jonnylogan
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venerdì 10 gennaio 2020
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spiacenti per il disguido
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Ancora una volta, dopo “Io, Daniel Blake”, l’occupazione nella città di Newcastle s’imbatte in un giustiziere ottantatreenne armato di quello che sa meglio fare ovvero dirigere pellicole di denuncia confezionate in favore delle classi meno abbienti, il tutto per denunciare la deriva verso cui sta virando la società dei consumi. Ken Loach, regista laburista, ma sarebbe più preciso affermare il contrario, e il suo fido collaboratore Paul Laverty, al solito autore della sceneggiatura,fa acquistare un furgone di seconda mano al Rick Turner portato in scena da Kris Hitchen e gli fa consegnare freneticamente pacchi acquistati da clienti compulsivi ma con vite altrettanto problematiche esattamente come la sua, immergendo sin dalle prime battute lo spettatore nella realtà di un uomo alla caccia disperata di una nuova occasione, intravista fra le pieghe di un colloquio nel corso del quale parole come ‘affiliazione’ e ‘collaborazione’ sanno fare facile presa sul desiderio di lavorare in proprio senza piegarsi ai voleri di chi ti stipendia.
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Ancora una volta, dopo “Io, Daniel Blake”, l’occupazione nella città di Newcastle s’imbatte in un giustiziere ottantatreenne armato di quello che sa meglio fare ovvero dirigere pellicole di denuncia confezionate in favore delle classi meno abbienti, il tutto per denunciare la deriva verso cui sta virando la società dei consumi. Ken Loach, regista laburista, ma sarebbe più preciso affermare il contrario, e il suo fido collaboratore Paul Laverty, al solito autore della sceneggiatura,fa acquistare un furgone di seconda mano al Rick Turner portato in scena da Kris Hitchen e gli fa consegnare freneticamente pacchi acquistati da clienti compulsivi ma con vite altrettanto problematiche esattamente come la sua, immergendo sin dalle prime battute lo spettatore nella realtà di un uomo alla caccia disperata di una nuova occasione, intravista fra le pieghe di un colloquio nel corso del quale parole come ‘affiliazione’ e ‘collaborazione’ sanno fare facile presa sul desiderio di lavorare in proprio senza piegarsi ai voleri di chi ti stipendia. Da lì in poi quello che accadrà a Rick, a sua moglie Abbie, e al rapporto con i due figli adolescenti, la piccola Liza Jane e il sedicenne appassionato di graffiti, Seb, sarà una rapida discesa verso gli inferi declinata come una continua ingerenza di un lavoro – gabbia visto come una nuova soglia di povertà sociale, prima ancora che economica. Purtroppo però il film, costruito con il solito realismo struggente che contraddistingue Loach e Leverty, fallisce proprio nella completa assenza di possibili vie d’uscita e dal quale pare non esserci scampo, se non una famiglia unita che fra varie vicissitudini riesce sempre a ritrovarsi. Una tipologia di trama che seppure in altre vesti Loach ci aveva già somministrato e che per quanto apprezzabile non aggiunge nulla alla vasta filmografia del piccolo – grande uomo di Nuneaton.
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giovanni_b_southern
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venerdì 10 gennaio 2020
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difficile, tosto, splendido
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COME TUTTI I FILM DEL REGISTA E' (ANCHE QUESTO) UN 'PUGNO NELLO STOMACO'. LETTURA SOCIALE DI UN REALISMO E DI UNA ANGOSCIA CHE SI TOCCA CON MANO. L'INGHILTERRA E' LA PATRIA DEL CAPITALISMO E CERTE SUE 'PUNTE' ESTREME EVIDENTEMENTE SONO REALI. FILM DA VEDERE
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angelo umana
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giovedì 9 gennaio 2020
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gli sfruttati
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Bene, anzi male, malissimo, Ken Loach ci ha rifilato un altro bel pugno nello stomaco: ci avverte, monita su quali pericoli corre la società occidentale sviluppata evoluta veloce produttiva, o in quale tragedia già si trova. Eppure ci serviamo dei working poors per farci portare a casa ogni oggetto che possiamo comprare via internet, qualcuno a sue spese provvederà a recapitarcelo a casa in men che non si dica. Già all'inizio del film si svolge l'intervista al circa 40enne Ricky che cerca lavoro, di fronte ha il "datore di lavoro" che in realtà non dà né assicura niente al pretendente, nessuna garanzia o assistenza in caso di malattia, incidenti col furgone da corriere o l'aggressione a scopo di furto che Ricky subirà.
