albatros
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lunedì 12 marzo 2018
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da vedere
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Ottimo film. ambientazione perfetta,si rievocano tutte le problematiche dell'America in quel periodo, bravissima M. Streep e T. Hanks. stra-consigliato
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giovedì 8 marzo 2018
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il peggior doppiaggio mai visto
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Andate a vedervi il film in lingua originale...la voce profonda di Meryl Streep e confrontatela con la tremolante, pavida, stridente voce del doppiaggio scelto... Una scelta di una inconcepibile incompetenza...
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no_data
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mercoledì 28 febbraio 2018
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dio non esite
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Film completamente a-cattolico.A me il film è piaciuto abbastanza. L'uomo seduto al tavolo è specchio del malessere, della scontentezza e del male di vivere; non è vero che esiste un destino che ci costringe a fare determinate scelte perché quando le persone scoprono la loro umanità sanno opporsi ad un destino ineluttabile e costrittivo. La visione della complessità delle relazioni umane le rende collegate le une alle altre, ed ogni scelta si intreccia con le altre scelte generando conseguenze. Ognuno è responsabile di come vive e del perché vive. Solo opporsi con umana empatia può portare a nuove soluzioni. Quale altro regista ha espresso con tanta chiarezza aspetti filosofico- esistenziali accessibili a tutti? Nessuna noia, forse alcune cose un po’ troppo scontate, mentre il finale toglie dal ruolo chi sembrava gestire le marionette ed a sua volta desidera riscattandosi.
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Film completamente a-cattolico.A me il film è piaciuto abbastanza. L'uomo seduto al tavolo è specchio del malessere, della scontentezza e del male di vivere; non è vero che esiste un destino che ci costringe a fare determinate scelte perché quando le persone scoprono la loro umanità sanno opporsi ad un destino ineluttabile e costrittivo. La visione della complessità delle relazioni umane le rende collegate le une alle altre, ed ogni scelta si intreccia con le altre scelte generando conseguenze. Ognuno è responsabile di come vive e del perché vive. Solo opporsi con umana empatia può portare a nuove soluzioni. Quale altro regista ha espresso con tanta chiarezza aspetti filosofico- esistenziali accessibili a tutti? Nessuna noia, forse alcune cose un po’ troppo scontate, mentre il finale toglie dal ruolo chi sembrava gestire le marionette ed a sua volta desidera riscattandosi. E' il rapporto uomo-donna che almeno in alcuni casi libera dagli aspetti religiosi della vita rendendo finalmente prepotente una laicità sempre negata.
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jurimoretti
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lunedì 26 febbraio 2018
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la battaglia dell’informazine
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1971 Meryl Streep è alla guida del The Woshington Post, Tom Hanks è il testardo direttore del suo giornale. Nonostante siano diversi, l'indagine che intraprendono e il loro coraggio provocheranno la prima grande scossa nella storia dell'informazione con fuga di notizia senza precedenti, svelando al mondo intero la massiccia copertura di segreti governativi la guerra in Vietnam durata per decenni.
Per la prima volta abbiamo sul grande schermo Meryl Streep e Tom Hanks insieme e diretti da Steven Spilberg.
Da parte dei nostri due attori abbiamo una grande interpretazione, anche se per Meryl Streep fare una grande interpretazione è un gioco da ragazzi, però di fianco a Tom Hanks, che in questo film va a sbalzi, in alcuni momenti i due sembra che quasi si sfidino, insomma una perfomance da applausi da parte di tutti e due.
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1971 Meryl Streep è alla guida del The Woshington Post, Tom Hanks è il testardo direttore del suo giornale. Nonostante siano diversi, l'indagine che intraprendono e il loro coraggio provocheranno la prima grande scossa nella storia dell'informazione con fuga di notizia senza precedenti, svelando al mondo intero la massiccia copertura di segreti governativi la guerra in Vietnam durata per decenni.
Per la prima volta abbiamo sul grande schermo Meryl Streep e Tom Hanks insieme e diretti da Steven Spilberg.
Da parte dei nostri due attori abbiamo una grande interpretazione, anche se per Meryl Streep fare una grande interpretazione è un gioco da ragazzi, però di fianco a Tom Hanks, che in questo film va a sbalzi, in alcuni momenti i due sembra che quasi si sfidino, insomma una perfomance da applausi da parte di tutti e due.
Il film si è guadagnato due nomination all'Oscar e sei ai Golden Globes, che secondo il mio parere tra le vari nomination si meriterebbe quella come miglior regia e miglior sceneggiatura, ma staremo a vedere...
