Il nastro bianco |
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Un film di Michael Haneke.
Con Christian Friedel, Leonie Benesch, Ulrich Tukur, Ursina Lardi, Burghart Klaußner.
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Titolo originale Das Weiße Band.
Drammatico,
b/n
durata 144 min.
- Austria, Francia, Germania 2009.
- Lucky Red
uscita venerdì 30 ottobre 2009.
MYMONETRO
Il nastro bianco ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |
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Dichiarazione antifascista, linguaggio fascista
di pb80pb80Feedback: |
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lunedì 13 gennaio 2014 | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Nulla di meglio per definire questo film accademico, che applicargli una delle pompose affermazioni del suo autore, quando parla di "Arancia meccanica". Non si può fare una dichiarazione antifascista, usando un linguaggio fascista. L'intento del film è fin troppo chiaro: mostrare la disumanità di una società chiusa, repressiva, opprimente, e i suoi effetti devastanti a livello morale, che sfocieranno nel Nazifascismo. Il problema è che (a livello narrativo), non vi è alcuna presa di distanza dal mondo chiuso e asfittico che viene raccontato: non c'è contrasto tra la repressione sociale e una qualsiasi vitalità interiore dei protagonisti, ma soprrattutto con lo sguardo del regista. Tutto è spento, freddo, vuoto, estetizzante. La qualità del linguaggio è esattamente la stessa della società che rappresenta, tanto che il film potrebbe tranquillamente essere una emanazione della società viennese del primo novecento. Da ogni inquadratura trasuda lo stesso rigore fanatico, lo stesso moralismo asfissiante degli oppressori che si vorrebbe denunciare. Il buon Haneke potrebbe essere un perfetto protagonista del suo film. E allora? Che senso ha denunciare un certo tipo di realtà, se poi ci si crogiola con gli stessi valori che derivano da quella società, e anzi si basa la propria carriera artistica proprio sul prestigio "accademico" più puritano e perbenista? Haneke vuole denunciare una realtà ben precisa (per altro oggi piuttosto marginale nel mondo occidentale, se non in qualche setta o magari proprio nelle accademie in cui Haneke sguazza come un pesce), ma non fa nulla per superarla, sul piano artistico. Quindi l'effetto del suo film è quello di un ritorno nostalgico a un'epoca passata, un'epoca rappresentata in tutto il suo orrorre, ma vissuta dall'interno, cosa abbastanza strana in un regista nato durante la Seconda Guerra Mondiale. La sua narrazione è quindi puro manierismo, e non si capisce come una visione così ultraconservatrice del cinema possa in qualche modo contribuire a superare i rimasugli di estremismo che pullulano ancora nella nostra società. Sembrerebbe che Haneke abbia l'obiettivo esattamente opposto. Presentare una realtà opprimente come qualcosa di inevitabile, è il primo modo per restaurare una società totalitaria. Ben diverso sarebbe stato rappresentare una società opprimente e autoritaria, con lo sguardo libero e critico di un regista davvero contemporaneo. Cosa che Haneke, purtroppo, non è.
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