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Trudie Styler a Capri, Hollywood: «Napoli è piena di futuro: nelle sue donne, nei suoi giovani»

Alla manifestazione campana la cineasta ha vinto il Best Documentary Award per il film Posso entrare? An ode to Naples, il racconto di una città di cui si è innamorata. SCOPRI CAPRI, HOLLYWOOD IN STREAMING SU MYMOVIES
di Giovanni Bogani

venerdì 29 dicembre 2023 - Incontri

Raccontare Napoli. Al di là degli schemi, al di là delle convenzioni. Entrando nelle case della gente, facendosi raccontare la loro vita. Quella segreta, invisibile, minuta dei milioni di persone “qualunque”. O quella di chi si espone, in un modo o nell’altro: un parroco coraggioso e geniale, o uno scrittore che ha raccontato la camorra, finendone nel mirino, vittima di una fatwa che lo costringe, da diciassette anni, a vivere sotto scorta. O quella di un attore, che ha deciso di creare una scuola di teatro proprio lì dove sembra attecchire solo la voglia di andarsene via.

Trudie Styler – attrice, produttrice di film non banali come Guida per riconoscere i tuoi santi, attivista impegnata nella difesa dell’ambiente, e moglie di Sting: ma in questo caso l’ex Police c’entra solo marginalmente – è stata premiata al festival Capri, Hollywood - in streaming anche su MYmovies ONE, in corso nell’isola campana, con il Best Documentary Award. Il film che ha diretto, Posso entrare? An Ode to Naples, dopo essere stato applaudito alla festa del cinema di Roma, andrà in onda prossimamente su Raiuno, mentre a febbraio sarà a Berlino, all’European Film Market.

Il titolo è curioso, ma perfetto. “Posso entrare?”. È la domanda che ha fatto lei, a tutti: posso entrare? Ed è entrata, davvero, nelle case dei napoletani, insieme al direttore della fotografia Dante Spinotti. Alcuni dei napoletani che ha incontrato sono famosi: altri sono minuscoli atomi di una città densa di storie, personali e collettive. C’è don Antonio, parroco coraggioso del rione Sanità, che ha aperto la sagrestia agli allenamenti di pugilato dei suoi ragazzi, che ha trasformato la chiesa in sala prove di un’orchestra.

Fra le persone intervistate, anche i volti chiave di Napoli. Come Roberto Saviano, che racconta i suoi 17 anni vissuti sotto scorta, con accenti anche molto intimi, molto personali. Ma senza dimenticare la storia di cui è testimone, la storia che racconta nei suoi libri. C’è Francesco Di Leva, che racconta la nascita di NEST, la scuola di teatro che ha creato, per dare ai giovani un obiettivo, un motivo per rimanere e non andarsene altrove. E c’è Clementino, che trasforma la storia napoletana in un rap.

Il sottotitolo è “Ode to Naples”, ode a Napoli. È il titolo di una poesia di Percy Bysshe Shelley, che in pieno Ottocento raccontò la fascinazione per quella città, con i toni e gli accenti di un grande poeta romantico. Ma le sue parole valgono ancora oggi.

Trudie, come è iniziato tutto?
Fu un pomeriggio a Venezia, una conversazione con un dirigente Rai, l’idea di fare un documentario su Napoli. Ma persone che conoscevo mi scoraggiavano: mi dicevano ‘Napoli è complicata, pericolosa, caotica, piena di problemi… Invece sono andata. E me ne sono innamorata. Perdermi nelle sue strade è stato uno dei più grandi regali, per me.

È entrata letteralmente nelle case della gente.
La vita di Napoli la vedi, quando dalle strade guardi nelle finestre aperte. Mi sono fatta coraggio, ho bussato e ho detto: ‘Posso entrare, signora?’. Bastava un attimo, un caffè, per entrare in confidenza.

Uno dei personaggi fondamentali è don Antonio Loffredo, il parroco del rione Sanità…
Sì. Ha avuto la forza di legare la religione, la coesione sociale, l’attività verso i giovani. È un parroco ribelle e illuminato, ha fatto un miracolo, in quel quartiere. Ha lavorato per la riabilitazione dei detenuti di Secondigliano. È un aggregatore di anime. E ha avuto il coraggio di aprire la sua sagrestia alla musica, e persino al pugilato.

Che cosa ha capito di Napoli che non immaginava, prima?
La seconda parte del titolo è ‘Ode to Naples’, in omaggio a una poesia di Shelley. Nell’Ottocento, Shelley scopriva la bellezza della città. E quasi due secoli dopo, le sue parole risuonano ancora perfette. Shelley scrisse: ‘Tu che sei stata una volta e poi hai smesso di essere, tu sei e sarai per sempre libera, se la speranza, la verità e la giustizia riusciranno a farsi valere’. E decise di vivere a Napoli. 

C’è un momento in cui Sting suona una chitarra fatta con il legno delle barche dei migranti…
Sì: ha suonato ‘Fragile’, è una parte del progetto che Sting porta avanti, a Secondigliano e nel carcere di Milano Opera. Sting ha suonato nel carcere, come dono ai detenuti, con una chitarra fatta del legno delle barche degli immigrati sbarcati a Lampedusa. Come quel legno ha una seconda vita, così possono averla quelle persone. Quelle chitarre portano addosso la memoria delle persone che hanno attraversato mille difficoltà per arrivare qui.
 

Clementino “rappa” la storia di Napoli. Come è nata l’idea?
Conoscevo Clementino da anni, grazie al festival Ischia Global. Gli ho chiesto: te la sentiresti di raccontare la storia di Napoli in un rap? E lui, che è anche appassionato di storia, non ha fatto una piega. Il suo rap avvolge tutto il film.

 


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