Parlando di regia, questo film è molto schematico, cioè ha bisogno di quei tempi, di quel ritmo, di quel tipo di regia, di quei colori per la fotografia e di quei giusti attori in grado di rappresentare la storia e non solo per portare facilmente il pubblico in solo.
Insomma Hanks e Streep sono due grandi attori come ben sappiamo e non ci hanno deluso.
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jackmalone
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domenica 25 febbraio 2018
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viva le donne!
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Perché esiste ancora la libertà di stampa? Forse perché qualcuno nel passato, in un'epoca in cui la diffusione della carta stampata aveva un valore incommensurabile, ha creduto in questa idea infischiandosene delle conseguenze economiche e legali delle proprie scelte. Con la diffusione di Internet; l'immensa fonte di notizie (non solo informazioni) dove chiunque può dire tutto e il contrario di tutto senza addurre prove documentate, queste scelte coraggiose non hanno più senso. Abbondano le fake news e smentire una notizia palesemente falsa ha meno risonanza della bufala di turno. Colpisce in questo film il lavoro meticoloso, competente e professionale di oscuri lavoratori della stampa, il loro spirito di sacrificio e la caparbietà nel portare avanti le loro idee, dei veri eroi ai quali non viene dato nessun pubblico riconoscimento.
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Perché esiste ancora la libertà di stampa? Forse perché qualcuno nel passato, in un'epoca in cui la diffusione della carta stampata aveva un valore incommensurabile, ha creduto in questa idea infischiandosene delle conseguenze economiche e legali delle proprie scelte. Con la diffusione di Internet; l'immensa fonte di notizie (non solo informazioni) dove chiunque può dire tutto e il contrario di tutto senza addurre prove documentate, queste scelte coraggiose non hanno più senso. Abbondano le fake news e smentire una notizia palesemente falsa ha meno risonanza della bufala di turno. Colpisce in questo film il lavoro meticoloso, competente e professionale di oscuri lavoratori della stampa, il loro spirito di sacrificio e la caparbietà nel portare avanti le loro idee, dei veri eroi ai quali non viene dato nessun pubblico riconoscimento. Un'eroina spicca su tutti; una garbata signora non più giovane che, non per scelta, deve dirigere il più prestigioso quotidiano della capitale, proprietà di famiglia che suo padre ha pensato bene di affidare al marito. Morto il marito tocca a lei prenderne le redini; nessun membro del consiglio di amministrazione crede in lei, viene tenuta da parte: ogni decisione importante viene presa da qualcun altro. Arriva però il momento del suo riscatto: nonostante tutti i tentativi di dissuasione, la valutazione dei rischi economici ,l'eventualità di finire in carcere, riesce a fare la scelta giusta e sceglie di far pubblicare le notizie scomode. Non è solo l'affermazione del primo emendamento ma il riconoscimento pubblico dell'importanza del lettore, del cittadino qualunque che ha diritto di essere informato, che crea l'opinione pubblica e che è l'unico vero proprietario del giornale.
La cosa visivamente più travolgente è il rumore e la violenza delle rotative quando sta per partire la stampa: fanno tremare gli arredi come un terremoto: ora anche le rotative sono silenziose: la stampa è più tecnologica e domina il silenzio.
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soleil
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giovedì 22 febbraio 2018
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intenso da non perdere
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Un bellissimo film con grandi attori e una grande regia.
Consigliatissimo
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carloalberto
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giovedì 22 febbraio 2018
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un'eroina da oscar.
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The Post è costruito come una tragedia classica sul duplice dramma, incarnato da una Meryl Streep da Oscar, di una donna che lotta per farsi valere come l’editrice del Washington Post, nonostante il pregiudizio maschilista dell’epoca, e della libertà di stampa, nell’America degli anni ’70, contro la censura del potere.
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The Post è costruito come una tragedia classica sul duplice dramma, incarnato da una Meryl Streep da Oscar, di una donna che lotta per farsi valere come l’editrice del Washington Post, nonostante il pregiudizio maschilista dell’epoca, e della libertà di stampa, nell’America degli anni ’70, contro la censura del potere. Tom Hanks si dimostra all’altezza del ruolo di comprimario. Il film avvince per il ritmo serrato, i dialoghi essenziali e asciutti, la recitazione perfetta del cast, la ricostruzione realistica della vita di un giornale, dalla tipografia all’ufficio del direttore. Le storie laterali, appena accennate, ma in modo incisivo, sulle famiglie dei due protagonisti, non distolgono l’attenzione dalla scena centrale dove campeggia l’eroina e il suo dramma interiore e sullo sfondo il coro di politici, uomini d’affari, giornalisti, giudici, gente comune. Magistralmente diretto da Spielberg è un film da non perdere.