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Bene, anzi male, malissimo, Ken Loach ci ha rifilato un altro bel pugno nello stomaco: ci avverte, monita su quali pericoli corre la società occidentale sviluppata evoluta veloce produttiva, o in quale tragedia già si trova. Eppure ci serviamo dei working poors per farci portare a casa ogni oggetto che possiamo comprare via internet, qualcuno a sue spese provvederà a recapitarcelo a casa in men che non si dica. Già all'inizio del film si svolge l'intervista al circa 40enne Ricky che cerca lavoro, di fronte ha il "datore di lavoro" che in realtà non dà né assicura niente al pretendente, nessuna garanzia o assistenza in caso di malattia, incidenti col furgone da corriere o l'aggressione a scopo di furto che Ricky subirà. Indovinatissimi i personaggi di questa intervista di pseudo "assunzione": la faccia travagliata di Ricky che di lavori ne ha passati tanti, che è disposto a nuovi onerosi impegni pur di assicurare un menage accettabile alla sua famiglia - la moglie Abbie che è una collaboratrice domestica in casa di invalidi o anziani per 13-14 ore al giorno e i due figli, il 17enne ribelle Seb che non vede futuro in questo mondo degli adulti e la 11enne Lisa Jane che resta spesso a casa da sola - e, chissà, domani aver ripagato i suoi debiti e magari comprar casa. Il "datore di lavoro" Maloney è invece un capo azienda cerbero, un re leone nella foresta, con un fisico da quasi Schwarzenegger, fiero del suo essere numero 1 nel mondo del franchising, risoluto e inflessibile nel far pagare ai suoi drivers ogni ritardo smarrimento o furto dei pacchi da consegnare. La libera professione a volte è una truffa, si è “liberi” di non guadagnare nulla ed esposti ad avverse fortune.
Qualcuno paventa guai ancora maggiori, o così li suggerirebbe Loach, per il welfare britannico quando la Brexit sarà cosa fatta, ma l'84enne regista parla della precarietà del lavoro o dell'assistenza sociale da sempre, già dai tempi di Margaret Thatcher e ancor prima, è sempre stato dalla parte degli sfruttati. Ken Loach è definito "attivista e politico britannico", in politica c'è stato di fatto, naturalmente nell'area della sinistra.
Nel film c'è il ritmo forsennato e avvincente di un vortice che porta sempre più in basso la situazione lavorativa del protagonista, fino alla disperazione e naturalmente con i rapporti familiari che subiscono spinte centrifughe, quasi all'orlo della disgregazione. Il titolo stesso è affascinante: il Sorry we missed you è contenuto nel biglietto che i corrieri inglesi lasciano sulla porta di destinari assenti ma sembra il messaggio che questi lavoratori autonomi ricevono quando non sono più utili a chi guadagna su di loro, scusa ti abbiamo perso! E' tutto appropriato e ci sta benissimo la liberatoria lavata di capo telefonica della dolce Abbie al "fottuto" franchiser Maloney. Questa volta Loach o la sceneggiatura addolciscono il finale o creano un filo di speranza: le difficoltà rafforzeranno l'unione tra Ricky, Abbie e i figli: in fondo la famiglia ci e si salva, forse. Ricky dirà del figlio, rivalutandolo mentre guarda i bozzetti dei graffiti a cui Seb ama dedicarsi a scapito dell'apprendimento scolastico, ci sono tante cose sul suo conto che non so.
