emilio58
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martedì 18 gennaio 2011
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western classico: da vedere per i fans del genere
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Ho visto stasera il film su Raitre: grande western di impostazione classica, con attori non bravi, ma superbi, in particolare Harris e Mortensen. I paesaggi sono ampi , come il genere esige. In più, come segno della modernità, ci sono dialoghi e momenti volutamente lenti, e quasi crepuscolari, quando si vuole sottolineare l'elemento psicologico e non quello spettacolare. Inoltre è un film che veicola valori veri, positivi, in primo luogo l'amicizia, la lealtà ed il senso della giustizia. Per me è la dimostrazione che il western è ben vivo e vegeto, e lo dico in disaccordo totale con chi ha scritto il contrario proprio in questo forum dedicato a questo film !! Anche la netta separazione fra i buoni ed i cattivi non è da criticare: è al contrario un punto fermo del genere western, che rappresenta correttamente una società, quella americana dei secoli 18° e 19°, dove la legalità si doveva affermare e si affermava , lentamente, sulla legge del più forte ovviamente "in vigore" in una società nuova stanziata su territori di sterminata ampiezza, e dove il potere centrale non era ancora in grado di imporsi su tutti questi territori con la dovuta esclusività.
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Ho visto stasera il film su Raitre: grande western di impostazione classica, con attori non bravi, ma superbi, in particolare Harris e Mortensen. I paesaggi sono ampi , come il genere esige. In più, come segno della modernità, ci sono dialoghi e momenti volutamente lenti, e quasi crepuscolari, quando si vuole sottolineare l'elemento psicologico e non quello spettacolare. Inoltre è un film che veicola valori veri, positivi, in primo luogo l'amicizia, la lealtà ed il senso della giustizia. Per me è la dimostrazione che il western è ben vivo e vegeto, e lo dico in disaccordo totale con chi ha scritto il contrario proprio in questo forum dedicato a questo film !! Anche la netta separazione fra i buoni ed i cattivi non è da criticare: è al contrario un punto fermo del genere western, che rappresenta correttamente una società, quella americana dei secoli 18° e 19°, dove la legalità si doveva affermare e si affermava , lentamente, sulla legge del più forte ovviamente "in vigore" in una società nuova stanziata su territori di sterminata ampiezza, e dove il potere centrale non era ancora in grado di imporsi su tutti questi territori con la dovuta esclusività. Da questo punto di vista , secondo me, il più celebrato western degli ultimi anni, "Gli spietati", di e con Clint Eastwood, è, pur salvando il valore del grandissimo Clint come attore e regista, un "anti-western", ed in quanto tale non apprezzabile dagli amanti del genere, proprio perchè confonde e mischia in maniera voluta la legge e l'illegalità, i personaggi positivi e quelli negativi, in linea con il quasi ossessivo relativismo etico che affligge il cinema degli ultimi due decenni circa. Da questo punto di vista ho gradito, gustato, assaporato molto di più questo "semplice" (pur raffinato e molto molto bello) "Appaloosa" rispetto al "monumento" (secondo i critici in voga oggi) "Gli spietati".
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great steven
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martedì 25 agosto 2015
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la potenza espressiva del western non muore mai.
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APPALOOSA (USA, 2008) diretto da ED HARRIS. Interpretato da ED HARRIS, VIGGO MORTENSEN, RENEE ZELLWEGER, JEREMY IRONS, TIMOTHY SPALL
New Mexico, 1882: Virgil Cole, un self made man scontroso e riservato, e Everett Hitch, soldato congedato addestrato a West Point, cavalcano insieme nelle terre selvagge del Far West, riportando l’ordine e la sicurezza nelle città oppresse dai fuorilegge. La loro destinazione è Appaloosa, una piccola cittadina disarmata dall’arrogante e spietato Randall Bragg, ranchero col vizio dello scontro a fuoco. Dopo l’assassinio dello sceriffo di Appaloosa, ucciso insieme al suo vice, i due amici cavalieri vengono ingaggiati dal sindaco per difendere la città prendendo il posto delle due vittime e assicurare il colpevole Bragg alla giustizia.
