giulio andreetta
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domenica 15 dicembre 2019
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ottimo film sulle contraddizioni sociali
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Robert Bresson con sincerità smaschera le enormi contraddizioni che animano la nostra cinica società, e priva di ideali. Il protagonista, Charles, potrebbe essere un giovane tra i tanti, e invece possiede un talento straordinario per la matematica, e dunque un'intelligenza stra-ordinaria che lo pone immediatamente in conflitto con tutta una serie di convenzioni e luoghi comuni. Il tema dello scontro tra individuo e società non è nuovo, e certamente il grande schermo ci offre numerosi esempi di film del genere, tuttavia Bresson sembra porre il problema meglio di molti altri registi. Gli anni '70 che sono narrati del film non sono troppo distanti dal nostro presente.
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Robert Bresson con sincerità smaschera le enormi contraddizioni che animano la nostra cinica società, e priva di ideali. Il protagonista, Charles, potrebbe essere un giovane tra i tanti, e invece possiede un talento straordinario per la matematica, e dunque un'intelligenza stra-ordinaria che lo pone immediatamente in conflitto con tutta una serie di convenzioni e luoghi comuni. Il tema dello scontro tra individuo e società non è nuovo, e certamente il grande schermo ci offre numerosi esempi di film del genere, tuttavia Bresson sembra porre il problema meglio di molti altri registi. Gli anni '70 che sono narrati del film non sono troppo distanti dal nostro presente. Il movimento ambientalista è vivo e vegeto ancora oggi, e ancora oggi vive le stesse contraddizioni che sono mostrate con estrema lucidità, quasi in modo profetico. La solitudine, l'isolamento e la sconfitta finale appaiono, agli occhi del protagonista, come l'unica soluzione possibile per evitare di macchiare la propria purezza. Scena memorabile è quella del colloquio con lo psicanalista, nella quale un semplice elenco di tutte le assurdità della nostra società sembra realmente giustificare il pessimismo del protagonista. Come dargli torto? Una situazione che realmente appare senza via di fuga, perché l'incomunicabilità, ancora una volta, diviene regola assoluta in qualsiasi relazione sociale. Un film predittivo, quanto mai attuale in questo periodo in cui la virtualità sembra aver preso definitivamente il sopravvento, limitando ancora di più la possibilità della reale condivisione di una relazione. Film assolutamente da vedere, anche per la bella fotografia.
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luca scial�
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martedì 22 gennaio 2013
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smarrimento di fine anni '70
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Francia, fine anni '70. Le nuove generazioni sembrano già aver spento in sé le illusioni e la verve che aveva caratterizzato chi li aveva preceduti qualche anno prima. L'eroina ha sostituito lo spinello, la passività ha sostituito la voglia di cambiare il mondo. Tra giovani studenti c'è Charles che incarna questo prototipo, sprofondato com'è nel nichilismo. I suoi compagni non riescono a scuoterlo come dovrebbe, anzi, uno di loro, controbuisce al suo tragico progetto.
Penultimo film di Robert Bresson, che negli anni non ha perso l'attenzione per i più diseredati e scontenti della vita. Questa è un'analisi sociologica di un'epoca nella quale i sogni del sessantotto sembravano già lontani e illusori.
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Francia, fine anni '70. Le nuove generazioni sembrano già aver spento in sé le illusioni e la verve che aveva caratterizzato chi li aveva preceduti qualche anno prima. L'eroina ha sostituito lo spinello, la passività ha sostituito la voglia di cambiare il mondo. Tra giovani studenti c'è Charles che incarna questo prototipo, sprofondato com'è nel nichilismo. I suoi compagni non riescono a scuoterlo come dovrebbe, anzi, uno di loro, controbuisce al suo tragico progetto.
Penultimo film di Robert Bresson, che negli anni non ha perso l'attenzione per i più diseredati e scontenti della vita. Questa è un'analisi sociologica di un'epoca nella quale i sogni del sessantotto sembravano già lontani e illusori. Speranze che negli anni '80 saranno seppellite definitivamente. Peccato per la prima ora sonnacchiosa, fredda e per gli attori per niente espressivi, la cui roboticità è aggravata dal doppiaggio italiano. Il film rievoca quello di Nanni Moretti: Bianca. Una generazione smarrita che non sa comunicare più.
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slowfilm.splinder.com
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venerdì 25 giugno 2010
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uno sguardo lucido e disperato.
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Charles, ragazzo nella Parigi del ’77, è il nostro sguardo, parziale e sconfitto, sul mondo e sulle relazioni. Sconfitto perché fin dalle prime inquadrature troviamo Charles sulle prime pagine dei giornali, dove un primo titolo richiama il suo suicidio e un secondo identifica lo stesso suicidio come un tentativo di camuffamento di un omicidio. Non ci resta che assistere agli ultimi giorni di vita di Charles.
Seguendo la sua storia, appare subito chiaro come non sia lui il vero protagonista de Il Diavolo Probabilmente, quanto, piuttosto, la società opprimente e ingannatrice, le masse che impediscono al singolo il riconoscimento della propria individualità, condotte da un istinto indecifrabile e quindi di natura diabolica.
