jonnylogan
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martedì 5 dicembre 2023
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vogliamo lavorare
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Esordio dietro la macchina da presa estremamente impegnativo per il Giovane Montalbano Michele Riondino che decide di narrare la vita, o sarebbe meglio dire la morte civica, e cinica, della palazzina Laminatoio a Freddo salita ai disonori della cronaca per aver rappresentato il primo caso di Mobbing certificato in Italia e confino ove all’ILVA era consuetudine relegare i dipendenti più scomodi nel quadro di un'ipotetica ristrutturazione aziendale, ai quali fare pagare l’ostinazione nel non voler rinunciare a uno spostamento di reparto e a un demansionamento.
Riondino riserva per sé il ruolo, immaginario a Taranto ma reale in altri punti aziendali presenti nella penisola, del braccio armato della dirigenza aziendale.
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Esordio dietro la macchina da presa estremamente impegnativo per il Giovane Montalbano Michele Riondino che decide di narrare la vita, o sarebbe meglio dire la morte civica, e cinica, della palazzina Laminatoio a Freddo salita ai disonori della cronaca per aver rappresentato il primo caso di Mobbing certificato in Italia e confino ove all’ILVA era consuetudine relegare i dipendenti più scomodi nel quadro di un'ipotetica ristrutturazione aziendale, ai quali fare pagare l’ostinazione nel non voler rinunciare a uno spostamento di reparto e a un demansionamento.
Riondino riserva per sé il ruolo, immaginario a Taranto ma reale in altri punti aziendali presenti nella penisola, del braccio armato della dirigenza aziendale. Pronto a riferire chi siano i colleghi, in particolar modo sindacalisti, più combattivi e quindi più indicati per essere deportati alla palazzina del titolo. La descrizione di Caterino che ci sfila davanti allo sguardo, è quella di un uomo semplice ma deciso, che vive la vita di fabbrica come un mezzo economico con il quale affermarsi socialmente e che nelle relazioni sindacali non intravede nulla di buono se non un mare di parole inutili. A fargli da contraltare, ma sarebbe meglio dire da spalla e manovratore, l'untuoso Elio Germano calatosi come sempre alla perfezione nella parte di Giancarlo Basile, dirigente capace di avvicinare Caterino carpendone la buona fede con fare mefistofelico in cambio di auto aziendale e conseguente promozione immeritata. Il contorno è quello di una fabbrica che nel corso degli anni ha avvelenato non solo la città di Taranto ma ha rovinato la vita a numerose persone; vittime dei soprusi come quelli perpetrati sul finire degli anni '90.
Pellicola come dicevamo civica che il regista, Tarantino DOC, con un fratello ammalatosi per aver lavorato proprio all’ILVA, ha voluto girare sulla scia del cinema d’impegno sociale che fece la fortuna di Elio Petri e Gian Maria Volonté, difficile in Caterino non intravedere l'ombra di Ludovico "Lulù" Massa protagonista di La classe Operaia va in Paradiso (id.; 1971) ma senza quella presa di coscienza che, nella pellicola di Petri, ne contraddistinguevano la catarsi. Pellicola il cui contenuto funziona, per merito di tutto il cast, come un orologio di fattura pregiata e che non sembra assolutamente creato da un regista esordiente.
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clara stroppiana
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sabato 16 dicembre 2023
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la fabbrica torna al cinema
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Da troppi anni il cinema italiano non entrava in una fabbrica per raccontarla. Con Palazzina LAF torna il cinema di impegno civile di Petri, di Rosi. E Riondino alla sua prima regia, sceglie il cinema di denuncia inserendosi in un ristretto numero di contemporanei a fianco del Vicari di Diaz e del Segre de L’ordine delle cose.
Siamo all’ILVA di Taranto, ora ex ILVA, che per anni ha riempito tristemente le cronache per le violazioni ambientali causa di migliaia di morti di cui si è resa responsabile, i casi giudiziari che l’hanno coinvolta, il ruolo dello Stato nella sua (s)vendita. E su tutto, il conflitto che ha diviso la popolazione tra tutela del lavoro e tutela della salute.
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Da troppi anni il cinema italiano non entrava in una fabbrica per raccontarla. Con Palazzina LAF torna il cinema di impegno civile di Petri, di Rosi. E Riondino alla sua prima regia, sceglie il cinema di denuncia inserendosi in un ristretto numero di contemporanei a fianco del Vicari di Diaz e del Segre de L’ordine delle cose.