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APPALOOSA (USA, 2008) diretto da ED HARRIS. Interpretato da ED HARRIS, VIGGO MORTENSEN, RENEE ZELLWEGER, JEREMY IRONS, TIMOTHY SPALL
New Mexico, 1882: Virgil Cole, un self made man scontroso e riservato, e Everett Hitch, soldato congedato addestrato a West Point, cavalcano insieme nelle terre selvagge del Far West, riportando l’ordine e la sicurezza nelle città oppresse dai fuorilegge. La loro destinazione è Appaloosa, una piccola cittadina disarmata dall’arrogante e spietato Randall Bragg, ranchero col vizio dello scontro a fuoco. Dopo l’assassinio dello sceriffo di Appaloosa, ucciso insieme al suo vice, i due amici cavalieri vengono ingaggiati dal sindaco per difendere la città prendendo il posto delle due vittime e assicurare il colpevole Bragg alla giustizia. Tutto sembra procedere in favore delle forze del bene, ma l’arrivo in stazione della smaliziata signorina Allison French, virtuosa pianista e appassionata frequentatrice di maschi, abbindolerà tanto gli eroi quanto i cattivi, e soprattutto metterà a repentaglio la profonda amicizia che lega Virgil ed Everett da tantissimi anni. È sempre più difficile mettere in piedi un western che non sia démodé, al giorno d’oggi, anche perché si tratta di un genere che, col passare inesorabile e irrefrenabile del tempo, ormai non racconta più il passato recente degli Stati Uniti d’America. E non c’è da stupirsi se quelle storie di indiani, carovane, pionieri, pistolettate e cavalcate sembrano ormai roba da spolverare solamente sui testi scolastici. Eppure c’è ancora qualche cineasta che sa rivitalizzare un albero che dà sempre meno frutti maturi: ci sono riusciti i fratelli Coen con la loro splendida versione de Il Grinta, e altrettanto ha fatto un Quentin Tarantino in stato di grazia col suo Django Unchained. Harris, alla sua seconda regia, ha effettuato un esperimento rinnovante che si può definire azzeccato e positivo quantomeno per la gestione efficace di un nutrito e famosissimo cast, per la ricchezza di spunti creativi nei dialoghi sempre accesi e vivaci, per la sapiente amministrazione di contributi tecnici quali il montaggio e la fotografia e, dato quest’ultimo da non prendere sottogamba, per il desiderio primordiale di non voler imitare nessuno. L’attore-regista, classe 1948, sceglie infatti di tentare una strada personale priva di emulazioni che sappia per l’appunto costruire di sana pianta un percorso autoriale che imbastisce le sue particolarità non soltanto per quegli elementi virili e potenti che, perlomeno in un western, colpiscono l’occhio e la sensibilità del pubblico maschile, ma anche per il gusto di una scampagnata equestre e agreste su territori che, in fin dei conti, non sono già stati esplorati completamente in lungo e in largo. Dunque parliamo di una fucina cinematografica che possiede ancora legna da ardere, e che ha bisogno di continuo carburante per funzionare a pieno vapore. E questa lezione Harris dimostra di averla appresa per il verso giusto. Al suo fianco, un irripetibile V. Mortensen non si limita a fargli da semplice spalla, ma assume un ruolo da deuteragonista deciso e accanito con una professionalità davvero impressionante, mentre R. Zellweger affascina col suo ammaliante alone di seduzione consapevole e birichina e J. Irons si impegna in un insolito (per le sue corde consuete) ruolo da villain che per giunta fuorvia anche dai canoni abituali del tipico antagonista stile XIX secolo degli USA occidentali, il che gli favorisce complimenti e gratificazioni ancora maggiori. Come accade spesso, il doppiaggio italiano aggiunge un tocco di serena bravura e raggiante vitalità alle performances degli interpreti originali. Ecco le voci: Luca Biagini (Harris); Pino Insegno (Mortensen), Giuppy Izzo (Zellweger), Francesco Pannofino (Irons), Renato Mori (Spall).
