eugenio
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domenica 15 aprile 2018
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fantasmi insanguinati
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Non è una canzone di Michael Bublè, chiariamolo subito.
Di beautiful c’è solo il titolo (italiano) della pellicola di Lynne Ramsay che adatta il testo di Jonathan Ames uscito in Italia col titolo Non sei mai stato qui.
Ecco, forse prima di vedere il film, apparentemente collage di scucito di sequenze senza un filo logico o una precisa collocazione temporale, occorrerebbe approcciarsi al libro, due racconti noir descritti con sapiente crudezza e lucida sintesi da Ames come tributo evidente, per atmosfere e luoghi, a Raymond Chandler e Donald Westlake. Il protagonista è Joe, un ex marine e un ex agente dell’FBI, segnato da una vita di morte e violenza, di crimini e traumi, non solo a livello meramente professionale.
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Non è una canzone di Michael Bublè, chiariamolo subito.
Di beautiful c’è solo il titolo (italiano) della pellicola di Lynne Ramsay che adatta il testo di Jonathan Ames uscito in Italia col titolo Non sei mai stato qui.
Ecco, forse prima di vedere il film, apparentemente collage di scucito di sequenze senza un filo logico o una precisa collocazione temporale, occorrerebbe approcciarsi al libro, due racconti noir descritti con sapiente crudezza e lucida sintesi da Ames come tributo evidente, per atmosfere e luoghi, a Raymond Chandler e Donald Westlake. Il protagonista è Joe, un ex marine e un ex agente dell’FBI, segnato da una vita di morte e violenza, di crimini e traumi, non solo a livello meramente professionale.
Joe non ha amici, è un solitario, un mercenario, un angelo sterminatore. Almeno così è diventato, trasformato da una vita passata di violenze fatte e subite, un prezzolato. Salva giovani vite, ragazze appena adolescenti, finite nelle grinfie di delinquenti senza scrupoli (che appaiono rispettabili padri di famiglia “nell’altra vita”) nella girandola mortale del sesso a pagamento. Finchè, assunto da un senatore per salvare la relativa figlia, Nina, invischiata in un giro di prostituzione a Manhattan, penetra sempre più nei meandri di quell’universo corruttivo che muove le pieghe nascoste della società metropolitana americana.
Incapace di dissipare il dedalo labirintico di bambini abusati e cresciuti alla mercè di orchi e ulteriormente segnato dall’uccisione dell’unica persona a lui cara, l’anziana e malata madre, Joe inizia a uccidere. Armato di martello, farà giustizia a modo suo, menando colpi e fendenti più al fantasma della disperazione cui fugge, che al nemico in carne e ossa davanti, trasfigurato in intelligenti flash-back. Joe ammazza, si muove svelto come se non fosse stato mai lì. Come se non esistesse. Come se fosse un’eterea proiezione di un limbo di dannazione e disperazione.
Questo il libro ed il film ben ne palesa la caratteristica evidente di un uomo malato della cosiddetta sindrome da stress post-traumatico. Grazie a un interprete carismatico e ben tormentato che ha qui il volto di Joaquin Phoenix, You Were Never Really Here, questo il titolo originale, presenta in sequenza disordinata, tratti di vita convulsa di Joe, assuefatto inevitabilmente a una violenza che la cineasta “stempera” (o esacerba, dipende dai punti di vista) con note di musica classica e una colonna sonora di Johnny Greenwood, sulla falsa riga del cinema di Quentin Tarantino.
Il citazionismo in A beautiful day non finisce qui tuttavia. Da Leon di Besson, palesato nel rapporto con la figlia del senatore salvata in extremis, a Drive o Taxi Driver nella figura allucinata e paranoica del protagonista (che non parla da solo ma con immagini montate a ritmo serrato di eloquenti flashback), sino allo splatter che mancava nel cinema d’azione o almeno in un thriller.
