athos
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venerdì 26 novembre 2021
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una storia personale
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Immagino lo scorrere dei ricordi di Sorrentino nel preparare e dirigere questo film. E' stata la mano di Dio, urla lo zio al funerale, e titolo non sarebbe più eloquente. Il destino traccia linee imprevedibili. Ciononostante il film mi è sembrato scorrere su binari canonici, dove le emozioni erano come attutite. Bellissimo il ritratto della madre.
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l.b
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giovedì 25 novembre 2021
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il cuore di sorrentino
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“È stata la mano di Dio” è un film di formazione con una forte matrice autobiografica. Nonostante la filmografia di Sorrentino sia costellata da momenti intimi, questa è indubbiamente la sua opera più personale ed allo stesso tempo equilibrata. Il film è permeato dalla presenza costante dei suoi due punti di riferimento, due figure connotate da un’aurea divina: Maradona e Fellini. Quest’ultimo viene anche omaggiato da Sorrentino in diverse sequenze. I personaggi, ricchi di sfumature, sono molto umani e dunque vengono rappresentati con le loro debolezze. Su tutti spiccano le figure dei suoi genitori legati da un amore incondizionato, nonostante i problemi coniugali che tutte le coppie vivono (più o meno grandi che siano).
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“È stata la mano di Dio” è un film di formazione con una forte matrice autobiografica. Nonostante la filmografia di Sorrentino sia costellata da momenti intimi, questa è indubbiamente la sua opera più personale ed allo stesso tempo equilibrata. Il film è permeato dalla presenza costante dei suoi due punti di riferimento, due figure connotate da un’aurea divina: Maradona e Fellini. Quest’ultimo viene anche omaggiato da Sorrentino in diverse sequenze. I personaggi, ricchi di sfumature, sono molto umani e dunque vengono rappresentati con le loro debolezze. Su tutti spiccano le figure dei suoi genitori legati da un amore incondizionato, nonostante i problemi coniugali che tutte le coppie vivono (più o meno grandi che siano). C’è una dicotomia costante tra il disinteresse per la realtà decadente e la continua ricerca della meraviglia, dello straordinario e della bellezza. L’opera rappresenta la massima espressione del concetto di cinema di Sorrentino, ovvero come evasione da una realtà, per l’appunto, spesso deludente. Il mezzo è utilizzato per rivivere i ricordi e, laddove questi non arrivano, per creare attraverso l’immaginazione. Nonostante la giovinezza del protagonista sia stata spezzata troppo presto, le emozioni tipiche del passaggio dall’adolescenza all’età adulta sono narrate in modo universale. In questo periodo così particolare i sogni sembrano talmente grandi che sono difficili anche da raccontare. Ma, come insegna Maradona, per tirarli fuori dal cassetto e realizzarli occorre “solo” una cosa: la perseveranza.
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[+] "molto umani"
(di anna rosa)
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francesca meneghetti
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giovedì 25 novembre 2021
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e' stata la mano di dio?
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Com’è che, dopo aver visto un film con un nucleo drammatico, si esce dal cinema con il sorriso, quello stesso sorriso che si stampa sul volto di Fabio, mentre viaggia in treno verso Roma, lasciandosi Napoli alle spalle, ma solo fisicamente? Il miracolo avviene forse per la stessa ragione per cui un racconto autobiografico riesce a evitare egocentrismi, ma racconta un’esperienza luttuosa – improvvisa e precoce – che, se non è di dominio universale per fortuna, può accadere purtroppo a molti. Sorrentino, per fare i conti con il proprio passato, ha puntato su un giovanissimo e bravissimo attore, Filippo Scotti, ovvero su un protagonista, Fabio (anzi, all’inizio Fabietto) che si esprime soprattutto con lo sguardo.
