TERRAFERMA (IT/FR, 2011) diretto da EMANUELE CRIALESE. Interpretato da FILIPPO PUCILLO, DONATELLA FINOCCHIARO, GIUSEPPE FIORELLO, MIMMO CUTICCHIO, MARTINA CODECASA, TIZIANA LODATO, CLAUDIO SANTAMARIA, TIMNIT T., FILIPPO SCARAFIA
Due donne adulte, una siciliana che vive in una piccola non segnata sulle mappe geografiche l largo di quella maggiore del Mediterraneo e un’etiope con un bimbo piccolo e una neonata che ha viaggiato dall’Etiopia alla Libia per raggiungere l’Italia: la seconda mette a soqquadro la vita della prima, ma ciò non toglie che entrambe condividano lo stesso sogno, ossia sperare un futuro migliore per i loro figli (e qui si esplicita in tutta la sua spietata e disarmante chiarezza la Terraferma del titolo). Ernesto è un settantenne ancora restio a far rottamare il peschereccio che gli ha dato da lavorare per una vita intero. Suo nipote Filippo, ventenne, perse il padre in mare e divide il suo tempo fra il nonno e lo zio Nino che, da pescatore, è diventato bagnino e animatore turistico su una spiaggia. Giulietta, madre vedova di Filippo e sorella di Nino, avverte che il tempo immutabile di questa isola li ha resi tutti stranieri e che su quell’atollo non potrà sussistere alcuna speranza di futuro, né per lei né per il giovane figlio. Per cambiare e migliorare il tenore di vita, è necessario prendere il toro per le corna e andarsene via. Un giorno il mare fa sbarcare sulle loro spiagge un’imbarcazione carica di clandestini, fra cui la già citata Sara e la sua prole. Ernesto, uomo saggio e tollerante, li ospita in casa propria, come prevede l’antica legge del mare. Ma la nuova legge dell’uomo, razzista, insicuro e sospettoso, non permette che le cose funzionino così e la famiglia Pucillo è destinata ad essere sconvolta e si ritrova costretta a cambiare rotta in men che non si dica. A cinque anni di distanza da Nuovomondo, per cui la Giuria di Venezia si inventò un Leone d’Argento-rivelazione per premiarlo (questo film, invece, conquistò il Premio Speciale della Giuria al Festival 2011), Crialese torna a parlare del tema che gli è più caro: l’immigrazione. Da terra di migranti, e questo lo afferma inequivocabilmente e incontestabilmente la Storia, l’Italia è diventata un Paese che i migranti li accoglie. Ma volentieri o preferirebbe rimandarli indietro? L’opera si pone molte domande, ma non fornisce risposte definitive o secche, e proprio qui sta la sua intrinseca bellezza. Dapprima la vita sull’isola è a base di pescatori che pescano ciò che loro occorre per sopravvivere a livello materiale, figliano parecchio per avere braccia che sappiano maneggiare, una volta adulte, le barche, si accontentano di quanto il mare mette loro a disposizione e accettano il turismo come una risorsa fondamentale da affiancare alla pesca come fonte di introiti. Finché non giungono i clandestini. E a tal proposito, sia per la situazione di omeostasi iniziale sia per quella di squassamento successiva, due sequenze si rivelano significative: la riunione dei pescatori che discutono animatamente sulle decisioni assunte da Ernesto in seguito all’arrivo dei poveri uomini e delle povere donne esteri, collegandola a come si svolgeva il mestiere in questione un tempo quando tali problemi sembravano remoti, e la gita notturna in cui Filippo ruba una barca per portare al largo una turista sua coetanea per poi veder affiorare, grazie al chiarore del lumicino, innumerevoli braccia di carnagione scura che annaspano nell’acqua nel tentativo di montare sul mezzo di locomozione marittimo, provocando lo sdegno e una subitanea reazione sprezzante da parte di Filippo che, governando la barca, riporta la ragazza in porto e si allontana rabbioso in motorino. Un’altra importante scena, non a caso scelta per illustrare il manifesto di locandina, è quella in cui, a bordo dell’ennesima barca, i turisti si gettano in mare per una gara di tuffi, con sottofondo musicale caraibico e Fiorello (in una straordinaria interpretazione in cui le sue origini sicule lo aiutano a costruire un personaggio forte e credibile) in costume da bagno che balla agitando il microfono: è l’illusione di una vacanza tranquilla in cui nessuno viene informato della clandestinità che invade le strade del paese, esclusi i Carabinieri, che però se ne infischiano, salvo quando si tratta di far rimontare sugli scafi i viaggiatori africani e costringerli a rimpatriare. I primi venti minuti sono leggermente fiacchi e l’opera fatica un po’ a spiccare il volo, ma nei restanti settanta si riprende alla grande e assolve il suo significato ampio e profondo di apologo sulla condizione umana del bisognoso, sulla necessità di lasciare una terra cui si è affezionati per giungere in un’altra che non ci vuole e sull’indifferenza dilagante di chi dovrebbe ospitare e mostrarsi clemente e invece quasi sempre esplode nella xenofobia più cruda. Nel repertorio maschile, M. Cuticchio e F. Pucillo (già comparso in Nuovomondo nel ruolo del figlio all’apparenza muto che parla solo nel finale rivelatorio) eccellono, il primo per una recitazione elegante e controllata che è quasi un contraltare alla sua folta barba bianca e il secondo per il carattere del suo personaggio, sconsiderato ma pur sempre intraprendente, mentre fra le donne spicca su tutte D. Finocchiaro interpretando uno dei personaggi migliori della sua carriera, la cui dinamicità narrativa ma anche emotiva funge da contrappeso tra l’accettazione del diverso (scelta che fatica a fare, ma per la quale alla fine opta) e il rifiuto dello stesso. Anche C. Santamaria fa una breve apparizione, nei panni di un capitano dei Carabinieri: essenziale ma efficiente. Musiche: Franco Piersanti. Montaggio: Simona Paggi. Co-prodotto da Cattleya e Rai Cinema in collaborazione con la casa cinematografica francese Canal + e altre sue omologhe di medesima nazionalità.
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