Un aspetto però preme osservare: le possibili considerazioni degli spettatori che vedranno questo film di avvertimento o "denuncia graffiante". La gente cresciuta, magari pensionata o in carriera, che il suo welfare in qualche modo lo ha raggiunto, forse dirà "che orrore, in che mondo viviamo, e di mio figlio cosa sarà?, dove andremo a finire!" I politici che lo vedranno citeranno spesso il film come spettatori illuminati e forse diranno nei comizi o in tivù "è ora di finirla, adesso basta" (da Edoardo Bennato), proporrano leggi e provvedimenti e incontreranno le "parti sociali". I tanti agenti di commercio e/o finte partite iva italiane si diranno attoniti e sconvolti all'uscita dal cinema. I ragazzi che tra poco si addentreranno in questo mondo lavorativo non andranno a vedere il film di un 84enne regista e continueranno a compulsare il proprio smartphone-passatempo o finestra sul mondo, come il 17enne del film; una piccola citazione per associazione di idee: il titolo del libro di Elena Ferrante La vita bugiarda degli adulti – Crescere per diventare cosa, per assomigliare a chi? E' sperabile dunque che l'attivista e politico britannico abbia sempre devoluto parte dei suoi guadagni da ottimo regista a beneficio dei precari senza alcuna sicurezza, mostrando i quali si è fatto moltissimo apprezzare. Più o meno come le devoluzioni che sta facendo il calciatore negro del Liverpool Sadio Mane.
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ren� noir
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lunedì 6 gennaio 2020
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il peggior film di un grande regista.
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Ho visto con piacere tutti i film di uno dei più grandi registi viventi, ma in questo caso l'età ha influito non poco nel realizzare un film, didascalico, noioso e ad un tempo divertente per l'eccesso di scene e situazioni grottesche. Mi ha ricordato un altro grande, Chaplin. Le situazioni sono così paradossali che ti spingono a ridere, non siamo alle torte in faccia ma...........quasi. Uno su tutti anche il grande Lothar ' bianco' come guardiano dei nuovi schiavi. Un film impossibile, scene che si susseguivano in un crescendo banale e scontato. Che peccato. Ho perso 2 ore di vita.
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lbavassano
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lunedì 6 gennaio 2020
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il lucido sguardo di ken loach
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Ancora una volta Ken Loach ci illumina, con il suo lucido sguardo, sulla realtà del mondo contemporaneo, sulle sue ipocrisie (qualcuno ricorda un politico nostrano che, non sono passati molti anni, predicava: divenite imprenditori di voi stessi? Questa è la risposta). Un film che non sfigura accanto a "Rosetta", dei Dardenne, "La legge del mercato", di Brizé, "Io, Daniel Blake", dello stesso Loach. Film sulla dignità, negata, del lavoro. Film bellissimi e indispensabili.
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flaw54
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lunedì 6 gennaio 2020
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durissimo
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Sicuramente il più amaro e disperato dei film di Ken Loach. Nessuna via di salvezza per gli ultimi. Teso, drammatico, un vero pugno nello stomaco, con una conclusione che non lascia nessuna speranza. Un vero e proprio atto d'accusa nei confronti del sistema capitalistico che tutti dovrebbero vedere per riflettere sulla vita e la società.
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nadia meden
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domenica 5 gennaio 2020
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ken loach, we missed you
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Un grande ritorno di questo grandissimo regista, superbo e raffinato che ancora una volta ci porta sullo schermo la vita reale, parte di quella vita quotidiana che può appartenere a ognuno di noi. Senza strafare ma con i piedi ben piantati per terra , questa volta ci racconta la storia di una famiglia, madre , padre e due figli. Abby, la madre , donna buona e gentile lavora da mattina a sera come badante, il padre, Ricky una bella persona, cerca lavoro dopo aver svolto diverse mansioni, specialmente nell' edilizia. Trova lavoro e diventa uno dei tanti uomini del "furgoncino bianco ", quelli che recapitano a casa i pacchi degli ordini fatti su internet. quattordici ore di lavoro al giornosenza pause, niente diritti, tanti doveri, sempre controllato dalla "scatolina nera " che controlla tutti i suoi spostamenti.