Perché in fondo, A beautiful day, a modo suo lo è. Di tante pellicole tutto sommato simili, con un soggetto assai poco originale che battono i territori comuni della violenza e del cinema “di genere”, questo film ha uno stile che decine di film passati non possiedono: pochi dialoghi, una recitazione che si muove per sottrazione più che per effetto speciale, ritmo sincopato (vedi Fight Club senza pugni e lotte, se si vuole aggiungere Palaniuk), una concentrazione sui primi piani, una rievocazione frammentaria del doloroso passato (alla Memento di Nolan) con tanto di padre violento e crimini di guerra, su cui si apre un presente di una deleteria quanto improvvisa esplosione di violenza.
Difficile non rimanere turbati dalla scarsa ora e mezza di A beautiful day. Angosciato e angosciante, empatico quanto posato nella misura scelta del disastro emotivo, il film è un irrazionale inno alla disperazione di un viaggio, più mentale, che fisico di una New York sfumata e distante, frenetica e atona al tempo stesso, nella solitudine di corpi malati, nell’illusione precaria di una “bella giornata”.
Dal 3 maggio al cinema.
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[+] perversione e alienazione della società americana
(di tom87)
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(di l''imbecille)
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vincenzobasile
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martedì 1 maggio 2018
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l'eleganza nella violenza.
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Lynne Ramsay scrive e dirige un film meravigliosamente citazionista che si rifà a cult come Taxi Driver o Leon senza, però, scadere nel banale. La regista scozzese delinea caratterialemente il protagonista in maniera chiara e precisa, attraverso una montaggio frenetico, con flashback che sbattono il faccia allo spettatore il perché Joe è quel che è.
Un plauso proprio a Phoenix che, attraverso silenzi e sguardi, comunica ed emoziona. Nota di merito anche a Jonny Greenwood e Thomas Townend, rispettivamente compositore e direttore della fotografia. Greenwood alla seconda collaborazione con la Ramsay è, indubbiamente, l'elemento in più di questo film, egli ci fa strada per l'intero film sia con musiche dolci che frenetiche senza mai ripetersi.
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Lynne Ramsay scrive e dirige un film meravigliosamente citazionista che si rifà a cult come Taxi Driver o Leon senza, però, scadere nel banale. La regista scozzese delinea caratterialemente il protagonista in maniera chiara e precisa, attraverso una montaggio frenetico, con flashback che sbattono il faccia allo spettatore il perché Joe è quel che è.
Un plauso proprio a Phoenix che, attraverso silenzi e sguardi, comunica ed emoziona. Nota di merito anche a Jonny Greenwood e Thomas Townend, rispettivamente compositore e direttore della fotografia. Greenwood alla seconda collaborazione con la Ramsay è, indubbiamente, l'elemento in più di questo film, egli ci fa strada per l'intero film sia con musiche dolci che frenetiche senza mai ripetersi. Townend, invece, è un'esteta che riesce a rendere elegante ogni singola scena, anche in contesto pulp come questo.
Lynne Ramsay torna al cinema dopo ben sette anni dirigendo, scrivendo e amando questo film e si vede.
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(di mabster)
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ghisi grütter
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domenica 17 maggio 2020
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violenti violentati
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In questo periodo di chiusura delle sale cinematografiche cerco di vedere in televisione - tra i vari abbonamenti a reti private - alcuni film recenti che mi sono sfuggiti. In alcuni casi con le iniziative gratuite dette #iorestocasa, vengono proposti film di una certa qualità che di solito le TV generaliste non trattano.
Ho visto così un interessante film della regista scozzese Lynne Ramsay del 2017. Non sono molte le donne registe in generale e mi stupisce che alcune mostrino sempre immagini oltre che di dolore intenso, di grande violenza.
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In questo periodo di chiusura delle sale cinematografiche cerco di vedere in televisione - tra i vari abbonamenti a reti private - alcuni film recenti che mi sono sfuggiti. In alcuni casi con le iniziative gratuite dette #iorestocasa, vengono proposti film di una certa qualità che di solito le TV generaliste non trattano.
Ho visto così un interessante film della regista scozzese Lynne Ramsay del 2017. Non sono molte le donne registe in generale e mi stupisce che alcune mostrino sempre immagini oltre che di dolore intenso, di grande violenza. Mi riferisco in particolare a due bravissime e coetanee registe: la californiana Kathryn Ann Bigelow, che con il film “The Hurt Locker” ha vinto sei premi agli Oscar 2010 (di cui anche la regia per la prima volta a una donna), e appunto Lynne Ramsay che nasce come operatrice cinematografica, e ha quindi una approfondita conoscenza tecnica.
