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Jerry Lee Lewis: Trouble in Mind, un viaggio nella complessità di un Dio del rock 

Con il suo primo film in solitaria, Ethan Coen rende omaggio a mostro sacro mostrandone tutti i lati oscuri. Fuori Concorso.
di Roberto Manassero

lunedì 23 maggio 2022 - Cannes Film Festival

Al primo lavoro da “solista”, Ethan Coen rende omaggio a un mostro sacro del rock mettendo in mostra il lato oscuro di un artista nevrotico e fuori controllo, capace di convogliare la sua inquietudine sui tasti di un pianoforte.

Nel suo montaggio serrato di appena un’ora e dieci minuti, il regista insiste sulla ripetitività dei riff delle canzoni di Jerry Lee Lewis, sulla fisicità scattante e isterica dello showman, sulla naturalezza di un sound che esce dalle dita del suo autore, così come dal suo cuore, e pare sfogare un’ansia e un’inquietudine senza nome. 

Molti momenti mostrati dal film hanno qualcosa di impressionante: un duetto in tv con Tom Jones; i filmati televisivi anni ’60, con il pubblico sudato e affannato che circonda e quasi travolge Jerry Lee Lewis. Sul palco circondato dai suoi musicisti, seduto di tre-quarti al pianoforte, mentre canta guardando il pubblico come un pazzo scatenato Jerry Lee Lewis svetta come un Dio del rock, alla pari di Chuck Berry, di Elvis e di tutti gli altri mostri sacri ai quali è sopravvissuto. Oltre c’è un mondo di oscurità e violenza, che tocca proprio al rock rendere solo una possibilità, o al massimo un ricordo. 

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