mauro.t
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mercoledì 15 dicembre 2021
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midcult travestito da fellini.
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Sorrentino offre un omaggio alla sua città in un film autobiografico. E’ la Napoli degli anni ’80, quando arriva Maradona a muovere l’entusiasmo dei napoletani e a trascinarli in un riscatto che va oltre i confini del calcio. Il protagonista Fabietto guida lo spettatore tra i componenti della sua amata e particolare famiglia, e tra altri personaggi pittoreschi della Napoli di quegli anni. Ma la disgrazia arriva con la morte dei genitori per fuga di monossido di carbonio, che imporrà al protagonista di accelerare la sua crescita. Il saluto del “munaciello” alla stazione sottolinea l’amore del regista per la città e il suo folklore.
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Sorrentino offre un omaggio alla sua città in un film autobiografico. E’ la Napoli degli anni ’80, quando arriva Maradona a muovere l’entusiasmo dei napoletani e a trascinarli in un riscatto che va oltre i confini del calcio. Il protagonista Fabietto guida lo spettatore tra i componenti della sua amata e particolare famiglia, e tra altri personaggi pittoreschi della Napoli di quegli anni. Ma la disgrazia arriva con la morte dei genitori per fuga di monossido di carbonio, che imporrà al protagonista di accelerare la sua crescita. Il saluto del “munaciello” alla stazione sottolinea l’amore del regista per la città e il suo folklore.
Ricalcando Fellini, Sorrentino introduce figure bizzarre, che però non raggiungono lo status di rappresentazione simbolica e quasi onirica che avevano nel cinema felliniano e rischiano di rimanere delle macchiette, come l’obesa Annarella e il suo pretendente storpio senza corde vocali, o la nonna sboccata che indossa la pelliccia anche d’estate. Il regista Capuana poi, al quale Fabio confessa nella parte finale la sua intenzione di fare film, è di una aggressività e di un turpiloquio imbarazzanti. Difficile vedere in lui un maestro.
Ma c’è di peggio quando si scade nello stereotipo delle differenze nord-sud, come avviene con l’altoatesina rigida e credulona che non digerisce lo scherzo (cattivo) della burlona mamma del protagonista, e insulta tutti i napoletani. Stereotipo è anche quello delle ragazze che trascorrono in bagno tempi esagerati: la sorella che esce dalla toilette solo alla fine del film sembra più un personaggio da barzelletta che un elemento funzionale.
La scena dell’anziana baronessa che inizia Fabietto al sesso è più vicina al cinema horror che a Fellini, a allo spettatore viene legittimo chiedersi se al ragazzo basti pensare alla bellissima e conturbante zia Patrizia per avere un’erezione con quelle carni cadenti.
In questo zoo di figure simpatiche ma un po’ finte, la comparsa a Capri di Kashoggi, l’uomo più ricco del mondo, con una escort, è puramente decorativa.
Sorrentino ci racconta un pezzo della sua vita, ma non riesce ad andare oltre la macchietta e il senso comune, cosa che un artista dovrebbe saper fare. Rimanere orfani è un trauma, ma l’amore per i genitori è un tema da italiano medio, è considerato da tutti ovvio. Sentirsi abbandonati dai genitori defunti è ovvio. Le cose interessanti da affrontare sono altre: il non detto, il rancore, ma nel film non ci sono. La rivelazione sconvolgente dell’esistenza di un fratello sconosciuto non ha seguito, cade subito.
A Fabietto non è stato permesso di vedere i corpi dei genitori e Sorrentino esaspera la reazione del ragazzo con l’intenzione di fare apparire incommensurabile il suo dolore, ma sembra così dimenticare la realtà recente del Covid e mancare di rispetto a tutti coloro che non hanno potuto vedere i loro parenti stretti dopo la morte e hanno accettato la situazione con dignità, senza distruggere la sala d’aspetto per la rabbia.
Sorrentino cerca di rendere interessante la sua storia usando lo stile di Fellini, ma questo film risulta un prodotto un po’ deludente di midcult, è cultura media che cerca di sembrare arte di alto livello.
“’A tieni ‘na cosa e dìcere?” gli chiede Capuana. No, Sorrentino non la teneva.
