manuelazarattini
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domenica 11 febbraio 2018
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il coraggio di avere coraggio
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Una storia avvincente che conquista piano piano. La prima parte, infatti, non è facile da seguire dato che racconta i complessi e oscuri fatti che coinvolgono la Casa Bianca. Ma poi nella seconda parte il racconto si fa sempre più avvincente e coinvolgente. Meryl Streep interpreta magnificamente la proprietaria del Post: una donna convinta di non essere all'altezza del suo compito ma che a poco a poco acquista e conquista il coraggio di essere finalmente se stessa.
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michelecamero
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domenica 11 febbraio 2018
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l'america che fa le pulci a se stessa!
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E’ esattamente il film che ti aspetti di vedere, quello cioè che non delude le aspettative dello spettatore provvisto di un minimo di informazione. Racconta la vicenda con la quale, durante la presidenza Nixon, vennero divulgati, prima dal New York Times poi soprattutto dal Post, documentazioni del Governo Federale statunitense segrete sulle vicende legate alla guerra in Vietnam e su tutte le bugie raccontate al popolo americano che nella jungla indonesiana pagò un incredibile e probabilmente inutile, sicuramente evitabile, tributo di vite umane. E siamo praticamente allo scandalo che precedendo di poco quello del Watergate segnerà la fine dell’era Nixon.
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E’ esattamente il film che ti aspetti di vedere, quello cioè che non delude le aspettative dello spettatore provvisto di un minimo di informazione. Racconta la vicenda con la quale, durante la presidenza Nixon, vennero divulgati, prima dal New York Times poi soprattutto dal Post, documentazioni del Governo Federale statunitense segrete sulle vicende legate alla guerra in Vietnam e su tutte le bugie raccontate al popolo americano che nella jungla indonesiana pagò un incredibile e probabilmente inutile, sicuramente evitabile, tributo di vite umane. E siamo praticamente allo scandalo che precedendo di poco quello del Watergate segnerà la fine dell’era Nixon. Il film dunque narra questa vicenda che capita proprio nel momento in cui il Post sbarca in Borsa nel tentativo della proprietà di salvarlo economicamente trasformandolo da un tradizionale giornale locale ad uno a tiratura nazionale puntando sulla qualità. I protagonisti sono una donna, la proprietaria del giornale di famiglia, la cui interpretazione è affidata ad una Meryl Streep cui questa volta sarà improbo negare l’Oscar ed al suo direttore interpretato da un sempre convincente Tom Hanks. Questo di affidarsi ad attori e registi (qui Spielberg … ) bravissimi è uno dei motivi di successo di questo genere di film quando vengono realizzati dagli americani. Gli altri sono tutti nella storia portata sugli schermi sia perché sovente avvince quasi si trattasse di un film giallo, sia perché ci fornisce uno spaccato della società di quel Paese che pur votato al business (straordinaria la capacità di trasformare in danaro mediante il cinema storie patrie che a volte altrove si potrebbe anche avere la tentazione di celare) poi al momento del dunque mostra una capacità di tener fede ai propri principi costitutivi (i famosi emendamenti), al rispetto degli equilibri istituzionali (nessun potere deve pensare di sé di essere al di sopra di ogni controllo, incluso quello del Presidente degli USA) ed alla funzione di quegli organismi di controllo come appunto la stampa che deve essere non al servizio del governo, ma dei governati. Un bel messaggio per le Democrazie e la Stampa di tutto il mondo. Il film che si inserisce nella scia del genere delle pellicole di denuncia giornalistica (Tutti gli uomini del Presidente, Il caso Spotlight e tanbti altri) è da vedere.
michelecamero
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sk89
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domenica 11 febbraio 2018
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classico spielberg, ma poca sostanza
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Il film nel complesso è di sicuro appassionante, avendo la visione dello spettatore di oggi, che già è a conoscenza di cosa è accaduto in quegli anni in America e quanto pesanti furono i segreti rivelati dal Washington Post e dal New York Times, e soprattutto quanto il messaggio politico risulti, acora oggi dopo 30 anni, attuale più che mai.
C'è tuttavia, parecchio potenziale sprecato nella scelta di Spielberg di concentrarsi quasi esclusivamente sul punto di vista della redazione del Post e sulla figura di Katharine Graham, che, per quanto siano magnificamente rappresentati da delle ottime interpretazioni di Tom Hanks, Meryl Streep e Bob Odenkirk, rendono la vicenda un po' troppo ristretta.