“A Beautiful Day” - il cui titolo originale è “You Were Never Really Here” - è un thriller psicologico ipervisivo basato sul racconto omonimo di Jonathan Ames del 2013. Joe (interpretato da Joaquin Phoenix) è un veterano di guerra che vive nella sua casa d’infanzia con la madre (Judith Roberts) di cui si prende amorevolmente cura. Rimasto traumatizzato da violenze del suo passato bellico di marine e di agente della FBI, e dagli abusi subiti - anche sua madre - da parte dell’irrefrenabile padre, ha spesso ricordi inquietanti misti a visioni desideranti il suicidio.
In una New York sempre in secondo piano, Joe fa il mercenario prestandosi a fare “lavoretti” al posto di molte persone che non hanno il coraggio di fare, un po' come Mr. Wolf in Pulp fiction. Attraverso l’amico mediatore viene contattato da Albert Votto, un Senatore dello Stato di New York, al quale hanno rapito la figlia, una giovane ragazzina che si trova ora in un bordello per ricchi clienti. Uccidendo vari guardiani Joe riesce a salvare Nina (Ekaterina Samsonov), ma poi gli viene portata via da agenti di polizia che lo perseguitano e fanno fuori l’amico mediatore. Inoltre, avendo scoperto il suo indirizzo di casa, uccidono perfino sua madre. Nella colluttazione Joe riesce a ferire mortalmente uno degli agenti il quale, prima di morire, gli rivela che il mandante è il Governatore Williams che gestisce l’attività di prostituzione e vuole Nina perché è la “sua preferita”.
Joe viene a sapere che il Senatore Votto è stato ucciso, quindi si sente ancora più responsabile della vita della ragazza e, dopo averseppellito sua madre in acqua, si mette alla ricerca di Nina nella casa di campagna del Governatore Williams. Lì scopre che Nina si èribellata tagliando la gola al Governatore con un rasoio. Più tardi, seduti in una tavola calda, Nina sveglia Joe, assorto in una sua fantasia suicida, dicendo "È una bellissima giornata", e se ne vanno insieme.
La regia di Lynne Ramsay non ci risparmia nessuna scena di violenza, né i colpi di martello (al posto della pistola) con cui Joe sfoga la sua rabbia omicida.Concentrato su primissimipiani spesso di dettagli, lo sviluppo narrativo è privo di punti di riferimento spazio-temporali e sembra quasi ostacolare il percorso voluto. Vedendo questo film mi sono chiesta comemai Joaquin Phoenix non abbia già vinto l’Oscar con questa interpretazione. A mio avviso il personaggio di Joe è molto simile nelle motivazioni a quello di “Joker” 2018: entrambi paranoici e insofferenti alle ingiustizie sociali, entrambi con storie infantili drammatiche, entrambi si prendono cura della propria madre. La figura del protagonista ricorda inoltre Travis, il disadattato reduce del Vietnam di “Taxi Driver” di Martin Scorsese del 1976 - specialmente nelle scene solitarie e deliranti - anche lui con il desiderio di salvare una minorenne dal mercato della prostituzione.
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carloalberto
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giovedì 8 ottobre 2020
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non e'' taxi driver
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La sceneggiatura, piuttosto scontata, della Ramsay si basa su una trama già vista altre volte con un lontano riferimento in Taxi Driver di Scorsese. Il protagonista, figura ampiamente sfruttata nel cinema, è l’ennesimo reduce traumatizzato, gravato questa volta, come se non bastassero gli orrori della guerra a turbare la psiche del pover’uomo, anche dalle violenze subite da bambino dal solito padre violento, l’orco cattivo delle favole, oramai divenuto un topos cinematografico immancabile nella costruzione di qualsiasi profilo psicologico drammatico.
