Tutta la vita davanti

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Un film di Paolo Virzì. Con Isabella Ragonese, Sabrina Ferilli, Valerio Mastandrea, Elio Germano.
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Commedia, Ratings: Kids+16, durata 117 min. - Italia 2008. - Medusa uscita venerdì 28 marzo 2008. MYMONETRO Tutta la vita davanti * * * - - valutazione media: 3,35 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Sabrina sul viale dei tramonto?

di Emilio Marrese Il Venerdì di Repubblica

La Ferilli è la perfida e patetica dirigente di un cali center nell'ultimo film del regista: con Paolo do il meglio. Se ho fatto la bella vita lo devo a lui, altrimenti una parte così non l'avrei accettata. Perché un po', confesso, mi somiglia.
Sabrina Ferilli torna al cinema d'autore nel1 e vesti, attillate e pantera te, di una Gloria Swanson de Woantri per il nuovo film di Paolo Virzì. Tutta la vita davanti segna il felice ritorno del regista toscano ai temi e ai personaggi dei suoi inizi: gli operai, nel frattempo, sono diventati precari, e la Ferilli una specie di Crudelia Demon del Torrino (zona molto periferica romana, meta della nuova medio-borghesia), che conduce un call center come se fosse la casa del Grande Fratello. O l'Isola dei Precari, tra balletti e nomination. Sabrina è una caricatura, la cui maschera di trucco pesante crolla in un finale da Viale del tramonto: solo che la scalinata è quella di un centro commerciale alla nuova Fiera di Roma, simbolico nonluogo per una non-generazione. «Sono innamorata di Viale del tramonto, ma non l'ho rivisto per l'occasione. È un ruolo difficile, specie per una che ha sempre interpretato eroine del bene. Senza la fiducia totale che ho in Virzì non l'avrei accettato».
Fu lui a lanciarla.
«La bella vita, quindici anni dopo... Sono innamorata di Paolo. I suoi personaggi sono vicini alla mia sensibilità. Mi trovo a mio agio anche in un personaggio come Daniela, che è così lontana da me: una donna con una enorme groviglio di dolore dentro. Paolo coglie le situazioni per quello che sono e non per come sembrano, quell'emozione che c'è tra pensiero e azione. I suoi personaggi alla fine sono tutti innocenti perché vittime. Disgraziati alla ricerca di un giusto che non raggiungono, perché ingiusta è la società».
È il ruolo più patetico della sua carriera: che sia una svolta?
«Non saprei. Daniela è una figura triste perché si racconta una storia che non è la sua. Una figura che, solo con la sensibilità artistica che si acquisisce con l'età e con l'esperienza, si può comprendere».
Pare che con Virzì lei (ma non solo lei) dia il suo meglio.
«In assoluto è, tra i registi con cui ho lavorato, quello che ha più capacità di farti dare quello che chiede. Mi ha battezzato e, dopo dodici anni, ci siamo ritrovati per un personaggio che, così dark, è nuovo anche per lui. Una prima volta per entrambi. Ci siamo cercati e scoperti un'altra volta».
Non ha avuto il timore, accettando questa parte, di aprire il filone dei ruoli da quarantenne frustrata in goffa lotta con gli anni? Dal vivo lei non è affatto segnata dal tempo come il suo personaggio sullo schermo.
«Io ho paura solo di fare cose non belle. Crescendo, si rischia di più. Quel che conta è sempre il contesto. Abbiamo apposta calcato sul trucco. Ma il lavoro più grosso l'ho fatto su me stessa. Mi sono fatta un'esame di coscienza e ho esasperato le mie infelicità per proiettare in lei i colpi che ho subìto dalla vita, le fragilità e i fallimenti».
C'è dell'autobiografico anche nella voglia di maternità?
«C'è, eccome. Ho la molestia di sapere che quel che nella vita succede a me, succede anche al portinaio. Daniela sono anche io».
Le auguro che non sia vero.
«Io sono una donna realizzata, ma a 40 anni capisci che più vai avanti e più il piatto della bilancia pende dalla parte delle sconfitte. I lutti e le debolezze di Daniela sono mie come di qualsiasi persona di questa età, che abbia vissuto. Gli anni indeboliscono molto. Si diventà più piccoli e meno gloriosi. Se hai forti valori famigliari alle spalle, i problemi entrano nel bagaglio personale e le batoste ti migliorano nel rapporto con gli altri. Altrimenti, diventi ridicola e folle come lei. Quella è la differenza tra Daniela e la Ferilli».
Da un Virzì all'altro, nell'arco di questi 12 anni cosa c'è stato? Partita con Ferreri, i Taviani, Monicelli, è diventata una star, ma lavorando soprattutto in tv e teatro, mentre al cinema...
«Non ho più trovato ruoli. Si è artefici del proprio mestiere e io ho fatto il mio massimo. La tv mi ha offerto quei personaggi che il cinema non mi ha dato. Non mi è mancato, anche se tornando a farlo con Paolo capisci la differenza: la tv è tutta di corsa, i concetti e i linguaggi sono più banali e sfilacciati. Però, anche in tv, ho fatto donne di spessore con registi come Pozzessere o i Frazzi. Ci sono film molto belli che avrei voluto fare io, ma erano talmente brave quelle attrici che non posso dire che il cinema ci abbia perso qualcosa. Non ho rimpianti: se dicessi che mi dispiace sia andata così, sarei un'ingrata»
Essere un'icona di bellezza italiana è un peso che, con il passar del tempo, aumenta o cala?
«Non ho mai vissuto questa dimensione da icona, ho sempre fatto personaggi in vestaglia e ciabatte. Però è una bella etichetta alla quale inconsciamente mi sono affezionata e perderla farebbe male allo spirito. Quando succederà, ne parleremo in un'altra intervista».
S'immaginava il mondo dei precari così assurdo?
«No. Non pensavo che fosse così pesante. Il lavaggio del cervello che subiscono è necessario perché mantengano quei ritmi. Ora ho un po' più di rispetto quando chiamo un call center. E scambio due parole in più con chi mi risponde».
I giovani dei film sono completamente rincitrulliti dalla tv dei reality e delle lacrime in diretta. Lei, nella sua attività di produzione teatrale, è in affari anche con Maria De FIlippi.
«Maria è una delle persone più sensibili e preparate che conosca e vado fiera della sua amicizia. Io sono nazionalpopolare e adoro C'è posta per te. Un programma non è tutto il male del mondo, non fa una linea editoriale. Se un professore di storia è scarso, non è che tutta la scuola debba venir meno alla sua funzione formativa generale».
A casa ne avrete parlato...
«Nei tre anni di direzione generale alla l2ai di Flavio (Cattaneo, ndr), la, pluralità era assicurata. Le epurazioni erano precedenti».
In precedenza c'era Saccà. E lei non fa più una fiction in Rai da tre anni.
«E questo perché secondo qualcuno la relazione con Cattaneo mi avrebbe avvantaggiata... Immagino, invece, che la mia "assenza" dipenda da motivi personali. Certo, fare questioni personali sarebbe un uso criminoso del potere nella gestione di un'azienda, no?».
Da Il Venerdì di Repubblica, 21 marzo 2008

di Emilio Marrese, 21 marzo 2008

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