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venerdì 8 marzo 2024
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da vedere
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danix
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giovedì 29 febbraio 2024
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bel film
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i 2 protagonisti bravissimi, in particolare mastandrea, il film è drammatico con parti in cui si ride e parti in cui si riflette. Finale molto bello
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giovedì 22 febbraio 2024
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ideologico anacronistico
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legato ancora a certi canoni che cercano di far diventare cosa comune certe situazioni eccezionali errate
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mercoledì 7 febbraio 2024
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bello
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cinenerd
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mercoledì 31 gennaio 2024
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se lo critichi ti arrestano
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Un lungo spot che punisce gli uomini indiscriminatamente.
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luigiluke
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mercoledì 24 gennaio 2024
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non basta il bianco e nero ...
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… a fare di una pellicola un film autoriale, che peraltro di per sé non è sinonimo di capolavoro.
E non basta neanche raccontare una storia modellata sulla retorica del momento per renderla credibile.
C’è Ancora Domani si lascia vedere ma, a prescindere dai paragoni fin troppo generosi che lo hanno avvicinato, anche solo idealmente, a veri capolavori del neorealismo italiano, si rivela prima di tutto un film didascalico.
Rimane alla fine quel retrogusto di una lezioncina propinata con il ditino a chi, peraltro, non avendo vissuto il periodo in cui viene ambientata la storia lo può conoscere solo sulla base di racconti. Che magari sarebbe meglio non fossero modellati sull’ideologia dell’oggi.
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… a fare di una pellicola un film autoriale, che peraltro di per sé non è sinonimo di capolavoro.
E non basta neanche raccontare una storia modellata sulla retorica del momento per renderla credibile.
C’è Ancora Domani si lascia vedere ma, a prescindere dai paragoni fin troppo generosi che lo hanno avvicinato, anche solo idealmente, a veri capolavori del neorealismo italiano, si rivela prima di tutto un film didascalico.
Rimane alla fine quel retrogusto di una lezioncina propinata con il ditino a chi, peraltro, non avendo vissuto il periodo in cui viene ambientata la storia lo può conoscere solo sulla base di racconti. Che magari sarebbe meglio non fossero modellati sull’ideologia dell’oggi.
Sia chiaro: non intendo discutere sull’importanza delle questioni femminili, nel presente come nel passato, ma ci sono lavori cinematografici che le hanno portate in superficie molto meglio di questo. Perché quello che appare nel film della Cortellesi è il ritratto di un mondo che francamente appare inverosimile, con personaggi tutti in bassorilievo, perciò poco credibili e alla fine anche un po’ stancanti.
A cominciare dal grottesco Ivano Santucci che più che un patriarca sembra un disagiato, violento a prescindere, come neppure certi villain di veri film truculenti; e però al tempo stesso ostaggio di un padre padrone allettato, da cui riceve a bocca aperta consigli e rimproveri a dir poco risibili (tipo quello per cui ci si dovrebbe sposare solo con la “cugina”). Per poi piangerlo, al momento della morte, in un modo che non si capisce se deve apparire realistico o far ridere.
La stessa Cortellesi interpreta un ruolo monotematico, di donna angheriata, ma che sa anche essere abile manipolatrice, al punto di arrivare a far diventare vittima delle sue macchinazioni la propria figlia, a cui vuole impedire di proseguire nel fidanzamento con un tipo innocuo, raffigurato pure lui come una macchietta, che ha per giunta il torto di essere “figlio di …”, in accezione ovviamente negativa (tornerò poi anche su questo profilo).
Anche il finale della storia è stucchevole ed oltretutto inverosimile: che senso ha infatti vedere Delia doversi inventare una scusa con il marito per uscire di prima mattina e andare a votare? Neanche fosse sotto sequestro in casa, da dove invece l’abbiamo vista uscire tranquillamente per tutto il corso del film.
Se poi il significato “profondo” della pellicola doveva essere rappresentato dalla sequenza delle donne sulla scalinata del seggio e dallo sguardo di (quasi) tutte loro verso Ivano che risponde arricciando il baffo, a far valere che da quel momento (“domani”, cioè) saranno disposte a combattere insieme tutti gli Ivani di questo mondo, il fatto che subito dopo debba apparire una didascalia che spieghi che finalmente le donne avevano acquisito il diritto elettorale attivo fa capire che la regista non era convinta fino in fondo della forza evocativa di quell’immagine. O che comunque lo “spiegone” finale era necessario per rafforzare il monito ai presenti in sala.