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Il film nel complesso è di sicuro appassionante, avendo la visione dello spettatore di oggi, che già è a conoscenza di cosa è accaduto in quegli anni in America e quanto pesanti furono i segreti rivelati dal Washington Post e dal New York Times, e soprattutto quanto il messaggio politico risulti, acora oggi dopo 30 anni, attuale più che mai.
C'è tuttavia, parecchio potenziale sprecato nella scelta di Spielberg di concentrarsi quasi esclusivamente sul punto di vista della redazione del Post e sulla figura di Katharine Graham, che, per quanto siano magnificamente rappresentati da delle ottime interpretazioni di Tom Hanks, Meryl Streep e Bob Odenkirk, rendono la vicenda un po' troppo ristretta.
Il film avrebbe potuto giovare sicuramente nel mostrare di più la reazione del popolo americano dell'epoca, sui sentimenti di tradimento e di disprezzo nei confronti di chi credevano fossero stati fino ad allora dei leader onesti e giusti e che invece avevano mentito spudoratamente per anni sugli andamenti della guerra in Vietnam e su come l'intero scandalo dei Pentagon Papers avesse gettato le basi della presa di coscenza del popolo statunitense a non fidarsi mai completamente dei loro leader.
Voto Finale: 6/10. FIlm abbastanza soddisfacente, con delle ottime interpretazioni, ma un po' carente nell'esecuzione.
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vandamme84
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sabato 10 febbraio 2018
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deludente e davvero poco coinvolgente
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dalle recensioni della critica mi aspettavo un altro bel film (sebbene di diverso genere ma di qualità di pari livello de "il ponte delle spie"). Invece mi sono ritrovato davanti a un film, che seppure avesse un ottimo cast, sembra veramente limitarsi alla sufficienza. Mi sembra proprio un film in cui tutti fanno il compitino, con una storia vera ma che trasmette davvero poca tensione e allo stesso tempo appassionasse davvero poco. Anche gli altri spettatori in sala all'intervallo esprimevano giudizi perplessi.
Onestamente poi Spielgerg è ovviamente uno dei migliori registi di Hollywood, ma a differenza di gente come Oliver Stone, è davvero poco coraggioso nell'affrontare temi di politica.
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dalle recensioni della critica mi aspettavo un altro bel film (sebbene di diverso genere ma di qualità di pari livello de "il ponte delle spie"). Invece mi sono ritrovato davanti a un film, che seppure avesse un ottimo cast, sembra veramente limitarsi alla sufficienza. Mi sembra proprio un film in cui tutti fanno il compitino, con una storia vera ma che trasmette davvero poca tensione e allo stesso tempo appassionasse davvero poco. Anche gli altri spettatori in sala all'intervallo esprimevano giudizi perplessi.
Onestamente poi Spielgerg è ovviamente uno dei migliori registi di Hollywood, ma a differenza di gente come Oliver Stone, è davvero poco coraggioso nell'affrontare temi di politica. Se tutti fossero in questo modo fra 30 anni vedremmo film che riguardano fatti degli Usa dei giorni nostri
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maumauroma
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sabato 10 febbraio 2018
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the post
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Nel 1971 , durante la presidenza Nixon e in piena guerra del Vietnam in corso, Il quotidiano The Washington Post decise di pubblicare una serie di dossier segreti, trafugati dalle casseforti del Pentagono da un dipendente del Ministero della Difesa in piena crisi di coscienza, nei quali si faceva luce sugli errori di gestione commessi dalle Amministrazioni presidenziali e dai loro consiglieri nei decenni precedenti riguardo le politiche di ingerenza nella importante e stratetica regione del sud est asiatico, politiche che avevano causato e stavano ancora provocando decine di migliaia di morti tra i soldati americani. Quella di pubblicare tali documenti fu una decisione molto sofferta soprattutto per il rischio da parte della editrice Katharine Graham e del direttore del giornale Ben Bradlee di essere incriminati dalla Corte Suprema degli Stati Uniti per attacco alla sicurezza dela Nazione.