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Com’è che, dopo aver visto un film con un nucleo drammatico, si esce dal cinema con il sorriso, quello stesso sorriso che si stampa sul volto di Fabio, mentre viaggia in treno verso Roma, lasciandosi Napoli alle spalle, ma solo fisicamente? Il miracolo avviene forse per la stessa ragione per cui un racconto autobiografico riesce a evitare egocentrismi, ma racconta un’esperienza luttuosa – improvvisa e precoce – che, se non è di dominio universale per fortuna, può accadere purtroppo a molti. Sorrentino, per fare i conti con il proprio passato, ha puntato su un giovanissimo e bravissimo attore, Filippo Scotti, ovvero su un protagonista, Fabio (anzi, all’inizio Fabietto) che si esprime soprattutto con lo sguardo. Uno sguardo intenso ed eloquente. Pur essendo un liceale maturando, non usa gli strumenti della dialettica per contestare e affermarsi rumorosamente: si limita a qualche citazione dantesca. Per il resto osserva e tace. Osserva la sua tribù familiare, affollata, ridanciana, a tratti grottesca, al vertice della quale ci sono i suoi genitori: una coppia allegra, affiatatissima. Lei amante degli scherzi e della giocoleria. Lui, borghese e comunista, ironico, innamorato della moglie (ma capace anche di tradirla, sapendosi perdonato). Attraverso il suo sguardo l’attenzione si sposta da sé agli altri: impossibile enumerare tutti i personaggi minori, fortemente caratterizzati in senso felliniano, che ruotano attorno alla sua famiglia. Fabio osserva Napoli. Una Napoli in qualche modo di nicchia. Non i quartieri spagnoli e il degrado (tranne alcune scene che riguardano l’amico contrabbandiere). Ma il Vomero, i quartieri decorosi, piazza Plebiscito, lo stadio (che importa, eccome!), ma anche vecchi palazzi misteriosi. E poi il mare. Visto da terrazze verdi sopraelevate. Visto da riva, nella splendida cornice che accompagna il bagno serale del regista Capuano. Visto dal largo, verso la città, nella prima sequenza a volo d’uccello (ma anche in quella notturna). E qui forse il suo sguardo si identifica con quello del regista, che di Napoli sembra ricordare solo l’azzurro, i bagni, le luci notturne che si riflettono nel golfo. Osserva ancora, Fabio, gli adulti, gli amori, i tradimenti, le fragilità, il richiamo erotico che promana anzitutto dalla splendida e infelice zia Patrizia, il tentativo di affermazione nel cinema dell’amato fratello maggiore, la riservatezza della sorella, sempre chiusa in bagno, mai visibile (le ragioni della sua assenza possono essere molteplici). Perché sì, il film può essere anche letto come bildungsroman, romanzo di formazione. Infatti questa tensione verso il futuro che lo aspetta (il cinema, capace di trasfigurare una realtà che è molto impoetica?), pieno di speranze (e l’arrivo di Maradona in città ne è l’emblema) conosce una brusca interruzione (una tragedia, la stessa vissuta da Sorrentino) Ma, dopo la disperazione e la rabbia, matura una nuova vita, più adulta e consapevole. È poetico e patetico, oltretutto, il modo in cui Fabio, perdendo la verginità, viene a scoprire che la vita riserva anche dei piaceri, oltre al dolore immenso che ha vissuto. E’ difficile catalogare il film secondo le regole classiche che definiscono tragedia e commedia: nella prima si inizia bene e si finisce male, nella seconda al contrario. Qui si ride moltissimo nella prima parte (quando Fabietto è immerso in quella sua pittoresca tribù familiare che tutto condivide). Si piange nella seconda assieme a Fabio, ormai adulto, e solo. Ma ci si rasserena verso la fine. Alla “mano di Dio” (metafora della Provvidenza), che avrebbe salvato Fabietto dalla stessa fine dei suoi genitori (avendo scelto la partita del Napoli alle sciate a Roccaraso) può credere solo uno zio di Fabio (lo stesso che nel gol inflitto da Maradona all’Inghilterra ravvisa una vendetta politica per la guerra delle Falkland). Ma la Resurrezione può avvenire anche laicamente.
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