Una fotografia plastica, che rende tridimensionali alcune immagini, e la performance straordinaria di Joaquin Phoenix,che anticipa, in versione irrobustita, l’interpretazionedell’eroe solitario e schizofrenico di Joker, trasformano un film d’azione, come se ne vedono tanti, in un’opera interessante e che, tuttavia, non lascia traccia nella memoria, tant’è che ho potuto rivederlo dopo tre anni senza ricordare di averlo già visto.
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La sceneggiatura, piuttosto scontata, della Ramsay si basa su una trama già vista altre volte con un lontano riferimento in Taxi Driver di Scorsese. Il protagonista, figura ampiamente sfruttata nel cinema, è l’ennesimo reduce traumatizzato, gravato questa volta, come se non bastassero gli orrori della guerra a turbare la psiche del pover’uomo, anche dalle violenze subite da bambino dal solito padre violento, l’orco cattivo delle favole, oramai divenuto un topos cinematografico immancabile nella costruzione di qualsiasi profilo psicologico drammatico.
Una fotografia plastica, che rende tridimensionali alcune immagini, e la performance straordinaria di Joaquin Phoenix,che anticipa, in versione irrobustita, l’interpretazionedell’eroe solitario e schizofrenico di Joker, trasformano un film d’azione, come se ne vedono tanti, in un’opera interessante e che, tuttavia, non lascia traccia nella memoria, tant’è che ho potuto rivederlo dopo tre anni senza ricordare di averlo già visto.
Si può dimenticare di aver visto Taxi Driver del 1976?
La colpa dell’oblio, in cui è destinato a cadere questo film, non è ovviamente di Phoenix, che non fa rimpiangere De Niro, né della mancanza di una giovanissima Foster nei panni dell’angelo redentore, ma del soggetto, che, a prescindere dalla mancanza di verosimiglianza, con la spectre dei pedofili politici con complicità nella polizia e finanche nei servizi, risulta un collage di situazioni trite e ritrite, che, rinviando ad altri film dello stesso genere, alla fine determina la perdita di identità dell’opera, che si scioglie, come neve al sole, disperdendosi in mille rivoli di fotogrammi che ritornano ognuno alla sua fonte originale.
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biso93
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martedì 8 maggio 2018
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mi piace il verde
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You were never really here e un film del 2018 scritto e diretto da Lyanne Ramsay ed interpretato da un grande Joaquin Phoenix. La trama del film ricalca molto quella di film come Taxi Driver e Leon ma lo sguardo che la Ramsay riesce a trasmettere sul suo protagonista, trasforma la pellicola in un prodotto nuovo, intimo e psicologico. Le vicende che il nostro protagonista Joe subisce non sembrano altro che un pretesto per scavare all'interno della psiche di un uomo distrutto e tormentato, in bilico tra la voglia di farla finita e la speranza di poter cominciare a vivere. Una gran bella fotografia e una colonna sonora pop un po' pretenziosa sono il collante tra una regia molto europea che resta attaccata al protagonista, ed una intensa performance di Phoenix.
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You were never really here e un film del 2018 scritto e diretto da Lyanne Ramsay ed interpretato da un grande Joaquin Phoenix. La trama del film ricalca molto quella di film come Taxi Driver e Leon ma lo sguardo che la Ramsay riesce a trasmettere sul suo protagonista, trasforma la pellicola in un prodotto nuovo, intimo e psicologico. Le vicende che il nostro protagonista Joe subisce non sembrano altro che un pretesto per scavare all'interno della psiche di un uomo distrutto e tormentato, in bilico tra la voglia di farla finita e la speranza di poter cominciare a vivere. Una gran bella fotografia e una colonna sonora pop un po' pretenziosa sono il collante tra una regia molto europea che resta attaccata al protagonista, ed una intensa performance di Phoenix.
Il risultato é un film che si ritaglia il suo spazio nel genere, visivamente molto potente ed intenso nonostante strizzi a volte troppo l'occhio ai cari e vecchi cinefili ma che indubbiamente colpisce l'occhio e la mente.