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elicann
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lunedì 19 febbraio 2018
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pensavo meglio
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la trama è emozionante e si sa già circa cosa si va a vedere ma sono rimasta molto delusa. Meryl Streep davvero pietosa e lo dico con dolore perchè è un'attrice che amo vedere... spero sia solo un problema di doppiatore ma devo dire che è un film non da cinema, si vede bene anche a casa e forse meglio.
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no_data
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lunedì 19 febbraio 2018
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un dejà vu ben fatto
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Confesso di aver più volte sbadigliato durante la visione del film,non perchè fosse noioso e/o lento;anzi l'inizio ,con le imboscate dei vietcong nella giungla contro giovani soldati americani,creave suspense e pena; non certamente per la interpretazione dei due protagonisti, ma a chi come me aveva visto "Tutti gli uomini del presidente" ha dato la sensazione del già visto,non suscitando nè curiosità nè emozioni.
Aggiungo che la voce di M.Streep doppiata mi è fastidiosa.
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loland10
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domenica 18 febbraio 2018
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stampa in (post)azione
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“The Post” (id., 2017) è il trentunesimo lungometraggio del regista di Cincinnati Steven Spielberg.
All'ennesimo film Spielberg si circonda e ci circonda di un suggestivo racconto con una coralità ed essenzialità riuscite con intriganti immagini di interni tra una redazione strapiena e un subbuglio politico di la da venire.
Una pellicola a soggetto, dove ogni particolare e oggetto, fiato e rumore, passo e decisione, scrivania e stampa, sono al loro posto per identificarsi. Una sottrazione elementare, una peculiarità essenziale che rende il tutto un mestiere per pochi. In sordina e in tono minore è il porsi ma i modi sono di un cinema in disuso e di una capacità attrattiva: pochi fotogrammi e giuste sollecitazioni.
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“The Post” (id., 2017) è il trentunesimo lungometraggio del regista di Cincinnati Steven Spielberg.
All'ennesimo film Spielberg si circonda e ci circonda di un suggestivo racconto con una coralità ed essenzialità riuscite con intriganti immagini di interni tra una redazione strapiena e un subbuglio politico di la da venire.
Una pellicola a soggetto, dove ogni particolare e oggetto, fiato e rumore, passo e decisione, scrivania e stampa, sono al loro posto per identificarsi. Una sottrazione elementare, una peculiarità essenziale che rende il tutto un mestiere per pochi. In sordina e in tono minore è il porsi ma i modi sono di un cinema in disuso e di una capacità attrattiva: pochi fotogrammi e giuste sollecitazioni. Il cinema è di livello inconfondibile quando sembriamo alla pari ma lo sguardo misurato va ben oltre ogni inquadratura.
La regia avvolgente e a fianco ad ogni volto, camminata e gruppo mostra il piglio migliore e mai domo di una cinepresa attaccata su ciascun personaggio. La carrellata iniziale in Vietnam (con la macchina da scrivere che aspetta nei tasti da battere) con i soldati che macinano passi sotto la pioggia battente aspettando il nemico, fa da ’trait d’union’ con quella nella redazione del Washington Post tra il corridoio che divide scrivanie piene e macchine che sentono le dite di ciascun giornalista. Come non pensare a film antecedenti mentre la camminata del redattore capo misura i passi dentro l'ufficio che sembra piccolo per farsi riprendere è quantomeno spazioso per far girare il quadro tra tutti i volti che man a mano suggellano gli intervalli di ogni ansia di pubblicazione. La cinepresa del regista sembra ballare, scivolare, spingere e favoleggiare sulle labbra di ogni giornalista con le parole pensanti che escono dalla bocca. Un parlare quasi asfittico, misero e secco mentre l'interno, e ciò che resta di esso, sbava per una prima pagina da rubare è un risucchio di titolo dal concorrente New York Times.