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floyd80
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lunedì 10 agosto 2015
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che attori!
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Un bellissimo western, secco, classico, senza sforature.
Bravissimi gli attori (Irons su tutti) e bellissima la fotografia...forse le musiche potevano essere realizzate meglio, non mi sono sembrate ispirate...ma è l'unico neo in una pellicola che si fa apprezzare. Applausi!
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jack the rabbit
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giovedì 22 gennaio 2009
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appaloosa
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Non sono un amante del genere western, ma amo il cinema in ogni sua forma. Ci sono stati dei film western che mi sono piaciuti. Andando a memoria, olte a quelli diretti da Sergio Leone, cito titoli più o meno recenti come il remake di Quel treno per Yuma diretto da James Mangold (dello scorso anno, se non erro), Open range e Balla coi lupi diretti da Kevin Costner, Butch Cassidy per la regia di George Roy Hill e Gli spietati diretto dal dio (permettetemi l'appellativo) Clint Eastwood.
Arriviamo ora ad Appaloosa. Gli interpreti sono assolutamnte straordinari. Ed Harris (ottimo anche dietro la macchina da presa), Viggo Mortensen, Jeremy Irons sono superlativi nei rispettivi ruoli.
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Non sono un amante del genere western, ma amo il cinema in ogni sua forma. Ci sono stati dei film western che mi sono piaciuti. Andando a memoria, olte a quelli diretti da Sergio Leone, cito titoli più o meno recenti come il remake di Quel treno per Yuma diretto da James Mangold (dello scorso anno, se non erro), Open range e Balla coi lupi diretti da Kevin Costner, Butch Cassidy per la regia di George Roy Hill e Gli spietati diretto dal dio (permettetemi l'appellativo) Clint Eastwood.
Arriviamo ora ad Appaloosa. Gli interpreti sono assolutamnte straordinari. Ed Harris (ottimo anche dietro la macchina da presa), Viggo Mortensen, Jeremy Irons sono superlativi nei rispettivi ruoli. I primi due sfoggiano una recitazione minmale, fatta di sguardi, di occhiate che esprimono perfettamente ciò che hanno nell'animo senza, appunto, il bisogno di proferire parola. Irons è più teatrale e, forse, non è un cattivo all'altezza dei buoni. Questo, secondo me, è un difetto del film. I buoni sembrano invincibili, intoccabili, inarrivabili fino a quella sparatoria in cui restano feriti; ma giunge un pò troppo tardi nella linea temporale della storia. Bragg (Irons) è un cattivo troppo poco cattivo (perdonatemi il gioco di parole) rispetto a Cole (Harris) e Everett (Mortensen). Se i buoni devono fronteggiare un cattivo di bassa lega che gusto c'è? Cala un pò la tensione, ma non l'interesse. Per rendere deboli, o meglio, umani i buoni viene inserito il sub-plot della storia d'amore e la scarsa proprietà linguistico-verbale di Cole, ma non sono sufficienti.
Quando, finalmente, i nostri eroi vengono feriti in duello la tensione inizia a salire, ma, poco dopo, viene annunciata l'assoluzione di Bragg (!). Insomma, il cattivo è salvo; e la tensione cala. Da qui in poi il film perde decisamente mordente e interesse.
La trama è piuttosto scialba, la vera forza dello script e del film sono gli attori (nelle loro superbe interpretazioni) e i dialoghi. Secondo me non è un capolavoro, nemmeno un bellissimo film, ma un western ordinario, di medio livello, che si lascia guardare. La sufficienza ci sta tutta.
P.S. Da uno a cinque stelle avrei dato due e mezza (tenendo conto della scheda di valutazione del MYmonetro), ma non è possibile, perciò mi limito a due.
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