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flyanto
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mercoledì 9 maggio 2018
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un uomo che cerca di salvare se stesso e gli altri
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"A Beautiful Day" è la frase finale che viene pronunciata alla fine del film dall'adolescente protagonista come speranza di un futuro migliore per i due protagonisti della storia qui raccontata che sono due individui che sin dall'infanzia hanno subito abusi di ogni genere. L'uomo (Joaquin Phoenix), ormai cresciuto, che svolge l'ambigua attività di ricercare persone scomparse da parte di una sedicente agenzia investigativa, è vissuto in una famiglia in cui il padre era un individuo violento che picchiava lui e la madre. La ragazzina, appena adolescente ed orfana di madre, è la figlia di un senatore da cui scappa per ribellione e che viene abusata sessualmente da un giro di adulti appartenenti al mondo corrotto della Politica.
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"A Beautiful Day" è la frase finale che viene pronunciata alla fine del film dall'adolescente protagonista come speranza di un futuro migliore per i due protagonisti della storia qui raccontata che sono due individui che sin dall'infanzia hanno subito abusi di ogni genere. L'uomo (Joaquin Phoenix), ormai cresciuto, che svolge l'ambigua attività di ricercare persone scomparse da parte di una sedicente agenzia investigativa, è vissuto in una famiglia in cui il padre era un individuo violento che picchiava lui e la madre. La ragazzina, appena adolescente ed orfana di madre, è la figlia di un senatore da cui scappa per ribellione e che viene abusata sessualmente da un giro di adulti appartenenti al mondo corrotto della Politica. Il compito del protagonista è, appunto, quello di ritrovare la giovane fuggita ma, una volta scoperto il luogo dove ella viene tenuta rinchiusa, si troverà a contatto con un ambiente del tutto violento e corrotto moralmente....
Insomma, la storia di due individui accomunati più o meno da simili esperienze ed all'insegna della violenza a cui, però, alla fine delle lunghe e triste vicende vissute da entrambi, sembra aprirsi una possibilità di riscatto e di felicità. Un finale, pieno di speranza ma poco probabile sotto molti aspetti che svilisce di molto il film.: si fa fatica, infatti, a credere possibile che una storia così cruda possa risolversi nel modo in cui esso termina all'insegna della confusione e dell'affrettata semplificazione. Senza alcun dubbio si comprende che la possibilità di un futuro roseo, come un anelito di speranza, risulta necessaria al fine di alleviare la tensione e la dose di violenza che impera nella pellicola ma, nel suo complesso, nel corso della vicenda le buone premesse iniziali, vengono, purtroppo, meno.
Invece, in "A Beautiful Day" occorre apprezzare il ritmo con cui la regista Lynne Ramsay lo ha girato che si dimostra ben serrato ed incalzante con scene ad effetto, sia pure un poco crude, all'insegna di un'ottima fotografia e di una scandente colonna sonora formata da brani di musica tecno che ben si armonizzano all'intera vicenda.
Inoltre, l'interpretazione di Joaquin Phoenix, qui visibilmente ingrassato e truccato da uomo ridotto in uno stato piuttosto malconcio fisicamente parlando, risulta veramente efficace tanto da far sì che, nel suo complesso, valga la pena di andare il film.
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maumauroma
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sabato 12 maggio 2018
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a beautiful day
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Prima una infanzia vissuta tra sopraffazioni e molestie. Poi soldato nella guerra in Iraq dove ha assistito ad atrocita' di ogni tipo. Oggi Joe, vive solo come un cane, accudisce amorevolmente la anziana madre e ammazza gente su commissione e a pagamento, da bravo sicario, con una martellata ben assestata sulla capoccia della vittima. E si puo' dire, paradossalmente, che questa particolare attivita' lo faccia sentire in qualche modo ancora utile a questo mondo, sentire ancora parte integrante nel consesso umano in cui si trova a vivere' . Ma e' solo una pia illusione. Perche' quando verra' chiamato a "risolvere" il caso di una ragazzina, figlia di un potente uomo politico, sequestrata e rinchiusa in un appartamento e vittima di uno squallido giro di prostituzione minorile, ecco che nella mente di Joe riemergeranno prepotenti le angosce del suo passato e la consapevolezza definitiva di quella sua vita cosi' inutilmente vissuta.