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Nel 1971 , durante la presidenza Nixon e in piena guerra del Vietnam in corso, Il quotidiano The Washington Post decise di pubblicare una serie di dossier segreti, trafugati dalle casseforti del Pentagono da un dipendente del Ministero della Difesa in piena crisi di coscienza, nei quali si faceva luce sugli errori di gestione commessi dalle Amministrazioni presidenziali e dai loro consiglieri nei decenni precedenti riguardo le politiche di ingerenza nella importante e stratetica regione del sud est asiatico, politiche che avevano causato e stavano ancora provocando decine di migliaia di morti tra i soldati americani. Quella di pubblicare tali documenti fu una decisione molto sofferta soprattutto per il rischio da parte della editrice Katharine Graham e del direttore del giornale Ben Bradlee di essere incriminati dalla Corte Suprema degli Stati Uniti per attacco alla sicurezza dela Nazione. Ma al processo i due furono assolti in nome della Costituzione americana che sanciva totale liberta' di parola e di stampa. Tale vicenda fini' per provocare il primo duro colpo al presidente Nixon, che un paio di anni dopo fu costretto a dimettersi per il celebre caso di spionaggio nella sede del Partito Democratico piu' noto come scandalo Watergate, Nel rievocare quegli avvenimenti, Spielberg si sofferma soprattutto sulla figura di Katharine Graham, prima donna a capo di una casa editrice in anni di maschilismo imperante , sulle difficolta' finanziarie affrontate dal giornale, a quel tempo abbondantemente superato nelle vendite e nel prestigio dal piu' celebre New York Times, difficolta' peraltro poi superate proprio grazie alla abilita' manageriale della Graham, nonche' sul difficile lavoro che dovevano svolgere i giornalisti in quegli anni, perche', nonostante la passione, l' impegno e l' entusiasmo profuso, dovevano svolgere la loro opera senza i fondamentali mezzi di comunicazione che abbiamo oggi, come Il Web, i computer, la telefonia mobile.
In questa suo ultimo lavoro, il regista di Cincinnati si conferma, come sempre, abile regista, un vero maestro nel manovrare e nel gestire la macchina da presa. Negi anni pero' si e' andata perdendo buona parte della sua vena creativa, e in The post si avverte molto " mestiere" e molta accademia.Sceneggiatura e dialoghi sono strutturati secondo quello che il pubblico si aspetta che accada e che si dica, tanto che con un po' di attenzione non risulta cosi' difficile anticipare le battute che saranno poi di li a poco pronunciate dai protagonisti.. Comunque il film si lascia vedere volentieri, soprattutto all' inizio, per ritmo e tensione, e nel finale, avvincente e con quella giusta dose di enfasi patriottica che non guasta in questi casi. Perfetta la ricostruzione d' epoca sia negli interni che negli esterni. Ovviamente bravi Meryl Streep e Tom Hanks, anche se i loro volti hanno ormai assorbito le espressioni delle decine di personaggi da loro interpretati
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mciril
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sabato 10 febbraio 2018
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inutile o quasi
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Il film parla di giornalismo, di politica, di rapporti politica e giornalismo negli Stati Uniti d´America. Storia americana, guerra americana, presidenti americani. Negli U.S.A..
Hollywood sta parlando al Presidente, visto che il Presidente ignora sia Hollywood che stampa.
Scusate ma... e a noi…? Ossia, quale è il messaggio e l´utilità per noi europei? Nessuno, proprio nessuno. Forse l’invito ad andarsi a rileggere in dettaglio (wikipedia è sufficiente) la storia di questo straordinario paese dagli anni sessanta in poi. Rileggete le pagine della guerra ventennale in Indocina, non perdendo d’occhio le carriere dei Presidenti e la storia delle Amministrazioni che l’hanno accompagnata.
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Il film parla di giornalismo, di politica, di rapporti politica e giornalismo negli Stati Uniti d´America. Storia americana, guerra americana, presidenti americani. Negli U.S.A..
Hollywood sta parlando al Presidente, visto che il Presidente ignora sia Hollywood che stampa.
Scusate ma... e a noi…? Ossia, quale è il messaggio e l´utilità per noi europei? Nessuno, proprio nessuno. Forse l’invito ad andarsi a rileggere in dettaglio (wikipedia è sufficiente) la storia di questo straordinario paese dagli anni sessanta in poi. Rileggete le pagine della guerra ventennale in Indocina, non perdendo d’occhio le carriere dei Presidenti e la storia delle Amministrazioni che l’hanno accompagnata. Questo deve essere il nostro role model?