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Un grande ritorno di questo grandissimo regista, superbo e raffinato che ancora una volta ci porta sullo schermo la vita reale, parte di quella vita quotidiana che può appartenere a ognuno di noi. Senza strafare ma con i piedi ben piantati per terra , questa volta ci racconta la storia di una famiglia, madre , padre e due figli. Abby, la madre , donna buona e gentile lavora da mattina a sera come badante, il padre, Ricky una bella persona, cerca lavoro dopo aver svolto diverse mansioni, specialmente nell' edilizia. Trova lavoro e diventa uno dei tanti uomini del "furgoncino bianco ", quelli che recapitano a casa i pacchi degli ordini fatti su internet. quattordici ore di lavoro al giornosenza pause, niente diritti, tanti doveri, sempre controllato dalla "scatolina nera " che controlla tutti i suoi spostamenti. " Non lavori per noi ma lavori con noi " gli dice il capo, una frase che fa ben sperare per una futura autonomia e per guadagnare bene. I problemi del figlio adolescente, i debiti che riaffiorano, le tante ore trascorse fuori casa , le tensioni nervose, diventeranno un dramma . Bellissima la presenza della figlia piccola bella e rossa di capelli come il padre, molto bravi tutti . Dopo "Io Daniel Blake" , a mio avviso, il piu' bel film di Loach . Grazie
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lucano11
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domenica 5 gennaio 2020
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una verità
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forse uno dei migliori film Kean si è espresso a livelli altissimi mettendo in evidenza all'estremo lo schiavismo capitalistico del lavoro, come distruggere una famiglia all'altare del lavoro quasi schiavistico ma giustificato dalle leggi che abbiamo voluto/cercato/approvato. Un film che deve far riflettere , il capitalismo sfrenato non è il rimedio a tutti i mali, e non l'ho detto io.
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fabiofeli
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domenica 5 gennaio 2020
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padroni (o schiavi?) di se stessi
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Ricky (Kris Hitchen) è sui 45 anni, vive a Newcastle ed ha appena perso il lavoro; la moglie Abby (Debbie Honeywood) lavora come infermiera-assistente familiare “free lance”. Hanno due figli: Liza Jane che accompagnerà, utile e silenziosa collaboratrice, il padre nel suo nuovo lavoro e Sebastian, apparentemente sfaccendato street artist, ma in effetti (giustamente) ribelle come era Ricky qualche lustro prima. La nuova occupazione di Ricky è effettuare consegne; la compagnia è piccola, ma agisce come i colossi del settore somigliando alla Company Store della canzone Sixteen Tons, nella quale la voce del “basso” dei Platters , Herbert Reed, spiega che ha venduto l’anima a quella compagnia ed è sempre pieno di debiti.
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Ricky (Kris Hitchen) è sui 45 anni, vive a Newcastle ed ha appena perso il lavoro; la moglie Abby (Debbie Honeywood) lavora come infermiera-assistente familiare “free lance”. Hanno due figli: Liza Jane che accompagnerà, utile e silenziosa collaboratrice, il padre nel suo nuovo lavoro e Sebastian, apparentemente sfaccendato street artist, ma in effetti (giustamente) ribelle come era Ricky qualche lustro prima. La nuova occupazione di Ricky è effettuare consegne; la compagnia è piccola, ma agisce come i colossi del settore somigliando alla Company Store della canzone Sixteen Tons, nella quale la voce del “basso” dei Platters , Herbert Reed, spiega che ha venduto l’anima a quella compagnia ed è sempre pieno di debiti. Infatti Ricky non dipende formalmente dalla sua agenzia di consegne a domicilio, ma è un imprenditore di se stesso e il lavoro non ha limiti di tempo: se vuole guadagnare deve fare consegne, consegne, consegne. Sul furgone di Ricky pende un mutuo e se si guasta, egli utilizza l’auto della moglie costringendola a recarsi in autobus al lavoro. Ricky cerca di spiegare a Sebasian che deve studiare e laurearsi per … per fare la vita che fa lui, affogando nella fatica e nei debiti poco per volta …