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rosmersholm
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mercoledì 15 dicembre 2021
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illuso
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Sorrentino è come quei giocatori di poker che riescono a vincere senza mai mostrare le carte. L'illusione/allusione continua è a Fellini, ma non vale 10 minuti di Amarcord. Eppure la vita è così, chi vince ha sempre ragione...
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francesca bogani
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domenica 12 dicembre 2021
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cinque film in uno
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Non si capiscono diverse cose: innanzitutto perche' non mettere dei sottotitoli in italiano quando si parla in napoletano? Qual era la trama? Le emozioni del ragazzo (tra l'altro bravissimo)? Che senso avevano i parenti, il fratello, il rapporto con la zia, la sua passione per Maradona, per il cinema, l'incontro con questo ragazzo delinquente, la ragazza attrice, il regista Capuano? E molto di piu'. Si capisce che ha un fratellastro ma neanche lo conosce. C'erano molti temi e passaggi importanti che non sono stati sviluppati, secondo me. La prima parte era leggera e divertente, ma non si capisce il senso di molte cose, troppe. Non lo consiglo.
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alex2044
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domenica 12 dicembre 2021
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intrattenimento e cultura una fusione perfetta
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Un bel film , per me bellissimo . Una autobiografia romanzata che prende al cuore dal primo momento . La storia avrebbe potuto essere trattata , visto il suo lato tragico , in modo pesante e lacrimevole ma Sorrentino ha voluto trasformarla , nella prima parte , in una scintillante presentazione di personaggi divertenti e spiritosi . La tragedia incombe ma lui ha preferito allontanarla facendoci sorridere ed in qualche momento ridere a crepapelle . Il tutto senza trasformare i personaggi in macchiette maleducate e petulanti . Ma mostrandoceli in tutta la loro vera e profonda umanità . Nella seconda parte la cesura è netta . Non si ride più ma in compenso si pensa e si riflette , sui percorsi , spesso tortuosi che si devono percorrere per trovare la propria strada nella vita .
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Un bel film , per me bellissimo . Una autobiografia romanzata che prende al cuore dal primo momento . La storia avrebbe potuto essere trattata , visto il suo lato tragico , in modo pesante e lacrimevole ma Sorrentino ha voluto trasformarla , nella prima parte , in una scintillante presentazione di personaggi divertenti e spiritosi . La tragedia incombe ma lui ha preferito allontanarla facendoci sorridere ed in qualche momento ridere a crepapelle . Il tutto senza trasformare i personaggi in macchiette maleducate e petulanti . Ma mostrandoceli in tutta la loro vera e profonda umanità . Nella seconda parte la cesura è netta . Non si ride più ma in compenso si pensa e si riflette , sui percorsi , spesso tortuosi che si devono percorrere per trovare la propria strada nella vita .
La scena del colloquio, di lui ragazzo , con il regista napoletano genialoide è , per me il momento migliore del film . Un vero e proprio esercizio di regia e interpretazione magistrale che in teatro avrebbe portato il pubblico ad un applauso ininterrotto . Il finale è quasi mistico e Napoli è bellissima e la meravigliosa musica di Pino Daniele che accompagna i titoli di coda ti porta alla commozione . Bravo Sorrentino , ancora una volta ha fatto centro . Mi ha fatto ridere ed anche pensare . Insomma in questo film convivono , due parti fondamentali di una opera cinematografica , l'intrattenimento e la cultura quindi non manca proprio nulla . Cosa si vuole di più ?
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ornellaflora
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domenica 12 dicembre 2021
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napoletani come macchiette, è nuovo??!?
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Ho cercato nel film un pretesto per innamorarmene ma non ci sono riuscita.
Come ammiratrice di Sorrentino mi sono fatti bastare l’incipit e le battute familiari, gli arredi anni 80, la nostalgia della gioventù a Napoli che condivido con l’autore, conosciuto 50 anni fa al mare con la sorella Daniela .
La fotografia è notevole , accurata ma i tempi lunghi e teatrali non mi convincono. Non c’è azione o episodio che non sia immaginata dallo spettatore, manca lo stupore.
Anni fa ho letto il libro di Sorrentino e per finirlo ho davvero fatto uno sforzo. Allo stesso modo , come questo film, in nell’inizio ti trascina fino a metà libro poi la discesa è fatale. Nel libro ho storto il muso all’episodio della Marchesa, ritrovarlo qui amplificato sullo schermo con novizia di dettagli e’ stato deludente e insopportabile.
