“È stata la mano di Dio” è un film di formazione con una forte matrice autobiografica. Nonostante la filmografia di Sorrentino sia costellata da momenti intimi, questa è indubbiamente la sua opera più personale ed allo stesso tempo equilibrata. Il film è permeato dalla presenza costante dei suoi due punti di riferimento, due figure connotate da un’aurea divina: Maradona e Fellini. Quest’ultimo viene anche omaggiato da Sorrentino in diverse sequenze. I personaggi, ricchi di sfumature, sono molto umani e dunque vengono rappresentati con le loro debolezze. Su tutti spiccano le figure dei suoi genitori legati da un amore incondizionato, nonostante i problemi coniugali che tutte le coppie vivono (più o meno grandi che siano). C’è una dicotomia costante tra il disinteresse per la realtà decadente e la continua ricerca della meraviglia, dello straordinario e della bellezza. L’opera rappresenta la massima espressione del concetto di cinema di Sorrentino, ovvero come evasione da una realtà, per l’appunto, spesso deludente. Il mezzo è utilizzato per rivivere i ricordi e, laddove questi non arrivano, per creare attraverso l’immaginazione. Nonostante la giovinezza del protagonista sia stata spezzata troppo presto, le emozioni tipiche del passaggio dall’adolescenza all’età adulta sono narrate in modo universale. In questo periodo così particolare i sogni sembrano talmente grandi che sono difficili anche da raccontare. Ma, come insegna Maradona, per tirarli fuori dal cassetto e realizzarli occorre “solo” una cosa: la perseveranza.
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