Ken Loach, già oltre gli 83 anni, costruisce film che ci stregano sempre; stavolta racconta l’ultima trovata del capitalismo o del padronato (per usare termini abusati, ma precisi e giustificati): chi lavora è imprenditore di se stesso, e può incappare in varie penali se non rispetta i tempi e gli impegni di lavoro. Se si vuole un giorno libero, bisogna trovare un sostituto, con una eventuale penale di 100 o più sterline. Malattia o sonno non contano: si lavora lo stesso. Più consegne si fanno, più si guadagna, ma anche si fatica di più. Ricky non deve perdere tempo neanche per fare la pipì e si inventa una bottiglia di plastica come pitale; patisce anche la beffa di qualcuno che, per capriccio o per rifiuto di una trappola truffaldina, non accetta il pacco: consegna inevasa uguale guadagno sfumato o addirittura penale da pagare se si guasta l’aggeggio che registra le consegne avvenute. La regia di Loach e la sceneggiatura di Paul Laverty non inventano; indagano sulla mutazione del lavoro: stavolta non piovono pietre, cadono macigni; l’erba non è più verde, ed erba e alberi sono in crisi e presto spariranno. Il film non può non accendere di rabbia, perché nessuno (neanche il regista) ha la ricetta per risanare il torto. Lo dice il titolo stesso del film, traducibile con “ci dispiace di non avervi risposto”. L’autore sembra dire: - Hai visto in che situazione ci siamo cacciati? Adesso cosa facciamo?- . Nessuno sa come uscire da questa situazione. Non citiamo la filmografia di Loach, ricca di opere amare e bellissime, né i premi cinematografici ottenuti. Raccomandiamo allo spettatore di mettere a fuoco il modo di raccontare la sua storia fino ai dettagli, seguire gli sguardi dei personaggi che sono frasi, ascoltare le loro 4 semplici parole ed il tono del dialogo che essi si scambiano. Così ci si potrà accorgere che la modifica del rapporto di lavoro cambia anche le relazioni personali scaricando sull’intero nucleo familiare pesi insostenibili; e sarà possibile capire – riducendo tutto all’osso – che un film può valere più di 10 dotte analisi economiche o di 100 comizi politici. Un film da non mancare.
Valutazione ****
FabioFeli
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ghisi grütter
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venerdì 3 gennaio 2020
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autonomo o precario?
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Siamo a Newcastle upon Tyne nel nord-est dell’Inghilterra, che una volta è stato un importante cantiere navale e un polo manifatturiero.
Qui, Ricky Turner (interpretato da Kris Hitchen) si convince che avere un’attività in proprio sia un affare e non vuole più lavorare sotto padrone.
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Siamo a Newcastle upon Tyne nel nord-est dell’Inghilterra, che una volta è stato un importante cantiere navale e un polo manifatturiero.
Qui, Ricky Turner (interpretato da Kris Hitchen) si convince che avere un’attività in proprio sia un affare e non vuole più lavorare sotto padrone. Spera in tal modo di guadagnare di più per potersi comprare una casa che già una volta era vicino ad ottenere, prima della crisi del 2008 quando aveva perso il lavoro fisso. Ricky si rivolge al mondo dell’e.commerce e si propone a una società di spedizioni come corriere, senza sapere bene che i corrieri fanno una vita dura tra mille difficoltà.
Un lavoratore autonomo? Gli dice il capo: «Qui non lavori per noi, lavori con noi». L’autonomia consiste nel metterci un furgone proprio, non avere malattia o ferie, fare attenzione agli orari delle consegne e non sbagliare mai neanche un dettaglio. Se per qualsiasi ragione ci si deve assentare per una giornata, si deve pagare in proprio un sostituto, altrimenti si rischia di perdere il lavoro. Le multe per gli errori sono salate e ai corrieri conviene stare molto attenti.
“Sorry, we missed you” è scritto sul modulo della compagnia di consegna dei pacchi quando il destinatario non è stato trovato in casa.