In realtà quello che resta dopo le quasi due ore di vicende raccontate da Dalia è la sensazione di un pregiudizio culturale, per non dire sociale, in cui l’essere povero e vivere in borgata è sinonimo di ignoranza e violenza domestica; in cui il soldato di colore (immancabile pure lui, anche se poi non si capisce perché doveva essere nero) appare come un goffo corteggiatore, così facilmente suggestionabile da diventare senza remore autore di un crimine su commissione.
In cui i futuri consuoceri di Ivano e Dalia sono caricaturati come “contadini arfatti”, come tali disprezzati da tutti perchè lo siano, naturalmente, anche da parte del pubblico.
Che non deve provare empatia per i rimpianti della giovane figlia che perde il fidanzato perché Dalia, con il solito ditino, le ha già spiegato che tutti gli uomini sono uguali, cominciano bene ma poi diventano cattivi e prevaricatori. Come papà Ivano che in realtà finisce solo per fare la parte del perfetto idiota.
Insomma dopo averlo visto 3 volte cercando di cogliere le sfumature che al primo assaggio mi erano sfuggite, ma che dovevano pur esserci visto che tantissimi hanno gridato al capolavoro, ho dovuto arrendermi all’idea che come già per il tremendo Tolo Tolo di due anni fa, in Italia un film viene giudicato soprattutto per l’idea di fondo che deve essere conforme a ciò che “si pensa” di una certa cosa in un certo periodo.
Però sono arrivato alla fine, tre volte. Quell’altro avevo faticato a vederlo per intero.
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felicity
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venerdì 19 gennaio 2024
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lodi alla confezione e al piglio dell’autrice
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Una pregevole ambientazione in bianco e nero nella Roma del ’46, anzi in una Roma ricalcata con devozione sui capolavori del neorealismo. Ma poi “C’è ancora domani” perde subito il filo dell’omaggio e passa al progetto motivato dalla rabbia e la protesta in nome e per conto delle donne vittime del sistema patriarcale sopravvissuto alla caduta del fascismo (e oltre).
Detto fatto, Delia si sveglia e il marito Ivano (Mastandrea) al posto del buongiorno le molla una sberla: il figuro è il padre/padrone dei suoi figli, di lei stessa e persino degli spiccioli che guadagna alternando lavori da sarta e iniezioni a domicilio. Nel loro seminterrato (i cani di passaggio fanno la pipì sulle finestre) non manca per il buon peso il suocero allettato Ottorino (Colangeli), atroce maschilista che alla poveretta augura d’”imparà a stà zitta” e ricevere un “fracco de legnate” dal coniuge.
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Una pregevole ambientazione in bianco e nero nella Roma del ’46, anzi in una Roma ricalcata con devozione sui capolavori del neorealismo. Ma poi “C’è ancora domani” perde subito il filo dell’omaggio e passa al progetto motivato dalla rabbia e la protesta in nome e per conto delle donne vittime del sistema patriarcale sopravvissuto alla caduta del fascismo (e oltre).