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Ho cercato nel film un pretesto per innamorarmene ma non ci sono riuscita.
Come ammiratrice di Sorrentino mi sono fatti bastare l’incipit e le battute familiari, gli arredi anni 80, la nostalgia della gioventù a Napoli che condivido con l’autore, conosciuto 50 anni fa al mare con la sorella Daniela .
La fotografia è notevole , accurata ma i tempi lunghi e teatrali non mi convincono. Non c’è azione o episodio che non sia immaginata dallo spettatore, manca lo stupore.
Anni fa ho letto il libro di Sorrentino e per finirlo ho davvero fatto uno sforzo. Allo stesso modo , come questo film, in nell’inizio ti trascina fino a metà libro poi la discesa è fatale. Nel libro ho storto il muso all’episodio della Marchesa, ritrovarlo qui amplificato sullo schermo con novizia di dettagli e’ stato deludente e insopportabile.
Peccato
Le ripetizioni non sono accettabili nemmeno a un premio Oscar. Evidentemente nessuno ha letto il libro!!!
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[+] sorrentino è anche un ottimo scrittore
(di alex2044)
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enzo70
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sabato 11 dicembre 2021
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sorrentino racconta la sua napoli da ragazzo
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Sorrentino torna a Napoli e la fa sua, la condisce con i suoi ricordi da adolescente. È la Napoli degli anni Ottanta, quella dell’arrivo del più grande calciatore di sempre, quello che da queste parti non chiamiamo per nome, per non evocarlo invano, ma Isso, il maestro, o il mostro. Fabio è l’alter ego di Paolo e con lui ripercorriamo i fatti e gli episodi che maggiormente hanno inciso nella memoria di Sorrentino. Dai grandi pranzi in famiglia, della buona borghesia ma con la classica integrazione sociale tipica dei napoletani, all’amore quasi confessato per la bellissima zia Patrizia; dalla marchesa del piano di sopra ai vicini alto-altesini. Una ridda di ricordi che trova la costante nella presenza dei genitori, e possiamo riconoscere in loro i nostri genitori, all’incontenibile dolore per la scomparsa a seguito di un incidente domestico a Roccaraso.
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Sorrentino torna a Napoli e la fa sua, la condisce con i suoi ricordi da adolescente. È la Napoli degli anni Ottanta, quella dell’arrivo del più grande calciatore di sempre, quello che da queste parti non chiamiamo per nome, per non evocarlo invano, ma Isso, il maestro, o il mostro. Fabio è l’alter ego di Paolo e con lui ripercorriamo i fatti e gli episodi che maggiormente hanno inciso nella memoria di Sorrentino. Dai grandi pranzi in famiglia, della buona borghesia ma con la classica integrazione sociale tipica dei napoletani, all’amore quasi confessato per la bellissima zia Patrizia; dalla marchesa del piano di sopra ai vicini alto-altesini. Una ridda di ricordi che trova la costante nella presenza dei genitori, e possiamo riconoscere in loro i nostri genitori, all’incontenibile dolore per la scomparsa a seguito di un incidente domestico a Roccaraso. E anche Roccaraso è una citazione per chi, come me, coetaneo di Sorrentino ha vissuto quegli anni e quell’ambiente. Fabio è un ragazzo che non riesce ad esprimersi, a socializzare, nel campo di calcio dei salesiani non tocca mai un pallone, ma ha un sogno, fare il regista di film, un sogno difficile da realizzare per un anonimo ragazzo del Vomero alto, che per chi non è di Napoli è quello povero, rimasto, tra l’altro orfano. Al centro della narrazione c’è Lui, il ragazzo di Fiorito che ha portato felicità ad un popolo e che ha cambiato la vita ai napoletani. Le trattative, arriva non arriva, il sogno che si realizza che diventa poi realtà quotidiana. Grande, al solito, Sorrentino nel caratterizzare i personaggi, ogni parente è una grande storia a parte, con una dimensione sempre quasi onirica che dice e non dice, accade e non accade. Sullo sfondo Napoli, citata, vissuta ed amata. E l’ultima grande citazione è alla fine del film, ma non ve la dico, andate a vederlo e andate al cinema. Un film come questo richiede un ambiente come quello. Grazie Sorrentino.