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Prima una infanzia vissuta tra sopraffazioni e molestie. Poi soldato nella guerra in Iraq dove ha assistito ad atrocita' di ogni tipo. Oggi Joe, vive solo come un cane, accudisce amorevolmente la anziana madre e ammazza gente su commissione e a pagamento, da bravo sicario, con una martellata ben assestata sulla capoccia della vittima. E si puo' dire, paradossalmente, che questa particolare attivita' lo faccia sentire in qualche modo ancora utile a questo mondo, sentire ancora parte integrante nel consesso umano in cui si trova a vivere' . Ma e' solo una pia illusione. Perche' quando verra' chiamato a "risolvere" il caso di una ragazzina, figlia di un potente uomo politico, sequestrata e rinchiusa in un appartamento e vittima di uno squallido giro di prostituzione minorile, ecco che nella mente di Joe riemergeranno prepotenti le angosce del suo passato e la consapevolezza definitiva di quella sua vita cosi' inutilmente vissuta. Negli occhi e nello sguardo della giovane che riuscira' a portar via da quell' inferno, Joe rivedra' lui bambino, e le sevizie subite in famiglia , che hanno finito, una volta adulto, per prosciugargli l' anima e devastargli la coscienza. Prendera' cosi' drammaticamente atto della sua disperata solitudine in una societa' fatta di marciume decomposto , del tutto indifferente ai suoi problemi, una societa' che nemmeno si accorgerebbe se, seduto al tavolo di un bar, si sparasse un colpo di pistola in bocca, mentre la cameriera gli si avvicina per consegnargli il conto.
L' opera di Lynne Ramsey e' sicuramente interessante e coinvolgente, anche se non particolarmente originale. Meglio la prima parte, tesa e essenziale. Poi la sceneggiatura da' l' impressione di srotolars in modo un po' troppo sbrigativo e in parte irrisolto, indugiando eccessivamente e con un certo compiacimento in una serie di scene di particolare crudezza e violenza , dove il sangue finisce per scorrere a fiumi . Efficacissima la colonna sonora. Bravo come sempre Joaquin Phoenix, a cui urge pero' iniziare una drastica dieta dimagrante
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dandy
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martedì 12 febbraio 2019
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piacevole,ma non certo innovativo.
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Dal romanzo breve "You were never really here" di Jonathan Ames,un altro ritratto di antieroe tormentato dall'infanzia travagliata che deve confrontarsi con il marciume del mondo che lo circonda.Se Phoenix(premiato a Cannes)è perfetto e la regista sa indovinare la leggerezza per trattare un tema scabroso,il rischio di deja vu è alto,e i temi sono risaputi(il giustiziere solitario,l'innocenza violata,la politica marcia,la formazione di una nuova famiglia dalle tragedie personali).Inoltre,la durata esigua rende assai forzato l'accumulo di situazioni,e il continuo ricorso a brevissimi flashback e visioni non è d'aiuto.Ci sono la bella fotografia e la musica di Johnny Greenwood,e alcune scene notevoli(il confronto tra il protagonista e il sicario agonizzante,l'immersione nel lago).
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Dal romanzo breve "You were never really here" di Jonathan Ames,un altro ritratto di antieroe tormentato dall'infanzia travagliata che deve confrontarsi con il marciume del mondo che lo circonda.Se Phoenix(premiato a Cannes)è perfetto e la regista sa indovinare la leggerezza per trattare un tema scabroso,il rischio di deja vu è alto,e i temi sono risaputi(il giustiziere solitario,l'innocenza violata,la politica marcia,la formazione di una nuova famiglia dalle tragedie personali).Inoltre,la durata esigua rende assai forzato l'accumulo di situazioni,e il continuo ricorso a brevissimi flashback e visioni non è d'aiuto.Ci sono la bella fotografia e la musica di Johnny Greenwood,e alcune scene notevoli(il confronto tra il protagonista e il sicario agonizzante,l'immersione nel lago).Ad ogni modo,chiamare in causa "Taxi Driver" o "Leon" è fuori luogo,soprattutto quest'ultimo.Inspiegabile premio a Cannes anche per la sceneggiatura.