Siamo all’ILVA di Taranto, ora ex ILVA, che per anni ha riempito tristemente le cronache per le violazioni ambientali causa di migliaia di morti di cui si è resa responsabile, i casi giudiziari che l’hanno coinvolta, il ruolo dello Stato nella sua (s)vendita. E su tutto, il conflitto che ha diviso la popolazione tra tutela del lavoro e tutela della salute. Ma noi, il pubblico, anche il più attento, poco sapevamo o forse nulla, della Palazzina LAF, ennesimo strumento dei padroni per mantenere il lavoratore in uno stato ansiogeno di soggezione e precarietà. Il film, ambientato nel 1997, è di un’attualità drammatica se ancora in questi giorni (dicembre 2023) gli operai dello stabilimento, ora nelle mani di una multinazionale indiana, sono costretti a manifestare contro una gestione disastrosa che mette a rischio il loro lavoro e la loro vita.
Michele Riondino riesce bene a ritrarre l’inferno dell’acciaieria più importante d’Europa grazie ad una buona padronanza del linguaggio cinematografico nel suo complesso. Dalla fotografia alla sceneggiatura, all’efficacissimo montaggio. Le musiche originali di Theo Teardo giocano un ruolo importante nel creare un universo sonoro assordante e distopico, ma già realtà nelle giornate alienanti degli operai confinati alla LAF dove anche la salute mentale è a rischio. Sfruttamento, controllo, atteggiamenti persecutori nei confronti del lavoratore scomodo, sono da sempre strumenti del “padrone” che delega il lavoro sporco al dirigente, qui ben interpretato da Elio Germano, che fa del cinismo la sua legge morale. Ottimo anche Riondino nei panni di un operaio qualunquista senza una coscienza di classe, che volentieri accetta di spiare e riferire ai capi i comportamenti dei compagni, in cambio di qualche miglioramento economico.
Tutti i personaggi sono tratteggiati con cura, ben caratterizzati, con qualche venatura grottesca, e nessuno ci appare secondario perché nella coralità dell’insieme rappresentano, cioè mettono in scena, una tragedia operaia che è la tragedia di una città e di una terra diventata “un campo minato” come canta Diodato nel brano La mia terra, parte della colonna sonora del film. Ancora in tema di suoni, apprezzabile la scelta di lasciare i dialoghi in dialetto tarantino con sottotitoli.
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venerdì 8 dicembre 2023
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finalmente un film sul lavoro
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Riondino debutta assai bene con un film sul grande assente del cinema italiano, il lavoro in fabbrica, tema che è praticamente scomparso dal cinemino italico post '80, ben attento a raccogliere la vulgata della scomparsa dell'operaio. Lo fa con un film con il tono caustico e sulfureo della migliore commedia anni '70, quella che mozzica, con echi evidenti di Elio Petri, utilizzando per la maschera attoriale del suo personaggio, il protagonista, un beffardo mix di richiami ai grandi mattatori dell'epoca, soprattutto al Giannini Werthmulleriano. Da vedere.
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matteo
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giovedì 22 febbraio 2024
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il non lavoro come lavoro
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Il confino aziendale come pratica segregatrice e punitiva dei lavoratori non allineati o improduttivi mi era del tutto sconosciuta. Questo film ne traccia una storia dettagliata all'interno del grande polo industriale dell'Ilva di Taranto e per quanto mi riguarda i meriti di questo film finiscono qua. Riondino tocca molti temi del lavoro di fabbrica all'interno dell'Ilva (ma generalizzabili al lavoro industriale) senza approfondirne in modo significativo nemmeno uno. Ma il limite maggiore sono i personaggi che mi sembrano troppo scontati e poco autentici ridotti a macchiette caratteriali, in particolar modo Basile (Elio Germano) che risulta nella mimica e nei comportamenti un burattino grottesco.
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Il confino aziendale come pratica segregatrice e punitiva dei lavoratori non allineati o improduttivi mi era del tutto sconosciuta. Questo film ne traccia una storia dettagliata all'interno del grande polo industriale dell'Ilva di Taranto e per quanto mi riguarda i meriti di questo film finiscono qua. Riondino tocca molti temi del lavoro di fabbrica all'interno dell'Ilva (ma generalizzabili al lavoro industriale) senza approfondirne in modo significativo nemmeno uno. Ma il limite maggiore sono i personaggi che mi sembrano troppo scontati e poco autentici ridotti a macchiette caratteriali, in particolar modo Basile (Elio Germano) che risulta nella mimica e nei comportamenti un burattino grottesco. Lo stesso protagonista riversa l'odio di classe sulla sua classe di appartenenza senza nessun scupolo di coscineza. Sul lavoro c'è bisogno di narrazioni lucide e sagaci e questa non credo che lo sia. Insomma Ken Loach è un'altra cosa.
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