thomas
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mercoledì 13 ottobre 2021
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potenzialità inespressa
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Un profugo siriano clandestino in Libano “vende la sua pelle” facendola tatuare da un famosissimo artista, diventando così egli stesso un’opera d’arte e potendo in tal modo viaggiare liberamente per il mondo assoggettato alla normativa che consente la libera circolazione delle opere d’arte, laddove invece la circolazione delle persone è fortemente limitata. Da questa ingegnosa idea di partenza (comunque ispirata ad un fatto accaduto realmente), si dipana un film con qualche acuto e varie cadute.
Tra gli acuti la riflessione di partenza, secondo cui la mercificazione dei corpi diventa fonte di guadagno per chi si fa mercificare, ma priva della libertà (si è liberi di girare il mondo, ma si è anche costretti a comportarsi come “cose”); bella anche la riflessione sull’evoluzione del concetto di “arte”, che non smette mai di adattarsi ai tempi perdendo a volte però il senso della Bellezza (famosa la battuta di Woody Allen secondo cui se un tizio va alla Carnegie Hall e si mette a vomitare sul palco, ci sarà sempre un critico che la definirà “un’espressione artistica”).
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Un profugo siriano clandestino in Libano “vende la sua pelle” facendola tatuare da un famosissimo artista, diventando così egli stesso un’opera d’arte e potendo in tal modo viaggiare liberamente per il mondo assoggettato alla normativa che consente la libera circolazione delle opere d’arte, laddove invece la circolazione delle persone è fortemente limitata. Da questa ingegnosa idea di partenza (comunque ispirata ad un fatto accaduto realmente), si dipana un film con qualche acuto e varie cadute.
Tra gli acuti la riflessione di partenza, secondo cui la mercificazione dei corpi diventa fonte di guadagno per chi si fa mercificare, ma priva della libertà (si è liberi di girare il mondo, ma si è anche costretti a comportarsi come “cose”); bella anche la riflessione sull’evoluzione del concetto di “arte”, che non smette mai di adattarsi ai tempi perdendo a volte però il senso della Bellezza (famosa la battuta di Woody Allen secondo cui se un tizio va alla Carnegie Hall e si mette a vomitare sul palco, ci sarà sempre un critico che la definirà “un’espressione artistica”).
Ma un film è capolavoro quando sa tenere insieme tutti i fili della riflessione e, con pazienza, li sa intrecciare tra loro tratteggiando con profondità i caratteri dei personaggi, la verosimiglianza delle situazioni e, soprattutto, la chiarezza del suo messaggio di fondo.
Un film, in definitiva, trova il suo senso più autentico e alto quando storia e persone si incontrano mirabilmente in un equilibrio secondo cui nessuno è funzionale all’altra o peggio al suo servizio, ma le vicende narrate sono il naturale sviluppo delle precise azioni delle persone, perché così è la vita e il Cinema è Arte quando la racconta sapendo trasmettere emozioni.
Ma i personaggi di contorno sono proprio sfocati, al punto da sembrare creati all’interno di una storia per tenerla in piedi, quasi come corpi estranei di fatto alla stessa.
“L’uomo che vendette la sua pelle” soffre così di un’incompiutezza di fondo: dice ma non narra, mostra ma non evidenzia, libera la creatività ma poi la tiene al guinzaglio, proprio come il protagonista, padrone di girare il mondo e guadagnare, ma obbligato a comportarsi come un oggetto.
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fabiofeli
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venerdì 15 ottobre 2021
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l''uomo diventa merce
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Sam Ali (Yahya Mahayni) è con la sua ragazza. Abeer (Dea Liane) sul treno, ma nel loro paese vessato dalla guerra, la Siria, è meglio non esternare le proprie passioni in pubblico. Sam si allontana malvolentieri dal suo sedile, però ha fiducia in Abeer, ma non sa ancora che la madre della sua ragazza sta combinando un fidanzamento diverso. Entrambi vorrebbero emigrare in Europa, ma sembra un sogno impossibile: Abeer conosce bene la sua lingua ed è in grado di fare da interprete a Bruxelles; ma per ottenere il lavoro in Europa dovrà sposare un diplomatico. Sam, nella sua ricerca frenetica per raggiungere Abeer a Bruxelles, viene in contatto con Jeffrey Godefroi (Koen De Bouw), il pittore più pagato del mondo, geniale, che lo convince a farsi tatuare un quadro sulla schiena con la firma che vale oro.
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Sam Ali (Yahya Mahayni) è con la sua ragazza. Abeer (Dea Liane) sul treno, ma nel loro paese vessato dalla guerra, la Siria, è meglio non esternare le proprie passioni in pubblico. Sam si allontana malvolentieri dal suo sedile, però ha fiducia in Abeer, ma non sa ancora che la madre della sua ragazza sta combinando un fidanzamento diverso. Entrambi vorrebbero emigrare in Europa, ma sembra un sogno impossibile: Abeer conosce bene la sua lingua ed è in grado di fare da interprete a Bruxelles; ma per ottenere il lavoro in Europa dovrà sposare un diplomatico. Sam, nella sua ricerca frenetica per raggiungere Abeer a Bruxelles, viene in contatto con Jeffrey Godefroi (Koen De Bouw), il pittore più pagato del mondo, geniale, che lo convince a farsi tatuare un quadro sulla schiena con la firma che vale oro. E’ un incontro ed un patto come quello tra Mefistofele e Faust, per il quale Soraya (Monica Bellucci) stenderà le regole del documento affinché le parti rispettino i reciproci diritti e doveri; Sam avrà molto denaro da Jeffrey, un passaporto valido in ogni paese nella quale l’”opera” sulla sua schiena sarà esposta al pubblico e una assicurazione sulla vita … La strana storia dell’opera d’arte tatuata ed esposta in una Galleria d’arte simile alla vicenda del film è veramente accaduta negli anni 2006-2008 con un modello, la vita del quale era del tutto diversa da quella di Sam, che è solo un profugo fuggitivo dalla guerra che scopre ben presto di essere diventato una merce. Infatti non cede a pressioni politiche per diventare una bandiera per lo sfruttamento che lo opprime e cerca spazi per alzare il prezzo della situazione di cui è prigioniero. Su questi due registri, con Sam tra ribellione ed acquiescenza, si sviluppa la storia, sempre tenendo presente che “il quadro vivente” è un oggetto che può aumentare di prezzo nelle varie aste del mondo o deteriorarsi e decadere. Ma in fondo il prezzo è un parametro bugiardo per fissare il valore di un’opera d’arte. La regista tunisina dirige bene i suoi attori, in modo particolare il poco esperto protagonista che rivela ottime doti e si assicura il premio prestigioso Orizzonti al Festival di Venezia 2020, e c’è anche il premio alla sceneggiatura. La pellicola è forse un po’ troppo lunga, ma è comunque pregevole. Da vedere. Valutazione *** FabioFeli
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