comincia ad incrinarsi, sotto la pressione dei suoi orrori interiori. Si avvertono i prodromi della guerra che verrà a breve e di quella futura, che sarà alimentata da quelli che sono ancora bambini, ma mostrano già l’incancrenirsi delle colpe dei padri. La freddezza che si avverte in Haneke non è solo nei suoi film, nel rapporto degli stessi col pubblico, ma anche nell’approccio del regista alla costruzione delle sua opera. Un film può essere freddo, ma al tempo stesso lasciar intendere la partecipazione dell’autore; Haneke, al contrario, suggerisce una consapevolezza totale e, per chi volesse giudicarla tale, eccessiva, nei confronti del suo lavoro, sempre radicalmente teorico. I film del regista mettono in scena le scelte più adeguate per la rappresentazione di concetti determinati, secondo un rapporto di corrispondenza assoluto che, da un parte, esalta la qualità dello studio, dall’altra evidenzia l’inevitabile alterità del regista rispetto a dei modelli e delle idee già codificati, e quindi dotati di forza autonoma. In altre parole, il cinema di Haneke è freddo perché rappresenta gli oggetti del suo studio, che sono necessariamente cosa diversa da Haneke, che di fatto non conosciamo, neanche attraverso il filtro della fruizione artistica. Spesso ho trovato l’opera del regista tedesco eccessivamente presuntuosa, nell’adulazione dello spettatore che volesse risalire, attraverso gli indizi dell’autore, a un’incisività del messaggio più presunta che effettiva. È sulla forza del messaggio, che ho avuto dubbi, non sulla sussistenza dello stesso, che è sempre palese. Il Nastro Bianco, pur conservando le caratteristiche dei film precedenti si adatta, finalmente, ad accoglierne ed esaltarne la funzione. L’antinarratività implicita nei suoi “enigmi" senza soluzione né dimensione, trova qui la giustificazione nella maggiore importanza della negazione dell’esistenza del male, e quindi la sua accettazione, rispetto all’espressione contingente del male stesso. Quando è l’enigma ad essere il soggetto, e quindi la soluzione a se stesso, non è necessario maggiore approfondimento né esplicitazione. Haneke mostra il deterioramento morale delle famiglie più prestigiose del paese (quelle del barone, del medico e della guida spirituale, il pastore protestante), quindi dell’intero paese, quindi della nazione. Insinua l’ossessione per la purezza con cui vengono marchiate le nuove generazioni, la deresponsabilizzazione che comporta l’accettazione diffusa del crimine, le pressioni autoritarie e religiose. Per fare questo, racconta attraverso fuori campo e monologhi feroci che sono nel film vere esplosioni di violenza, esasperata dal peso della sua normalità; attraverso i volti resi lividi ed esangui dal bianco e nero; il bianco che investe i campi di grano, in immagini che hanno, finalmente, qualcosa del dolore e del rimpianto. slowfilm.splinder.com
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