Ci vuole qualcosa di grosso per tirare su il giornale. E il qualcosa scotta. Telefonate fuori sede, ansia dei numeri, gettoni che cadono. Motel fuori zona, arrivo notturno, passi veloci, acqua sotto le scarpe, si bussa, il numero otto si apre e Ben Bagdikian incontra Robert McNamara. I documenti segreti sono tutti lì: consegnati in due scatoloni. Lo slegare la corda e l’apertura pare qualcosa di già visto nel cinema del regista. Miriadi di frasi, date e foglie senza impaginatura. Il top secret è vietato.
Alla fine i giornali concorrenti diventano uno spalla dell'altro. Quasi un segno del destino mentre il Presidente in modo perentorio fa sentire la sua voce. Mai e poi mai i giornalisti del Post saranno vicini alla Casa Bianca: una vera e propria epurazione . È l'inizio della fine per Nixon e da lì verrà lo scandalo Watergate.
Siamo nel 1971 quando il ‘Washington Post’ si trova tra le mani migliaia di documenti segreti che possono inficiare sulla Politica e nascondono l'occultamento di più presidenti sui finanziamenti e la guerra in Vietnam. Documenti liberi da pubblicare? Decisione non semplice per un giornale che vuole verità e darla ai governanti senza il passo è la mediazione del governo. Ci prova più di uno ma i documenti hanno il si di Kay Graham (Meryl Streep) che da donna indecisa diventa il passo decisivo per il Post.
Avvocati inchinati, politici censurabili, voci corrotte e giornalismo veramente libero. Basta sentire la telefonata del vice di turno al Post, dopo la prima pagina che rivela i documenti nascosti, e vedere la postura di Ben Bradlee (Tom Hanks) mentre ascolta dalla cornetta e noi con lui. Naturalmente si vuole lo stop di tutto per non avere conseguenze. Risposta di compiacimento per la perdita di tempo (della Casa Bianca) e acidità incontrollabile nel ringraziare l'inutile blocco dall'alto della pubblicazione dei documenti. Che scrigno d'oro (si fa per dire) nelle corde vocali di un uomo che vorrebbe occultare ogni notizia per il Presidente.
E le riprese dall'esterno della finestra mentre si vede una sagoma indefinibile ma riconoscibile che parla al telefono è pura lezione di cinema. Pochi secondi, poche parole, pochi incisi mentre le copie del Post sono lì fuori ad attendere l’acquisto e la lettura: uno sberleffo e uno schiaffo vero al Governo che chiude. Libertà di stampo per chi è governato.
Rimani in carreggiata deragliando, rimani sul pezzo con acume libero facendoli deragliare.
L'ultimo Spielberg è conquista di spazi inermi, di strettoie, di chiaroscuri, di corridoi falcidiati e di un ascensore che ridesta lo sguardo stupito di un ragazzo tutto fare (mentre spia il titolo del giornale concorrente). Ecco le notizie sono lì sopra ma non vedi il dietro, la sagoma dietro le finestre e le voci quasi in controluce e con una cornetta alleggerita dei destini è il guasto marcio di una politica nascosta, esecrabile.
“Come mai sei qui alle otto…”. “Tu sai per chi lavori …”. Ecco la ragazza che serve lo Stato e porta materiale al Processo (Stampa e Politica si incontrano) vede la vittoria di suo fratello (ancora in Vietnam) da riportare in patria, mentre parla con Kay Graham all’entrata in aula. “Faccio il tifo per lei ma non lo dica a nessuno altrimenti mi licenziano”. Ecco che i governati, nonostante l'arroganza dei governi, hanno già il sentore di quello che accadrà. E’ una donna della redazione a ricevere la sentenza (sei a tre) con una telefonata. Non si vede nessun testimone, non si vede nessuna seduta: il telefono racconta dal giornale una vittoria delle pubblicazioni.
Ecco il film di Spielberg si basa molto su particolari che sembrano superflui ma che danno il la a notizie, spostamenti, riunioni, telefonate, diatribe, paure e sentenze. Quando la goduria della corsa tra una scrivania e una strada affollata riecheggia nei rumori di fondo di vecchie macchine da scrivere, si ha la sensazione di una palpitazione oramai persa e di un fuori onda senza racconto. Vecchio stampo, vecchio giornalismo e la carta dei giornali che arieggia cadendo in pacchi come un tonfo sull’asfalto vicino ad edicole e vendite in strada.