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Charles, ragazzo nella Parigi del ’77, è il nostro sguardo, parziale e sconfitto, sul mondo e sulle relazioni. Sconfitto perché fin dalle prime inquadrature troviamo Charles sulle prime pagine dei giornali, dove un primo titolo richiama il suo suicidio e un secondo identifica lo stesso suicidio come un tentativo di camuffamento di un omicidio. Non ci resta che assistere agli ultimi giorni di vita di Charles.
Seguendo la sua storia, appare subito chiaro come non sia lui il vero protagonista de Il Diavolo Probabilmente, quanto, piuttosto, la società opprimente e ingannatrice, le masse che impediscono al singolo il riconoscimento della propria individualità, condotte da un istinto indecifrabile e quindi di natura diabolica. Lo sguardo di Bresson, come quello di Charles, prova a raccogliere dettagli e gesti, frammenta gli spazi e i corpi, interessandosi ai movimenti delle mani e ai passi, eppure non si riesce a trovare un’autenticità, una spinta che non sia distruttiva, e questo conduce Charles, ugualmente inorridito dalla vita e dall’idea dell'inesistenza, a cercare nell’inazione la propria strategia di sopravvivenza. Incapace di non percepire la falsità e l’artificialità nella partecipazione politica, nella spiritualità e nell’amore, e al contempo insoddisfatto da un’estraneità che lucidamente percepisce come impossibile.
Gli attori mettono in scena una recitazione mimica e prosodica del tutto svuotata, atona, in un silenzio interrotto da brevi frasi d’ispirazione letteraria, quando non vere e proprie citazioni; in un primo momento spiazzante e meccanica, questa diventa la cifra stessa del film, l’imposizione di un distacco che priva d’ogni enfasi tanto i pensieri quanto i sentimenti, proponendo una parola impotente di fronte ad immagini, proiettate su schemi e quindi fruite passivamente dagli attori, che documentano disastri ambientali e civili, inquinamento e deformità autoinflitte dagli errori umani.
A certificare l’impotenza e l’impossibilità dell’azione, il regista spezza le relazioni fra causa ed effetto, relegando l’una o l’altra al fuoricampo, che sia il caso di un incidente stradale, di cui si sentono i rumori ma non si vedono le conseguenze, o l’abbattimento di alberi, che cadono sotto il suono di seghe elettriche mai visibili. Il fuoricampo, che nasconde una visione totale delle cose, è forse l’aspirazione irrealizzabile di Charles. In un film dove la forma riesce ad essere la sostanza, privato anche della disperazione, l’unica certezza è che nessuna rivoluzione è possibile. slowfilm.splinder.com
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scioccolo
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mercoledì 19 novembre 2008
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la morte come miglioramento della condizione umana
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L'EMBLEMA DEL FILM PRENDE CONSISTENZA NEGLI ULTIMI ATTIMI, QUANDO APPARE EVIDENTE CHE è IL CARNEFICE A ESSERE PERSO, SENZA FUTURO, PRATICAMENTE MORTO.
UNA SITUAZIONE ANCOR PEGGIORE DELLA MORTE, IL CUI PARAGONE SEMBRA FAR APPARIRE QUEST'ULTIMA COME UN SOLLIEVO, UN MIGLIORAMENTO DELLA CONDIZIONE UMANA.
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raptus
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martedì 16 maggio 2006
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che bella bruttezza
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Film sul male di vivere, sulla disillusione postsessantottina, sullo scoraggiamento generale che con una colata unica investe tutti gli ideali dell'uomo moderno. Vittima: la gioventù. Bresson ci consegna un protagonista, apatico, spento, accidioso e tediato dalla realtà. Nessuna voce è in grado di scuoterlo, nessun adulto capace di rinsavirlo. Intorno a questo antieroe contemporaneo si accalcano fila di persone inutilmente attive, indaffarate nella quotidiana e inutile impresa di vivere. L'unica via di fuga si palesa nel suicidio. La soluzione alla torura dell'esistere è fuggire dall'esistenza. Non vengono presentate valide alternative. I sospetti sono due: o è necessario prendere coscienza dell'inutilità del tutto e imitare logicamente il protagonista oppure occorre meditare a lungo sul titolo di questo splendido lungometraggio.
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Film sul male di vivere, sulla disillusione postsessantottina, sullo scoraggiamento generale che con una colata unica investe tutti gli ideali dell'uomo moderno. Vittima: la gioventù. Bresson ci consegna un protagonista, apatico, spento, accidioso e tediato dalla realtà. Nessuna voce è in grado di scuoterlo, nessun adulto capace di rinsavirlo. Intorno a questo antieroe contemporaneo si accalcano fila di persone inutilmente attive, indaffarate nella quotidiana e inutile impresa di vivere. L'unica via di fuga si palesa nel suicidio. La soluzione alla torura dell'esistere è fuggire dall'esistenza. Non vengono presentate valide alternative. I sospetti sono due: o è necessario prendere coscienza dell'inutilità del tutto e imitare logicamente il protagonista oppure occorre meditare a lungo sul titolo di questo splendido lungometraggio.
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