Quindi solito Spielberg: intrattenimento ritmato, visivamente piacevole, leggero e superficiale. Insomma, Hollywood. Lasciamo a questo tipo di film fare il loro lavoro: essere forse un diversivo. Forse.
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playthebluesm
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sabato 10 febbraio 2018
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redazioni vs potere
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“La stampa serve chi è governato,
non chi governa”
Per portare alla luce certe vicende occorre fegato.
Perché se c’è un Amerika che cavalca il furioso toro trumpiano, ve ne è un'altra che non ha smesso di fare i conti con se stessa.
Non è facile raccontare la storia di un piccolo giornale che non si piega ad un potere ottuso e menzognero verso il popolo, e che si mette di traverso sulla rotaia dell’ “E’ tutto lecito, siamo i più potenti”.
Un cumulo di giornalisti e direttori con attributi grossi come macigni che non si arrendono davanti alla possibile perdita del lavoro, a fior di tribunali, per raccontare la verità su quattro presidenti americani, mica uno soltanto (tra cui anche Kennedy, ebbene si) che avevano mentito sulle sorti della guerra del Vietnam.
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“La stampa serve chi è governato,
non chi governa”
Per portare alla luce certe vicende occorre fegato.
Perché se c’è un Amerika che cavalca il furioso toro trumpiano, ve ne è un'altra che non ha smesso di fare i conti con se stessa.
Non è facile raccontare la storia di un piccolo giornale che non si piega ad un potere ottuso e menzognero verso il popolo, e che si mette di traverso sulla rotaia dell’ “E’ tutto lecito, siamo i più potenti”.
Un cumulo di giornalisti e direttori con attributi grossi come macigni che non si arrendono davanti alla possibile perdita del lavoro, a fior di tribunali, per raccontare la verità su quattro presidenti americani, mica uno soltanto (tra cui anche Kennedy, ebbene si) che avevano mentito sulle sorti della guerra del Vietnam.
Un governo americano che già dal 1965 sapeva, dati e calcoli alla mano, che non avrebbe vinto in quel conflitto, e che solo per non sfigurare in un mesto, ma ben più sensato ritiro, continuava a mandare in prima linea centinaia di migliaia dei suoi giovani, e lo avrebbe fatto fino al 1975, per la precisione, salvo essere scoperto però nel 1971 da questi reporter a cui il caro Nixon avrebbe fatto pressioni indicibili, fino al capolinea dello Watergate.
Una storia emozionante andrebbe stampata a caratteri cubitali in tutte le redazioni libere del mondo.
Una storia che in Italia non sarebbe potuta accadere, vista la limitatissima libertà di stampa di cui godiamo (attualmente siamo 52esimi), non che in America non vi siano casi irrisolti o falsati (caso Kennedy in testa), ma ripensando a tutte le stragi casalinghe senza colpevole, le Ustica, scandali irrisolti, rapporti mafia/stato, le tragedie prevedibili, una storia che rivelando tutto il suo potenziale, ci insegna che la libertà va dfesa, costi quel che costi.
E se il sogno americano per molti versi cozza con retoriche circensi, in questa pellicola, un pezzo di storia americana vi sarebbe da portarlo ad esempio, per le generazioni future, anche in questa epoca corrotta.
Oltreoceano, se qualcuno fa ancora oggi il giornalista, degli esempi da seguire ce li ha, eccome.
Mentre in Italia ciondoliamo tra giornaletti di partito, in fila ordinata per due, a sinistra, centro e destra, asserviti ai rispettivi capofila anche a costo di vendere l’anima delle loro madri al diavolo, con la retorica ottusa anche del dichiararsi “liberi”.
Ci chiediamo quando arriverà a queste latitudini un giornalismo davvero libero.
Quando anche da un giornale di partito ascolteremo un sincero dissentire, un critico porsi di traverso, visto che della parola “libertà” par che ne abusino soltanto per riempire talune espressioni pre/telecamera, nelle pre/elettoralità di governicchi costellati da menzogne ben protette, perché quando hai anche la stampa dalla tua parte, si sa che di fesserie istituzionali ne puoi fare un poco in più, tanto poi il lettore si beve tutto.
Ma non funziona sempre così per vostra sfortuna, e nel tempo, anche la più nascosta verità, riemerge.