Per la pubblicazione dei documenti segreti, Spielberg ci dà il piatto tra Kay, Ben, incontri, telefonate, l’articolo in prima, la correzione, l’orario dopo mezzanotte, il sì del capo e la partenza delle rotative. Una sequenza di vero cinema e la scrivania che si muove (quando la stampa inizia), quella di Ben Bagdikianche sente il cuore della notizia come un’emozione vera (e noi con lui). I due Ben sembrano quasi identificarsi con gusto sulla macchina da scrivere e con le mani conserte come Kay Graham riesce a fare dopo una lunga notte. E dopo il sì per pubblicare dice: ‘Adesso vado a letto’.
Trump(ismo) non Trump(ismo), di questi tempi (e anche di ieri) meglio debordare e lasciarsi andare perché la politica del contenimento di notizie compromettenti e pericolose è confinata in uno scatolone che si apre come un miraggio o una Fata Morgana d'altri tempi. E i documenti di pagine e pagine sono tutti sparsi. Pavimento, tavolo e mani che sfogliano e occhi che leggono. “Siccome non sei un romanziere ma un giornalista”. Solo sette ore per un prima pagina. “Datti da fare”… ordina Ben Bradlee.
Ho da darti qualcosa di bollente E l’entrata in una notte di scambio; Proteste e ingiunzione processuale; Ostracismo presidenziale e una donna contro la(’) (auto)censura; Schiena diritta, è (s)comodo ogni silenzio riluttante, è viva ogni pagina rumorosa; ‘Tutti gli uomini del Presidente’ (film d’attacco da rivedere -1976 di Alan J. Pakula): ecco l’ultimo colpo per il proseguo omaggio nell'ultima inquadratura. E la musica incanta l’oscurità di un’indagine ancora palpabile. Per tale arrivano i titoli di coda. Uno scorrere di nomi come le rotative di un quotidiano da stampare (il cartaceo rimane tra le nostre mani come a tutta la redazione che legge in contemporanea il Post: clamore di un tempo gridato e di un presente da svegliare).
Nel classico film che disegna dei tempi architettonicamente poco invasivi, Spielberg si fa quasi da parte, segue le voci e i movimenti dei suoi personaggi, e libertà il sovrappiù per una pellicola lineare, armonica, intensa e priva del gioco come tale.
Il cast è di una coralità interpretativa efficace: ricordiamo tutti. Naturalmente i dialoghi fra Kay (Meryl Streep) e Ben (Tom Hanks) sono da assaporare. L’incontro colazione in una sala con luci soffuse, chiaroscuri e maestranze eleganti, arriva anche l’inciampo di una sedia che cade, lo sfogliare del giornale e un tavolo già pronto. Mosse, eleganze, mugugni, parole dimesse e spassosi movenze di un cinema trascorso. Il passo è breve per una telefonata: il mettere l’apparecchio richiesto è già una vista ‘d’antan’ . Ogni oggetto pare a proprio agio, ogni persona pare a posto ma, anche, tutto è in disordine e ogni volto è coperto da cera pronta a sciogliersi per un futuro più promettente. La miseria del destino di una vita è scritta dentro un quadro ben incorniciato. Tra gli altri rimane il volto di Bob OdenKirk (Ben Bagdikian) e la sua matita che cancella i nomi come le telefonate, Jesse Plemons (Roger Clark) e l’avvocato governativo, Zach Woods (Anthony Essaye) che corre e sbircia fino alla 43th, Tracy Letts (Fritz Beebe) che pare decisionista ma per le sue tasche. Tutti, e gli altri, hanno una misura di come si recita con convinzione ‘da prima pagina’.
La fotografia di Janusz Kaminskiammorbidisce, attutisce, inebria e allarga gli ambienti, tra un ufficio, le scrivanie, un salotto, un divano e una strada da attraversare.La colonna sonora di John Williams (oramai il suo connubio con il regista di Cincinnati è un accordo immagini note da pelle d’oca in più frangenti) segue l’itinerario come pochi sanno fare fino ad uno ‘schiaffo’ sonoro per arrivare alla postilla nota bene dell’ultimo fotogramma.
La regia di Spielberg ha il ‘presente’ di un riassunto metodico e sagace dei suoi trascorsi, letti e visti. Il paesaggio e l’immaginario cadono oltre le inquadrature. Messa in scena, giravolte, visi e arguzia d’impatto lasciano una storia di ‘domani’. ‘Non per i governanti ma per i governati’.
Voto: 10/10. (*****)
p.s.: tre loghi di distribuzione (O1, Rai, Leone Group) e quattro di produzione (DreamWorks, 20thFox, Partecipant media, Star Thrower).
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[+] bla bla bla....
(di misesjunior)
[ - ] bla bla bla....
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