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jack beauregard
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domenica 5 dicembre 2021
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e'' stata la mano di sorrentino
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“E’ stata la mano di Dio” è un signor film, molto bello, leggero senza mai essere superficiale, profondo senza mai diventare pesante. E’ un film che narra vicende personali, autobiografiche, eppure non c’è un solo istante in cui non lo senti come anche tuo, che ti appartiene, perché è raccontato con sincerità, toccando tematiche universali che vanno dalla formazione giovanile alle relazioni familiari, dal valore del ricordo alla positiva influenza di personaggi ingenuamente mitizzati. Tutto questo traspare da ogni fotogramma, passando dal bellissimo ritratto della coppia genitoriale, attraverso quello di tutto il parentado, con la descrizione di personaggi al limite della caricatura, ma comunque molto veri e veraci, come lo è una Napoli fotografata in maniera strepitosa, quasi sempre immersa nel sole e nel suo grande e azzurro mare (protagonista come non mai in questa pellicola), ma luminosa e colorata anche di notte.
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“E’ stata la mano di Dio” è un signor film, molto bello, leggero senza mai essere superficiale, profondo senza mai diventare pesante. E’ un film che narra vicende personali, autobiografiche, eppure non c’è un solo istante in cui non lo senti come anche tuo, che ti appartiene, perché è raccontato con sincerità, toccando tematiche universali che vanno dalla formazione giovanile alle relazioni familiari, dal valore del ricordo alla positiva influenza di personaggi ingenuamente mitizzati. Tutto questo traspare da ogni fotogramma, passando dal bellissimo ritratto della coppia genitoriale, attraverso quello di tutto il parentado, con la descrizione di personaggi al limite della caricatura, ma comunque molto veri e veraci, come lo è una Napoli fotografata in maniera strepitosa, quasi sempre immersa nel sole e nel suo grande e azzurro mare (protagonista come non mai in questa pellicola), ma luminosa e colorata anche di notte.
E’ un film in cui si ride parecchio, quasi costantemente per tutta la prima parte, ma pure dopo, nonostante il pesante dramma che spezza quasi in due la narrazione, l’umore non viene mai guastato, grazie soprattutto a una messa in scena che non si sofferma su un facile, anche se più che motivato, ricorso alla commozione, ma punta più sul divenire, sul futuro, sulla volontà di reagire alla sciagura e trovare una strada che possa, da un lato lenire il dolore e dall’altro portare a una crescita personale.
Se la realtà è troppo brutta per essere accettata, bisogna trovare il mezzo per immaginarla diversamente. E per fare ciò, il giovane Sorrentino (alias Fabietto/Fabio nel film) sceglie la via del cinema, la più grande fabbrica dei sogni che esista. E’ questo, in estrema sintesi il nodo centrale di un film che racconta per lo più fatti reali, ma arricchiti da un contorno di fervida fantasia che riesce a conferire poteri quasi divini a un giocatore di pallone, a parlare di sanità mentale in maniera quanto mai conturbante, a far comprendere la bonaria follia collettiva del tifo per una squadra di calcio, così come lo scanzonato e violento modo di affrontare la vita di un piccolo malavitoso, contrabbandiere di sigarette.
E allora, in una specie di gioco tautologico, viene quasi da chiedersi se sia tutto vero quello che ci viene mostrato, o se forse Sorrentino non sia caduto in contraddizione, affermando e confutando allo stesso tempo il suo assunto precedente. Ma si tratta di una domanda senza senso, è il cinema stesso che ha sempre viaggiato tra realtà e finzione, e Sorrentino lo sa, come dimostrano anche gli omaggi ai suoi maestri, Leone e Fellini, grandi narratori di favole e di sogni.
Sostenuto da un cast eccezionale, dove spiccano Servillo e Saponangelo nei ruoli genitoriali, una sensuale Luisa Ranieri nel ruolo della zia mentalmente instabile e il giovane Filippo Scotti nella parte del protagonista (dal cui punto di vista è narrata/ricordata tutta la storia), il film mantiene, per tutta la durata di oltre due ore, un ritmo costante e risulta perfettamente equilibrato in ogni sua parte. Girato magistralmente, come è consuetudine di Sorrentino, si pone tra le sue pellicole più riuscite e sentite e, personalmente lo reputo il suo film migliore e più convincente.
