La terra dell'abbondanza

Roberto Nepoti

In un certo senso, il soggetto della Terra dell’abbondanza è la parte che manca a Fahrenheit 9/11: la rappresentazione della paranoia americana dopo la data fatidica; i comportamenti di risposta, più e meno stravolti, che la paura va producendo nei cittadini statunitensi. Per semplificare, Wim Wenders ha preso una coppia di atteggiamenti diametralmente opposti, distribuendoli a due componenti della stessa famiglia: Paul, tornato rottame dal Vietnam, e la sua nipotina di vent’anni, Lana. Già compromesso nella mente e nel fisico dall’esperienza giovanile, il reduce vive in una dimensione allucinatoria: si è autonominato addetto alla sicurezza nazionale e s’aggira su un furgone attrezzato di tecnologie e carico d’armi, cercando trame terroristiche da sventare. Lana invece, appena rientrata negli States dopo dieci anni cli assenza, assiste i diseredati della periferia di Los Angeles coltivando l’idealistica speranza che solidarietà e pacifismo Possano sconfiggere la violenza. Dapprima Paul (John Diehl) non vuol sapere della fanciulla (Michelle Williams); in seguito al brutale attentato di cui è vittima un immigrato mediorientale.
però, zio e”nipote finiscono cori l’indagare in coppia. Si tratta di un’indagine esistenziale, dove l’uno e l’altra non scoprono granché sul «caso» ma una quantità di cose intorno a se stessi.
Vecchio innamorato dell’America, anche Wenders è stato colpito intimamente da Ground Zero e, ora, riflette sui cocci del sogno americano. Il risultato lascia alquanto perplessi. Pur nella tragicità degli eventi che fanno da sfondo alla storia, la sindrome di persecuzione da cui Paul è affetto avrebbe richiesto un minimo di distanza ironica, oppure la scelta della dimensione tragica. In mancanza di entrambe, il personaggio del giustiziere immaginario somiglia a un poveraccio con manie di persecuzione; mentre Lana, emblema dello spaesamento dei giovani a fronte di un mondo sempre più minaccioso e incomprensibile, è troppo naive e piena di religioso zelo per assumere la rappresentanza di una generazione. Così, Wenders finisce per cadere nella trappola che era riuscito a evitare ai tempi del suo film migliore, AIice nelle città; dove il rapporto di scambio tra l’adulto e la ragazzina era ricco di emozione senza slittare nel patetico, mentre qui l’epilogo mira a farci tirar fuori i fazzoletti.
Da La Repubblica, 10 settembre 2004


di Roberto Nepoti, 10 settembre 2004