Detto fatto, Delia si sveglia e il marito Ivano (Mastandrea) al posto del buongiorno le molla una sberla: il figuro è il padre/padrone dei suoi figli, di lei stessa e persino degli spiccioli che guadagna alternando lavori da sarta e iniezioni a domicilio. Nel loro seminterrato (i cani di passaggio fanno la pipì sulle finestre) non manca per il buon peso il suocero allettato Ottorino (Colangeli), atroce maschilista che alla poveretta augura d’”imparà a stà zitta” e ricevere un “fracco de legnate” dal coniuge. In questo contesto da incubo i barlumi di speranza sono costituiti dall’amicizia con la fruttivendola Marisa (Fanelli) e Nino (Marchioni), ex spasimante che lavora in un’autofficina e vorrebbe portarla al nord, dall’incontro con un soldato yankee nero ereditato pari pari da “Paisà” e dalla misteriosa lettera recapitata a sorpresa proprio alla “pezza da piedi” della famiglia. Il doppio binario narrativo, purtroppo, collima poco con la lezione d’alta e complessa umanità tramandata dai maestri neorealisti e neppure con la lettura più moderna, cinica e disincantata realizzata dai big della commedia all’italiana (“Dramma della gelosia”, “C’eravamo tanto amati”, “Una giornata particolare”): se sul versante del dramma, infatti, la “rabbia” di cui sopra induce a tagliare le situazioni con l’accetta, su quello della commedia il sistematico ricorso alle tonalità sopra le righe non di rado stona (come dimostra la sequenza che mischia in un crescendo imbarazzante ballo liberatorio e sordida violenza). Anche le musiche che, grazie all’audace contaminazione tra quelle d’epoca e gli hit contemporanei, potrebbero fornire alla regia uno degli spunti vincenti non sono montate adeguatamente e a volte danno l’impressione d’essere introdotte con tanto di cartelli esplicativi fuori campo. Le lodi alla confezione e al piglio dell’autrice, si sa, non costano niente e in linea generale la Cortellesi le merita: però è l’operazione nel suo insieme che sembra premeditata e programmata a tavolino, puntando dritta, cioè, ai David di Donatello e gli altri premi nazionali allineati e corretti. Soprattutto il finale con il referendum monarchia/repubblica aperto anche alle donne appare incongruo, forzato e ideologico specie a chi ritiene, nel ricordo dello stesso evento messo in scena da Risi in “Una vita difficile”, che non l’esemplarità didascalica, bensì le sfumature facciano al cinema tutta la differenza.
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giamarmas
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martedì 16 gennaio 2024
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non mi è piaciuto
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Mi dissocio dall'entusiasmo generale. L'ho visto solo due giorni fa e non mi capacito di come questo film possa piacere. È un film buonista, consolatorio, per i tempi che, ahimè, viviamo. Le scene e i dialoghi sono forzati, banali. Non mi sono piaciute nemmeno le interpretazioni. Persino il bianco e nero risulta falsato. Il punto di vertice è l'alleanza complice con un soldato americano con il quale la protagonista non parla una parola d'inglese. L'arte vera è un'altra cosa. Per conoscere o riflettere su queste tematiche c'è ben altro in giro, sia nel cinema che nella narrativa.
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luciano sibio
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domenica 7 gennaio 2024
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riprodurre il cinema del neorealismo
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Diciamo che riprodurre il cinema del neorealismo introducendo delle note moderne nella colonna sonora con canzoni di oggi è stata una trovata geniale e originale che ne migliora la lettura da parte del pubblico odierno.
Così come geniale e originale è stata l'attenuazione di alcune scene di violenza con dei passi di danza che cancella un oramai abusato vizio della cinematografia mediante la quale si vuole evidenziare la drammaticità di una situazione
quando magari non serve in quanto il messagio è già arrivato.Inoltre,in questo modo, non si priva il film di quel suo sapore da commedia a cui il cinema italiano è di solito più vocato.
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Diciamo che riprodurre il cinema del neorealismo introducendo delle note moderne nella colonna sonora con canzoni di oggi è stata una trovata geniale e originale che ne migliora la lettura da parte del pubblico odierno.
Così come geniale e originale è stata l'attenuazione di alcune scene di violenza con dei passi di danza che cancella un oramai abusato vizio della cinematografia mediante la quale si vuole evidenziare la drammaticità di una situazione
quando magari non serve in quanto il messagio è già arrivato.Inoltre,in questo modo, non si priva il film di quel suo sapore da commedia a cui il cinema italiano è di solito più vocato.
Non mi attardo sul valore contenutistico e oserei direi che è un primo significativo tentativo di raccontare nel cinema tramite le vicissitudini di un donna stessa le traversie passate dalle nostre madri e nonne e il loro contributo a un certo
rinnovamento di cui oggi, forse non se ne avverte più la portata e l'importanza.
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olmo
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domenica 7 gennaio 2024
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un film intelligente
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Una vera sorpresa: finalmente un film intelligente, su un tema importantissimo ed attuale! Bello.
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