(Massimiliano Manieri)
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zarar
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giovedì 8 febbraio 2018
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stampa e potere, donna e potere
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Il film si inserisce in un filone, caro agli americani, dedicato alla stampa e alla responsabilità del giornalista rispetto al potere da una parte e ai lettori dall’altra, che dal classico Citizen Kane (Quarto potere, 1941) arriva sino a State of Play (2009) e al recente Spotlight (2015). Niente da meravigliarsi se Spielberg ha interrotto un altro film per dedicarsi a questo The Post anima e corpo, tenuto conto dell’urgenza politica di tornare sul tema in un clima di pessimi rapporti tra la stampa liberal-democratica americana e il Presidente, in un momento in cui guardiamo ammirati e un po’ invidiosi alla assoluta libertà e franchezza – a dir poco – con cui un New York Times, per es.
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Il film si inserisce in un filone, caro agli americani, dedicato alla stampa e alla responsabilità del giornalista rispetto al potere da una parte e ai lettori dall’altra, che dal classico Citizen Kane (Quarto potere, 1941) arriva sino a State of Play (2009) e al recente Spotlight (2015). Niente da meravigliarsi se Spielberg ha interrotto un altro film per dedicarsi a questo The Post anima e corpo, tenuto conto dell’urgenza politica di tornare sul tema in un clima di pessimi rapporti tra la stampa liberal-democratica americana e il Presidente, in un momento in cui guardiamo ammirati e un po’ invidiosi alla assoluta libertà e franchezza – a dir poco – con cui un New York Times, per es., commenta la politica di Trump. Spielberg è un maestro e attori del peso di Meril Streep e Tom Hanks danno alla sceneggiatura di questa storia (vera) una forza a cui è difficile sottrarsi, anche se una sensazione di déjà vu e di assoluta prevedibilità degli eventi ci segue dall’inizio alla fine . Alla vicenda della contrastata pubblicazione nel 1973 di documenti classificati top secret sulla guerra del Vietnam, testimonianti la consapevolezza della classe politica lungo tre mandati presidenziali che mai la guerra si sarebbe potuta vincere pur nella determinazione a portarla avanti per non umiliare l’onore del paese, si intreccia la storia personale di Katharine Grahan, prima direttrice donna di un grande quotidiano, chiamata alla difficile decisione di sfidare Presidente, poteri forti e Corte Suprema, ma anche amici e consiglieri, in nome della libertà di stampa. Figura capitata alla testa del Post quasi per caso, faute de mieux, tutto meno che un temperamento battagliero, persino incerta e accomodante, proprio in questa circostanza maturerà una coscienza di donna che sfida persino il proprio carattere in nome della dignità del suo ruolo di editore indipendente. Seguiamo con partecipazione, sottoscriviamo tutti i sacri principi enunciati, sentiamo l’importanza dell’assunto nel momento presente, ma non gridiamo al capolavoro. Tecnicamente ineccepibile, convenientemente teso, il film non ha quel quid che lo rende originale e unico. Anche Meril Streep sembra spingersi troppo avanti nella caratterizzazione di una upper class wealthy woman anni ’60 prestata all’editoria, con un manierismo che le fa perdere la consueta forza e intensità interpretativa. Ciò è accentuato, nell’edizione italiana, da un doppiaggio discutibile, un birignao lamentoso che la rende irriconoscibile. Tre stelle e mezzo.
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[+] quando il quarto potere era veramente un potere...
(di antoniomontefalcone)
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enzo70
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martedì 6 febbraio 2018
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lezione di libertà di un editore e di un direttore
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The post ha due diverse prospettive; dalla prima, immediata, si inquadra un bel film diretto da Spielberg e che ha come protagonisti Tom Hanks e Meryl Streep. Faccio una doverosa premessa; Meryl, semplicemente, mi incanta, il mio giudizio nei suoi confronti non vale, è condizionato da uno dei sentimenti più forti dell’uomo: l’amore impossibile. I ritmi di Spielberg, la bravura dell’intero cast e la storia avvincente rappresentano un più che valido motivo per andare al cinema. La seconda prospettiva, è diversa. The post è un film necessario in un momento in cui, a livello mondiale, il ruolo dell’informazione viene messo in discussione per la perdita di credibilità dei giornali e dei giornalisti.