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felicity
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martedì 14 luglio 2020
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viaggio disperato nella melma più oscura
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Il film è un viaggio disperato nella melma più oscura del mondo contemporaneo in cui la devastazione personale si specchia nell’amoralità di massa.
Il protagonista Joe di Joaquin Phoenix, un uomo tormentato il cui lavoro consiste nel liberare bambine e adolescenti vittime di sfruttamento sessuale, è una vittima di molteplici stress post-traumatici.
Joaquin Phoenix – grasso, barbuto, bofonchiante – dona al personaggio una dolente animalità: parole a mezza bocca, un caracollare da zombie, la precisione e l’efficienza che improvvisamente si mostrano nell'attimo di colpire.
La regia mette in scena un vago desiderio di vendetta e di deviato senso di protezione; rappresenta l’osservazione orrorifica della realtà attraverso un senso perenne di allucinazione, di astrazione narrativa.
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Il film è un viaggio disperato nella melma più oscura del mondo contemporaneo in cui la devastazione personale si specchia nell’amoralità di massa.
Il protagonista Joe di Joaquin Phoenix, un uomo tormentato il cui lavoro consiste nel liberare bambine e adolescenti vittime di sfruttamento sessuale, è una vittima di molteplici stress post-traumatici.
Joaquin Phoenix – grasso, barbuto, bofonchiante – dona al personaggio una dolente animalità: parole a mezza bocca, un caracollare da zombie, la precisione e l’efficienza che improvvisamente si mostrano nell'attimo di colpire.
La regia mette in scena un vago desiderio di vendetta e di deviato senso di protezione; rappresenta l’osservazione orrorifica della realtà attraverso un senso perenne di allucinazione, di astrazione narrativa. La trama non garantisce coerenza né cerca empatia; il racconto dell’investigazione e lo svelamento della storia vengono manipolati, quasi omessi.
Il film è affascinante, nel suo nichilismo squarciato solo dall’ipotesi di futuro del finale, ma in più di un momento si accartoccia su se stesso.
A Beautiful Day è il tentativo coraggioso di un cinema capace di esprimersi in tempo reale, senza respiro, scena per scena.
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luca scialo
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giovedì 26 novembre 2020
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tra taxi driver, leon e joker
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Lynne Ramsay ha già dimostrato nella sua pur breve filmografia, di essere incline alla intensità dei personaggi, all'impatto delle sequenze, alla violenza delle immagini. Trasponendo un omonimo libro, la regista sfrutta appieno le grandi doti di Joaquin Phoenix per proporre un eroe moderno, tormentato, in difesa delle anime innocenti in un mondo deviato. Avendo anche lui stesso subito violenze da bambino. I cinefili vi troveranno varie citazioni e rievocazioni. Su tutte, quelle di Taxi Driver, Leon e per chi lo ha visto dal 2020, Joker. Nel primo ci troveranno un personaggio che ogni giorno lotta con i propri demoni interiori. Nel secondo, un protettore di una anima innocente. Nel terzo, un solitario che vive con la propria madre e il proprio disadattarsi alla società che lo circonda.
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Lynne Ramsay ha già dimostrato nella sua pur breve filmografia, di essere incline alla intensità dei personaggi, all'impatto delle sequenze, alla violenza delle immagini. Trasponendo un omonimo libro, la regista sfrutta appieno le grandi doti di Joaquin Phoenix per proporre un eroe moderno, tormentato, in difesa delle anime innocenti in un mondo deviato. Avendo anche lui stesso subito violenze da bambino. I cinefili vi troveranno varie citazioni e rievocazioni. Su tutte, quelle di Taxi Driver, Leon e per chi lo ha visto dal 2020, Joker. Nel primo ci troveranno un personaggio che ogni giorno lotta con i propri demoni interiori. Nel secondo, un protettore di una anima innocente. Nel terzo, un solitario che vive con la propria madre e il proprio disadattarsi alla società che lo circonda. Per il resto, troviamo un puzzle di immagini, sovente violenti e autolesioniste. Con flash back disturbanti che si insinuano spesso e volentieri. Particolare, certo, ma sembra più il solito esercizio di stile che lascia lo spettatore un po' disorientato.
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