giorpost
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martedì 5 agosto 2014
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lo smarrimento post 11/9 attraverso wenders
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Wim Wenders non è un regista qualsiasi, appartiene a quella categoria di cineasti visionari, poetici e sognatori, ma non sempre ha centrato l’ obiettivo e questo, notoriamente, capita anche ai grandi. Nella sua filmografia c’è un nugolo di pellicole ambientate e girate negli Stati Uniti, tra i quali spiccano Paris, Texas e Million dollar Hotel, ai quali è seguito nel 2004 La terra dell’ abbondanza (Land of Plenty), un film incentrato sui fatti dell’ 11 settembre, con attenzione particolare a quel patriottismo nato o rinvigoritosi tra i bianchi americani (specialmente se si tratta di soldati e veterani) durante i mesi e gli anni immediatamente successivi all’ evento.
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Wim Wenders non è un regista qualsiasi, appartiene a quella categoria di cineasti visionari, poetici e sognatori, ma non sempre ha centrato l’ obiettivo e questo, notoriamente, capita anche ai grandi. Nella sua filmografia c’è un nugolo di pellicole ambientate e girate negli Stati Uniti, tra i quali spiccano Paris, Texas e Million dollar Hotel, ai quali è seguito nel 2004 La terra dell’ abbondanza (Land of Plenty), un film incentrato sui fatti dell’ 11 settembre, con attenzione particolare a quel patriottismo nato o rinvigoritosi tra i bianchi americani (specialmente se si tratta di soldati e veterani) durante i mesi e gli anni immediatamente successivi all’ evento. Una storia che vede John Diehl efficacemente calato nella parte di Paul, sergente addetto alla sicurezza nazionale, affiancato dall’ inespressività di Michelle Williams nel ruolo della nipote Lanna, volontaria in una missione per senzatetto.
La narrazione è semplice, meno onirica di quanto Wenders ci abbia abituati in passato, senza virtuosismi, un’ opera dal basso profilo dato ai personaggi, anche quelli secondari che spesso hanno invece donato ai suoi lavori quel tocco in più, un film che scorre lento verso una non soluzione, attraverso piccoli o tragici avvenimenti seguiti (e spiati) attraverso le telecamere ed i microfoni installati sul vecchio e innocuo furgone di Paul, intento a trovare cellule dormienti in giro per la California. Lasciando perdere l’ introspezione dei personaggi, non troppo approfondita, direi che Wenders ha voluto più che altro dire la sua sulle conseguenze dei tragici fatti di quel giorno divenuto storico e di come si sia sviluppata, in tutti gli Stati federali, una fobia preventiva verso l’ arabo, verso lo straniero. Basta sorprendere un ignaro cittadino nullatenente, ma di chiare origini arabe, con delle scatole di borace tra le mani per far scattare l’ allarme su eventuali piste jihadiste e su covi di terroristi intenti a costruire bombe sporche, pronti a fare morti civili in ogni dove e ad ogni quando; basta un ‘Mohammed Atta qualsiasi’ per raggiungere l’ obiettivo. Ma l’ apparenza non ha mai ingannato tanto un popolo come quello statunitense dopo il crollo delle Torri Gemelle, un vortice inarrestabile nel quale sono precipitati milioni di cittadini spaventati dalle armi di distruzioni di massa mai trovate di Saddam, dalla finta boccetta di antrace di Powell, da un cumulo di storie e fatti messi insieme per generare una contrapposizione ideologica tra occidente e mondo arabo che ha avuto come plausibile scopo quello di giustificare nuove colonizzazioni, nuove guerre.
Land of plentynon ha il carisma di pellicole quali La 25ma ora di Spike Lee e non pretende di confrontarsi con Michael Moore, è soltanto un viaggio triste di un uomo solo a bordo di un furgone che lotta contro i demoni derivati dalla guerra del Vietnam cui ha partecipato, contro un’ ansia feroce dovuta a Bin Laden, contro il diverso (un odio che sfiora la xenofobia) e contro quella ossessiva meticolosità che applica nel suo lavoro. Diehl riesce comunque a sostenere, anche se a tratti, lo sguardo e le idee di Wenders; lo stesso non posso
dire per la Williams, assolutamente inappropriata al ruolo, interpretato quasi apaticamente e scegliendo di mostrare un viso ed un’ espressione che provocano quasi irritazione in chi osserva e spera nella svolta che, obiettivamente, non riuscirà a farsi strada, ma non solo per causa sua. Resta, tuttavia, quel senso di smarrimento, trasmesso anche allo spettatore, quando si legge sul volto di Paul tutta la delusione del mondo nel realizzare che quella pista seguita spasmodicamente altro non era che un colossale granchio, una casa abitata da un’ anziana disabile alla ricerca di qualcuno che riuscisse a cambiargli il canale TV (una scena, se vogliamo, ironica e beffarda allo stesso tempo).
La chiosa del film ci mostra il cantiere di Ground Zero ancora agli inizi, mentre Paul e nipote, di nuovo riuniti dopo anni, s’ interrogano sulle proprie certezze e sulle inquietudini che a volte ci vengono imposte e costruite su misura.
Un film che in quella prima sequenza tra belle immagini e ottima musica promette bene, così come l’ idea di base ed anche per tutta la splendida colonna sonora, come consuetudine per il regista tedesco; lasciano però a desiderare lo script e l’ evolversi della storia, con pochi cambi di direzione (quasi assenti) e rari sussulti; così così la fotografia. La morale c’è, scontata, ma c’è e questo assolve il cineasta e consente di non bollare questo lavoro come scarso, sia per quanto accennato ma anche per le belle riprese dei paesaggi circostanti Los Angeles e perché, soprattutto, quel senso di smarrimento provato dal protagonista è lo stesso che, in un modo o nell’ altro, abbiamo provato tutti in quei mesi, anche se in certi casi è risultato difficile ammetterlo, anche nei confronti di noi stessi.