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The post ha due diverse prospettive; dalla prima, immediata, si inquadra un bel film diretto da Spielberg e che ha come protagonisti Tom Hanks e Meryl Streep. Faccio una doverosa premessa; Meryl, semplicemente, mi incanta, il mio giudizio nei suoi confronti non vale, è condizionato da uno dei sentimenti più forti dell’uomo: l’amore impossibile. I ritmi di Spielberg, la bravura dell’intero cast e la storia avvincente rappresentano un più che valido motivo per andare al cinema. La seconda prospettiva, è diversa. The post è un film necessario in un momento in cui, a livello mondiale, il ruolo dell’informazione viene messo in discussione per la perdita di credibilità dei giornali e dei giornalisti. Storia vera, quella dell’editrice Katharine Graham e del direttore del Washington Post, Ben Bradlee; la decisione di pubblicare una notizia coperta da segreto di Stato, un memoriale della Casa Bianca dalla quale emergeva la consapevolezza di tutti i governi statunitensi di non poter vincere la guerra in Vietnam, poteva distruggere l’allora piccola e fragile casa editrice. Ma la decisione di pubblicare il dossier, con le relative conseguenze giudiziarie e politiche, in nome della libertà di stampa apre lo spazio ad una riflessione che ogni spettatore dovrebbe, a mio avviso, elaborare con calma. Cercando, forse, nella buona stampa che ancora esiste, anzi resiste, la memoria del lavoro di quei giornali che hanno cambiato la storia del mondo.
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udiego
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martedì 6 febbraio 2018
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non è come sembra
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Nel 1971 un uomo del Pentagono decide di divulgare alla stampa un documento di 7000 pagine che racconta di come il governo degli Stati Uniti abbia mentito ai propri cittadini sull’andamento della guerra in Vietnam: è il New York Times il primo giornale a pubblicare le notizia ed il governo americano decide di bloccare tutto con un’ingiunzione della Corte Suprema. Toccherà di conseguenza al Washington Post, che nel frattempo è riuscito a mettere le mani su questi scottanti documenti, decidere se pubblicare tutta l’inchiesta, mettendo a rischio la vita del giornale stesso o insabbiare il tutto per salvaguardare l’integrità della testata giornalistica.
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Nel 1971 un uomo del Pentagono decide di divulgare alla stampa un documento di 7000 pagine che racconta di come il governo degli Stati Uniti abbia mentito ai propri cittadini sull’andamento della guerra in Vietnam: è il New York Times il primo giornale a pubblicare le notizia ed il governo americano decide di bloccare tutto con un’ingiunzione della Corte Suprema. Toccherà di conseguenza al Washington Post, che nel frattempo è riuscito a mettere le mani su questi scottanti documenti, decidere se pubblicare tutta l’inchiesta, mettendo a rischio la vita del giornale stesso o insabbiare il tutto per salvaguardare l’integrità della testata giornalistica.
Steven Spielberg con The Post porta al cinema un’inchiesta che ebbe la capacità di dare il primo grande scossone alla presidenza Nixon. Il cineasta americano ci mostra i fatti dell’epoca trasmettendoci tutta l’energia e gli sforzi sostenuti dai protagonisti per riuscire a portare a termine un compito di fondamentale importanza per la salvaguardia della democrazia degli Stati Uniti d’America.
The Post è un film dal forte impatto e fonda tutta la sua struttura sullo stile narrativo. La sceneggiatura, curata a quattro mani da Liz Hannah e Josh Singer, riesce nel non facile compito di imprimere alla vicenda un taglio prettamente giornalistico, senza togliere nulla dal punto di vista emotivo. Da parte sua Spielberg riesce a regalare all’opera grandi fervore e grinta con una regia dinamica, mai troppo pesante e sempre in grado di regalare la giusta atmosfera a tutte le diverse situazioni. The Post è un film che da forza al coraggio ed ai sentimenti e che riesce attraverso i suoi personaggi a regalare una speranza anche quando si fatica a vedere la luce in fondo al tunnel.
Inutile menzionare il cast, a partire da una Maryl Streep in grandissima forma, fino ad un Tom Hanks bravo e capace come sempre di dare credibilità ai suoi personaggi. Per concludere possiamo definire The Post un film asciutto, capace di centrare senza troppi giri di parole i suoi obiettivi e di arrivare alla pancia dello spettatore. Mostrando un aspetto della società di grandissima attualità anche al giorno d’oggi e ricordandoci che la stampa dovrebbe essere al servizio di chi è governato e non viceversa.
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