Il diavolo probabilmente |
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Un film di Robert Bresson.
Con Antoine Monnier, Tina Irissari, Roger Honorat, Henri de Maublanc, Laetitia Carcano.
continua»
Titolo originale Le diable probablement.
Drammatico,
Ratings: Kids+16,
durata 100 min.
- Francia 1977.
- VM 14 -
MYMONETRO
Il diavolo probabilmente
valutazione media:
3,84
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Uno sguardo lucido e disperato.di slowfilm.splinder.comFeedback: 11234 | altri commenti e recensioni di slowfilm.splinder.com |
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venerdì 25 giugno 2010 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Charles, ragazzo nella Parigi del ’77, è il nostro sguardo, parziale e sconfitto, sul mondo e sulle relazioni. Sconfitto perché fin dalle prime inquadrature troviamo Charles sulle prime pagine dei giornali, dove un primo titolo richiama il suo suicidio e un secondo identifica lo stesso suicidio come un tentativo di camuffamento di un omicidio. Non ci resta che assistere agli ultimi giorni di vita di Charles. Seguendo la sua storia, appare subito chiaro come non sia lui il vero protagonista de Il Diavolo Probabilmente, quanto, piuttosto, la società opprimente e ingannatrice, le masse che impediscono al singolo il riconoscimento della propria individualità, condotte da un istinto indecifrabile e quindi di natura diabolica. Lo sguardo di Bresson, come quello di Charles, prova a raccogliere dettagli e gesti, frammenta gli spazi e i corpi, interessandosi ai movimenti delle mani e ai passi, eppure non si riesce a trovare un’autenticità, una spinta che non sia distruttiva, e questo conduce Charles, ugualmente inorridito dalla vita e dall’idea dell'inesistenza, a cercare nell’inazione la propria strategia di sopravvivenza. Incapace di non percepire la falsità e l’artificialità nella partecipazione politica, nella spiritualità e nell’amore, e al contempo insoddisfatto da un’estraneità che lucidamente percepisce come impossibile. Gli attori mettono in scena una recitazione mimica e prosodica del tutto svuotata, atona, in un silenzio interrotto da brevi frasi d’ispirazione letteraria, quando non vere e proprie citazioni; in un primo momento spiazzante e meccanica, questa diventa la cifra stessa del film, l’imposizione di un distacco che priva d’ogni enfasi tanto i pensieri quanto i sentimenti, proponendo una parola impotente di fronte ad immagini, proiettate su schemi e quindi fruite passivamente dagli attori, che documentano disastri ambientali e civili, inquinamento e deformità autoinflitte dagli errori umani. A certificare l’impotenza e l’impossibilità dell’azione, il regista spezza le relazioni fra causa ed effetto, relegando l’una o l’altra al fuoricampo, che sia il caso di un incidente stradale, di cui si sentono i rumori ma non si vedono le conseguenze, o l’abbattimento di alberi, che cadono sotto il suono di seghe elettriche mai visibili. Il fuoricampo, che nasconde una visione totale delle cose, è forse l’aspirazione irrealizzabile di Charles. In un film dove la forma riesce ad essere la sostanza, privato anche della disperazione, l’unica certezza è che nessuna rivoluzione è possibile. slowfilm.splinder.com
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