Voto: 6+
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iuriv
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venerdì 31 luglio 2015
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fiacco.
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Wenders prova a raccontare la sua versione dell'America post 11 settembre attraverso l'avventura di un reduce del Vietnam fissato con il pericolo del terrorismo e della giovane nipote missionaria.
Però l'impressione è che il messaggio scavalchi la narrazione, relegando la storia a semplice sfondo. Probabilmente ciò è dovuto alla eccessiva caratterizzazione dell'ex-militare Paul, ossessionato dall'idea di fare qualcosa per il suo paese fino a sfiorare la paranoia. Non è un protagonista privo di interesse, ma l'eccesso con il quale è stato tratteggiato costringe tutto il resto a soggiacere alla sua figura.
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Wenders prova a raccontare la sua versione dell'America post 11 settembre attraverso l'avventura di un reduce del Vietnam fissato con il pericolo del terrorismo e della giovane nipote missionaria.
Però l'impressione è che il messaggio scavalchi la narrazione, relegando la storia a semplice sfondo. Probabilmente ciò è dovuto alla eccessiva caratterizzazione dell'ex-militare Paul, ossessionato dall'idea di fare qualcosa per il suo paese fino a sfiorare la paranoia. Non è un protagonista privo di interesse, ma l'eccesso con il quale è stato tratteggiato costringe tutto il resto a soggiacere alla sua figura. Il personaggio di contrasto interpretato da una, per una volta, poco irritante Michelle Williams, si trasforma così in mero strumento per far avanzare una trama poco interessante. L'assenza di scintille tra i due si sente e toglie mordente alla vicenda, che privilegia l'esposizione delle paure e delle difficoltà di Paul e dell'ambientazione.
E' vero che si tratta di un film fortemente legato al suo spazio-tempo. Il regista mette in scena gli Stati Uniti ancora frastornati dagli attentati, con tutte le loro contraddizioni e la pellicola sembra dedicata espressamente al pubblico americano di quel periodo. Lo dimostra la scelta del reduce messo da parte dallo stato, ma che cerca comunque di fare la sua parte, seppur in preda alla paranoia, che è un clichè piuttosto abusato negli States. Così come lo conferma la mini sequenza on the road (altro grande classico) nel finale che, forse, rappresenta l'apprezzamento di Wenders verso una terra che, nonostante tutto, può ancora dare molto al mondo.
La visione paga una scorrevolezza penalizzata da una trama davvero poco fluida. La storia che passa in sottofondo riscuote scarso interesse a causa del minimo spazio che viene dato ai personaggi di contorno. E questo naturalmente non consente all'insieme di funzionare come dovrebbe.
Con tutte le giustificazioni del caso e anche con la bella fotografia accompagnata da una colonna sonora indovinata, questo è un film che non lascia nulla dietro di se. E per un regista di questo calibro è un vero peccato.
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bluminda
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giovedì 19 maggio 2005
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ogni cosa ha il suo tempo...
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...e ogni ovvietà (ebbene si anche questa!) il suo momento sotto il sole...c'è un tempo per fare cinema e un tempo per non farlo; c'è un tempo per cercare e uno per credere di aver trovato. Il Wenders de "La terra dell'abbondanza" crede forse di aver suscitato tante domande e, parallelamente forse, di aver offerto possibili risposte; pensa forse di aver "offerto alla vista" qualcosa di profondamente significativo su l'11 settembre...quello che è arrivato a me è stata l'ennesima mattonata, scontata, patetica e imbarazzante su un evento che Wenders ha reso ancora più distante. Ho sperato fino agli ultimi 20minuti del film che uno dei cineasti più poetici e profondi del cinema contemporaneo, potesse sorprendermi; ho aspettato con un mezzo sorriso sul volto e pensavo: .
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...e ogni ovvietà (ebbene si anche questa!) il suo momento sotto il sole...c'è un tempo per fare cinema e un tempo per non farlo; c'è un tempo per cercare e uno per credere di aver trovato. Il Wenders de "La terra dell'abbondanza" crede forse di aver suscitato tante domande e, parallelamente forse, di aver offerto possibili risposte; pensa forse di aver "offerto alla vista" qualcosa di profondamente significativo su l'11 settembre...quello che è arrivato a me è stata l'ennesima mattonata, scontata, patetica e imbarazzante su un evento che Wenders ha reso ancora più distante. Ho sperato fino agli ultimi 20minuti del film che uno dei cineasti più poetici e profondi del cinema contemporaneo, potesse sorprendermi; ho aspettato con un mezzo sorriso sul volto e pensavo: . E invece, a parte qualche inquadratura, tutto è infine risultato piatto e abbastanza banale. Una Michelle Williams carina ma non pregnante come altri personaggi femminili wendersiani sapevano essere. Capirei se si trattasse di una discutibile analisi politico-sociale ma nemmeno su quella ci sono elementi sufficenti per intervenire. Nemmeno sulla trita e ritrita sindrome di un reduce del Vietnam..tragicamente ridicolo senza alcuna chance di miglioramento. Peccato perchè la fotografia e la colonna sonora non sono male...allora sovviene un augurio: che gli Angeli salvino il buon Wim Wenders e lo guariscano dalla larva astrale che lo sta divorando ultimamente! Che possa rientrare finalmente in sè. "Su ciò di cui non si può parlare SI DEVE TACERE" (scusate la citazione privata del suo vero significato e qui strumentalizzata!)...soprattutto se non si ha molto da dire.
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(di bdmet)
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