Abbie (interpretata da Debbie Honeywood), la moglie di Ricky, è un’infermiera che si occupa dei malati a domicilio: anziani non autonomi o giovani handicappati. Dalla mattina alle 7.30 fino alla sera tardi è occupata a prendersi cura dei pazienti, dovendo anche spostarsi da una casa all’altra con gli autobus perché il marito ha venduto la sua auto per comprarsi un furgone.
Ricky ha appena iniziato il suo nuovo lavoro, ed è pieno di speranze e buone intenzione. Lavora quattordici ore al giorno passandone la maggior parte nel suo furgone senza aver tempo neanche di andare in bagno, infatti, è costretto spesso ad orinare dentro una bottiglia.
I due costituiscono pertanto una coppia di genitori che ha poco tempo per badare ai due figli, Sebastian e Lisa Jane (interpretati da Rhys Stone e da Katie Proctor), non per scelta ma per necessità e specialmente il maschio teen-ager ha le porte aperte alle cattive compagnie ed è spesso in raid con la sua gang di writers sui muri di Newcastle.
Il film ha un ritmo incalzante, le giornate si ripetono in modo ossessivo, ogni giorno ci sono un’infinità di imprevisti che Ricky deve affrontare ma non ha tempo per farlo. Ricky è diventato irritabile anche in famiglia e la coppia inizia ad avere dei problemi. Una sera, dopo aver risposto male alla moglie, è aggressivo con il figlio che non riesce a comprendere: in un eccesso di frustrazione alza anche le mani. La famiglia sta per sgretolarsi schiacciata dai piccoli e grandi problemi.
Gli interpreti di “Sorry, we missed you” sono tutti attori non professionisti che, durante la lavorazione del film, non sapevano come sarebbe andata avanti la vicenda. Ogni episodio era una novità anche per loro perché il regista voleva l’autenticità in ogni dettaglio. L’interprete principale Kris Hitchen è stato preso dal mondo del lavoro dove faceva l’idraulico prima di ottenere la parte di Ricky. Dura e amara è la sceneggiatura, impeccabile risultato dell’ormai consolidato rapporto tra Ken Loach e Paul Laverty.
Con gli ultimi due film - questo e “Io, Daniel Blake” vincitore della Palma a Cannes 2016 - Ken Loach vuole mostrare il nuovo tipo di sfruttamento su cui è basata la cosiddetta la gig economy e le conseguenze nella vita privata dei lavoratori. La gig economy è una delle nuove forme di organizzazione dell'economia digitale. Si può spiegare come “economia dei lavoretti” e corrisponde a mestieri che una persona potrebbe svolgere a tempo perso. Il modello va verso un lavoro sempre più parcellizzato, affidato a freelance ma gestito dalle piattaforme con formule di organizzazione che molto spesso sono uguali a quelle del lavoro alle dipendenze.
Con il cinema di Ken Loach si entra nelle vite dei personaggi passando direttamente dalla porta principale, vivendoci insieme e affrontando con loro il senso d'impotenza e la ricerca di un’alternativa. Loach è sempre dalla parte dei marginali, dei disoccupati, delle persone semplici che abbiano comunque subìto dei soprusi. Il suo è un eccellente esempio di cinema militante. Avevo letto da qualche parte che Ken Loach, ormai ottantenne, aveva deciso di smettere di fare film ma quando ha sentito che si discuteva della possibile privatizzazione della polizia, ha voluto riprendere a girare per mostrare le conseguenze delle scelte economiche e politiche attuali. Chissà se nel prossimo mostrerà gli effetti della Brexit?
Così afferma la produttrice del film Rebecca O’Brian: «Se si mettono insieme, i film di Ken costituiscono una sorta di lunga storia delle nostre vite. Mi piace pensare che tra 200 anni, se qualcuno vorrà farsi un’idea della storia sociale della nostra epoca, potrebbe trovare una risposta guardando cinquant’anni di film di Ken Loach e dei suoi sceneggiatori».
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