Quando alla fine della proiezione a cui ho assistito, il pubblico ha cominciato ad alzarsi in piedi appena sono iniziati a scorrere i titoli di coda sul finestrino del treno, nonostante nell’aria risuonassero le note della più bella canzone dedicata a Napoli, io sono rimasto seduto. Sono contento perché la lacrima che mi è scesa, fortunatamente celata dalla mascherina chirurgica, è rimasta una questione privata, condivisa solo da me e da Paolo Sorrentino.
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carloalberto
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sabato 4 dicembre 2021
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una napoli stereotipata per un pessimo amarcord
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Se la realtà è scadente, come afferma più volte un personaggio nel film, la sceneggiatura di Sorrentino è assai deludente ed è molto peggio della realtà. Quella di Sorrentino, che sostituisce alla visione stereotipata della Napoli da cartolina, solo pizza e mandolino, ormai superata, quella di una città universalmente inneggiante al mito di Maradona, è una semplificazione insopportabile per ogni vero napoletano.
La scena finale con l’inquadratura del golfo, con il sottofondo di Napul’è di Pino Daniele, poi, è incommentabile. Volendo essere eufemistici, si potrebbe definire decontestualizzata ed accattivante, ovvero ruffiana.
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Se la realtà è scadente, come afferma più volte un personaggio nel film, la sceneggiatura di Sorrentino è assai deludente ed è molto peggio della realtà. Quella di Sorrentino, che sostituisce alla visione stereotipata della Napoli da cartolina, solo pizza e mandolino, ormai superata, quella di una città universalmente inneggiante al mito di Maradona, è una semplificazione insopportabile per ogni vero napoletano.
La scena finale con l’inquadratura del golfo, con il sottofondo di Napul’è di Pino Daniele, poi, è incommentabile. Volendo essere eufemistici, si potrebbe definire decontestualizzata ed accattivante, ovvero ruffiana.
Sorrentino dichiara apertamente che il proprio maestro è Fellini. Quindi è lecito per lui rifare Fellini e ciò che in altri tempi, si sarebbe bollata più prosaicamente come una scopiazzatura bella e buona di personaggi, situazioni ed atmosfere felliniane, viene fatto passare per un omaggio al maestro.
I dialoghi sono banali, alcuni senza senso, come quando Servillo nella parte del padre del regista, ridendo paragona la contessa del piano di sopra a Papa Wojtyła, aggiungendo che però il Papa è più sexy. Visto che la contessa non assomiglia nemmeno lontanamente al papa citato, questa battuta, imbarazzante da recitare e da ascoltare perché sembra uscita dalla bocca di un adolescente degli anni ’70, suona come una spiritosaggine antireligiosa, ispirata forse da un libertinismo ateo, che nel 2021 non è rivoluzionario, ma ridicolo.
Per non parlare del personaggio dell’altro Maestro del regista, un certo Antonio Capuano, di cui tempo fa vidi un inguardabile, ma almeno originale, Polvere di Napoli, alla cui sceneggiatura partecipò un ancora sconosciuto Sorrentino. Un personaggio triviale, dal linguaggio sboccato e a dir poco scurrile, che mi rifiuto di credere corrisponda al vero Capuano, che da fonte wikipedia, oltre ad essere un regista di film di nicchia, sembra sia stato titolare della cattedra di scenografia all’Accademia delle Belle Arti di Napoli.
Dopo la messa in scena della tragica morte dei genitori, si assiste ad una penosa ricerca di un finale ad effetto da parte del regista. Il risultato è un succedersi di sequenze abbastanza tediose, alcune inutili ed inverosimili, come quella della gita col contrabbandiere buono a Capri, dove i due improbabili amici incontrano Khashoggi, altre, invece, disgustose, come l’amplesso tra la vecchia contessa ed il giovane Sorrentino.
Si salva il cast, tutto formato da ottimi attori napoletani. In primis, il grandissimo ed ancora una volta, dopo Loro 1 e 2, sprecato in un film del genere, Toni Servillo ed una eccellente Luisa Ranieri, sebbene abbia dovuto dare corpo ad un personaggio, preservandone l'umanità e la credibilità, sottoposto ad un processo di ferillizzazione da Sorrentino.
L’unico personaggio autentico del film, tra quelli minori, è il portiere dello stabile, interpretato da Lino Musella, uno dei pochi attori riuscito a sfuggire alla smania macchiettistica e fellinizzante del regista.
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[+] il "risorgimento"
(di robert1948)
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(di giovanni_b_southern)
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mauridal
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venerdì 3 dicembre 2021
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cinema con la mano del regista
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E’ stata la mano di dio film di Paolo Sorrentino.
Quando un regista ormai avviato come Sorrentino, decide di raccontare in un film una storia auto biografica, è per una serie di motivi. Per affrontare un lato oscuro della vita, e liberarsene, o anche per riflettere e fare chiarezza sul proprio vissuto e quindi cercando di superare con maturità alcune certezze, e alcune confusioni che possono aver inciso nella propria esistenza. Tutto questo è il senso ultimo del film di Paolo Sorrentino. La trasparenza e la semplicità difficile del film non possono ingannare lo spettatore. Dunque, per quanto un film non è solo una storia ma anche una emozione, una visione di cinema, uno sguardo particolare sulle cose e sui personaggi, allora questo film è un manifesto del cinema di Sorrentino, che piaccia o no è un ‘opera di cinema d’autore che si può ben ascrivere nella storia della cinematografia italiana.
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E’ stata la mano di dio film di Paolo Sorrentino.
Quando un regista ormai avviato come Sorrentino, decide di raccontare in un film una storia auto biografica, è per una serie di motivi. Per affrontare un lato oscuro della vita, e liberarsene, o anche per riflettere e fare chiarezza sul proprio vissuto e quindi cercando di superare con maturità alcune certezze, e alcune confusioni che possono aver inciso nella propria esistenza. Tutto questo è il senso ultimo del film di Paolo Sorrentino. La trasparenza e la semplicità difficile del film non possono ingannare lo spettatore. Dunque, per quanto un film non è solo una storia ma anche una emozione, una visione di cinema, uno sguardo particolare sulle cose e sui personaggi, allora questo film è un manifesto del cinema di Sorrentino, che piaccia o no è un ‘opera di cinema d’autore che si può ben ascrivere nella storia della cinematografia italiana. Intanto il riferimento ad altri registi di cinema come Fellini o Antonioni, Zeffirelli, pure se vagamente citati nel film, mi sembrano superflui e inutili. Ogni autore parla per sé non ha bisogno di cercare appigli per alcun motivo. Diversamente, trattandosi di una storia di formazione, di un giovane che vuole crescere e liberarsi della propria realtà deludente e insignificante, allora ben vengano i maestri e quindi il giovane Fabio personaggio aspirante regista, nel film, incontra un Capuano regista napoletano che lo avvia al mestiere, come in realtà è veramente avvenuto per il Sorrentino ormai adulto, già deciso per fare cinema. Intanto il film stesso si apre a varie forme di visione da quella teatrale, sceneggiata, alla macchietta, al melodramma, insomma un repertorio di personaggi e situazioni, per raccontare una storia drammaticamente biografica, la morte dei genitori, ma con uno sfondo di tutt’altra composizione. Intanto, c’è questa città di Napoli, originaria del regista, ma poco conosciuta e vissuta nel centro popolare e culturale, in fondo si racconta di una formazione borghese per il Fabietto rappresentato, cresciuto solo con i miti, popolari, di Maradona , del calcio , come dei contrabbandieri di sigarette, e dei san gennaro e munacielli vari. Forse il regista Sorrentino, maturo, ha voluto rappresentare ora, la nostalgia, della Napoli perduta, perché mai vissuta appieno nell’anima popolare, proprio in virtù della scelta di andare via e tagliare con il passato, a favore di una nuova vita culturalmente indirizzata all’Arte del cinema, scelta che a distanza di anni, risulta vantaggiosa e piena di soddisfazioni. Dunque, anche questo film, rappresenta una magia del cinema con la mano dell’autore, che si distingue e si riconosce, almeno per quel pubblico, attento e consapevole ai film che sceglie di vedere. (Mauridal).
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